ANNA

Gli annuari degli ex allievi servono a questo. Ho rintracciato Vincent. Era il solo Vincent di quell’anno, e ricordavo il suo messaggio fra la corrispondenza della mamma. Era venuto a sapere della sua morte attraverso il bollettino del loro corso. Certo che era d’accordo che c’incontrassimo per parlare di lei, mi ha subito detto al telefono.

Ci siamo dati appuntamento in una brasserie del Quartiere Latino. Mi ha tracciato rapidamente i fatti della sua vita. Dopo l’università e l’esame di stato, per parecchio tempo aveva esercitato come avvocato d’affari. Poi ne aveva avuto abbastanza. Desiderava cambiare vita ed era diventato psicoanalista. Sfoggiava una sciarpa di cashmere e un’aria maliziosa, come di uno pronto a ridere di sé.

Ecco cosa mi disse a proposito di mia madre e di H.:

«Sono venuto a sapere dell’esistenza di H. in un autobus diretto ad Acapulco. Come mai sua madre e io ci fossimo ritrovati su quell’autobus è una storia straordinaria. Per potergliela raccontare devo risalire un po’ indietro nel tempo… Mi scuso se il discorso è sconclusionato. Sì, devo riandare a un corso di finanza che seguivamo. Lei era venuta a sedersi vicino a me perché era in ritardo. Ero rimasto subito colpito dalla sua femminilità. Lo sa cosa voglio dire, no? Quella grazia, quella sottile distinzione che l’avvolgevano come una mussola leggera.

«Il corso di finanza, dunque. È stato nel primo trimestre, con Sieswieller. (Se ricordo così bene tutti i particolari è perché, l’avrà capito, sua madre è stata una donna molto importante nella mia vita. Ho avuto il tempo di rivivere diverse volte questa scena iniziale!) Dopo il corso non si è presentata subito l’occasione di rivederla. Diciamo che sapeva essere tanto sfuggente quanto incantevole… Sino al giorno in cui ho scoperto che, come me, sarebbe andata in Messico a seguire il suo stage del secondo anno. E quel giorno, contro ogni mia aspettativa, mi ha proposto di fare il viaggio insieme.

«Ho capito in fretta cosa c’era sotto. Era piccola, fragile e le avevano detto che il paese traboccava di mafiosi e assassini! Una presenza maschile sarebbe stata la benvenuta. Diciamo che avrei decisamente facilitato i suoi spostamenti… Non ci faccio una grande figura, ma ho accettato seduta stante. Accettato cioè di fungere da cane per ciechi, in qualche modo. Ero già stracotto, come vede. Siamo dunque andati in Messico. Io a Città di Messico, lei a Guadalajara, con l’idea di ritrovarci nei weekend per visitare il paese.

«Per me le settimane passavano nel grigiore. Eppure c’era in ufficio una splendida assistente di origine india, una vera dea maya, che pareva interessarsi a me. E nessuno capiva perché io non mi facessi avanti. Al contrario, chiedevo a quella ragazza di fare delle telefonate per prenotare treni o autobus per ogni fine settimana! Avevo, le dicevo, un’amica francese a Guadalajara… Rivedo ancora i suoi occhi neri lucidi di lacrime il giorno in cui mi ha ribattuto, esasperata: “Come pretendi che ti aiuti a raggiungere un’altra?”.

«Quel fine settimana, in ogni caso, avevamo fatto male i nostri calcoli: alla stazione delle autolinee di Città di Messico, il bus che pensavamo di prendere era completo. Considerando il problema al contrario, abbiamo cercato le destinazioni per le quali restavano ancora dei posti liberi. Ci toccò Acapulco, un viaggio di sette ore, un’occasione perfetta per parlare.

«Ricordo che i nostri discorsi si facevano sempre più personali via via che il giorno giungeva alla fine. Ricordo anche l’esatto momento in cui, nel sole rosseggiante, mi ha detto che da cinque anni stava con un uomo molto più vecchio di lei e che così non poteva più continuare, che doveva riuscire a rompere, che doveva farcela a tirarsene fuori. Immediatamente si è risvegliato il mio lato cavalleresco. Mi sono sentito invaso dalla tenerezza. Lei mi aveva confidato il suo segreto, volevo aiutarla a liberarsene. Era ingenuo, romantico, del tutto assurdo.

«E poi… come dire… lo sa com’era sua madre. Si apriva con te e poi si richiudeva. Deve aver preso coscienza del fatto di aver parlato a qualcuno che conosceva appena. Per prudenza o per discrezione, ha subito ripreso le distanze.

«La sera, ad Acapulco, siamo finiti non so come all’hotel… Parigi! O forse Torre Eiffel? In ogni caso, il tipo della reception ci ha subito detto che aveva libera una sola camera, con letto matrimoniale. Era l’una del mattino. Abbiamo pensato ai tagliagole di Acapulco. Non avevamo scelta. E abbiamo deciso di dormire in quella stanza.

«Faceva caldo quella notte. Mi sono steso in mutande sul letto, mentre lei non si schiodava dal bagno. Ha finito per uscirne con indosso un pigiama cinese di seta azzurra abbottonato fino al collo. Mi ha fatto ridere. Aveva una tale paura che succedesse qualcosa. Non era una vamp ma una donna-bambina. Credeva che essere fedele a H. equivalesse a non andare a letto con un altro.

«Ai miei occhi, e a ottomila chilometri di distanza, quel vecchio signore risultava del tutto inoffensivo. Ma probabilmente non avevo messo in conto cosa significasse per lei il fatto di “stare con lui”. Di accettare di stare con lui. Mi aveva raccontato che era stata sua allieva, che lui era il suo professore di lettere. Che si erano rivisti alla fine del liceo. E che lui era anche andato a trovare i suoi genitori – cioè i vostri nonni – per rassicurarli, ma che non era stato accolto molto bene. Che in quegli ultimi anni era malato. E che lei passava molto tempo fra il campus e l’ospedale.

«Per me fu un weekend magico. C’erano state quelle confidenze. E poi la scena toccante dell’albergo. È stato durante quel fine settimana che mi sono detto: “È lei”. Era bella, intelligente, aveva tutte le qualità – sa, tick the box… le spunte in tutte le caselle. In aggiunta, era conscia di dover lasciare quell’uomo. Sapeva che la sua situazione era un’impasse. Cosa di meglio potevo sperare? Bastava lasciar fare al tempo, con calma. Mi dicevo: “Mostrale che sai essere paziente. Che sai essere cavalleresco e paziente”».