MARIE

Quest’anno ho compiuto quarantanove anni, ed è forse la ragione per cui ti scrivo. Quarantanove anni è l’età che avevi tu quando ci siamo conosciuti. È strano come mi sembravi vecchio, caro H. Ora posso dirtelo. La cosa paradossale è che, malgrado io fossi allora appena diciassettenne, mi sentivo io stessa vecchissima. Una giovane vecchia. Studi, diplomi, matrimonio, figli, la vita mi sembrava un tunnel che si apriva davanti a me come un paio di fauci. È per questo che mi sono precipitata fra le tue braccia? A diciassette anni avevo già la mente contorta per aver preso troppo le distanze dall’esistenza?

Scriverti è anche un modo per non telefonare. Ho pensato mille volte alla telefonata che non ti farò. Che non ti farò più. Lunghi squilli nel vuoto e poi risponde tua moglie. In passato, quando capitava, mi diceva con la sua voce insopportabilmente dolce: «Resti in linea, le passo H…». Stavolta la sua intonazione è differente. Indifferente? Dice: «…Pensavo… H. è morto… non lo sapeva…?». Lungo silenzio. Come avrei potuto saperlo? H. e io non ci vediamo da tanto. Qualche sporadico messaggio, i compleanni, il primo dell’anno. Brevi scambi di notizie sempre più diluiti nel tempo…

Nella nostra conversazione immaginaria, tua moglie interrompe il silenzio. Parla dell’inverno, dell’ondata di freddo. Pronuncia la parola «coma». Parla del tuo cuore come se io non lo conoscessi. Ha sempre quella voce dolce che detesto e al tempo stesso rispetto. Ma questa volta mi sembra di cogliervi accenti di rivincita. Ha ripreso il sopravvento sull’ex Lolita decaduta.

D’un tratto mi sfilano davanti le immagini del tuo funerale: tua moglie dirige da sola la cerimonia. Ci sarebbe mancato solo che io fossi presente. «No, carina, mi ha già rovinato abbastanza la vita, non crede?»

In realtà non lo dice. Non pronuncia niente di simile all’altro capo del filo. Sono io a desiderare che, per una volta, esploda la violenza che non ha mai mostrato, chissà se per amore, per orgoglio o per dignità.

In ogni caso, quel giorno lei è la vedova ufficiale, una figura bene eretta fra i vostri due figli, uno dei quali frequentava l’École Normale e l’altro il politecnico… avevano pressappoco la mia età, mi domando cosa ne sia stato di loro.

Lei, comunque, ha dovuto probabilmente aspettare la tua morte perché tutto rientrasse nell’ordine.

L’ordine, finalmente! Tutti non avevano in bocca che questa parola. Sento ancora mia madre: «Questa relazione non rientra nell’ordine logico delle cose».