La mente

Ogni volta che busso alla porta di Marino mi tocca attendere dieci minuti prima che venga ad aprire. Ormai fa fatica persino ad alzarsi dalla sua dannata poltrona, striscia come una lumaca fino all’ingresso e, infine, affronta la serratura chiusa a doppia mandata. Perché Marino, fra le altre cose, ha la fobia che i ladri possano intrufolarsi in casa. A rubare che, non si capisce. Solo che sull’argomento il vecchio testardo non ci sente, per cui mi tocca aspettare anche che la chiave faccia il giro completo per permettere alla serratura di scattare. Altri secondi preziosi persi a causa delle ossessioni altrui. Un giorno di questi dovrei provare a spiegargli che vivere nella paura costante di un pericolo non serve a scongiurarlo, ma solo a gettare via un altro giorno della propria esistenza. Ma credo che, ahimè, sarebbero tempo e fiato sprecati.

«Marino, non puoi continuare a serrarti dentro come se vivessi in un caveau.» Intuisco dall’espressione del suo viso che non ha capito la battuta. Ma, d’altronde, a una certa età non puoi fare lo schizzinoso, ti devi accontentare di quelle poche persone rimaste al tuo fianco. Lo precedo in salotto e mi accomodo sul divano. Marino mi raggiunge strascicando i piedi e sprofonda nella poltrona; la scena mi fa pensare a una lumaca impaurita che indietreggia nel suo guscio.

«Allora?» chiede lui. «Come va? Novità?»

Non riesco a cancellare dalla mente l’immagine del grosso lumacone che mi parla e pone domande. Sono costretto a chiudere e riaprire gli occhi.

«Molte» rispondo poi, «ho conosciuto Emma.»

«Sì, lo so.»

«Lo sai?»

«Eleonora mi sta tenendo aggiornato.»

«La gattara?»

«La gattara.»

«Vecchia spiona» ribatto seccato.

Lui sorride divertito. C’è un grande distacco fra l’organismo di Marino e la sua mente. È un po’ sordo, è vero, ma è ancora una persona intelligente. Capita spesso che il corpo non segua lo stesso percorso del cervello, tanto che poi un giorno ci si ritrova davanti allo specchio e non ci si riconosce.

«Che ti ha detto?»

«Che bisogna fare qualcosa per la ragazza e che tu sei un vecchio permaloso e non volevi saperne nulla.»

«Così ha detto? Che sono un vecchio permaloso?»

«Testuali parole» ribadisce lui. «Ma cos’è successo?»

Chissà se è più contento perché Eleonora mi ha dato del permaloso o del vecchio. Propendo per la seconda ipotesi, le verità scomode fanno meno paura se riguardano anche gli altri.

«Il diverbio con Emma è acqua passata. L’altra notte ha dormito da me.»

Marino sgrana gli occhi, afferra i braccioli della poltrona e si tira su.

«Che hai capito?»

«Dimmelo tu.»

Non so se incavolarmi per il pensiero osceno che frulla nel suo cervello, o se inorgoglirmi perché mi ritiene ancora capace di sedurre una trentenne.

«È venuta a bussarmi e mi ha confidato tutto. Ha detto che lo stronzo la maltratta da tre anni e lei non ha il coraggio di scappare. E in città non ha nessuno. Il marito non sarebbe rincasato, così mi ha chiesto di rimanere. Quella donna ha bisogno di attenzioni e di un po’ di umanità.»

Marino lascia i braccioli che ancora reggeva saldi fra le unghie e sprofonda di nuovo tra i cuscini.

«E tu che le hai detto?»

«E che le ho detto? Che se non lo denuncia lei, ci penserò io. Ma mi ha implorato di non farlo.»

«Quindi? Non scriviamo più la lettera minatoria?»

Sono contento che Marino si senta parte integrante dell’investigazione, il problema è che a me sembra di non divertirmi più come all’inizio. Quando il dolore altrui si avvicina troppo, cominci anche tu ad avvertire una fitta.

«La scriviamo, come no. Anche se non servirà a salvarla, almeno non rimaniamo con le mani in mano. Può essere che il bastardo la prossima volta ci pensi due volte prima di picchiarla.»

«Allora devo mostrarti una cosa» ribatte lui con una specie di risolino stampato sul volto. Aspetto che fuoriesca dal guscio e lo seguo nella stanzetta accanto, dove ad attenderci c’è il computer.

«Hai parlato con Orazio? Viene ad aiutarci?»

«Aiutarci? Non abbiamo bisogno di aiuto! Stai zitto e guarda, diffidente!»

Detto questo, si avvicina alla macchina e con gesti lenti ma sicuri la accende. Poi si siede davanti allo schermo e aspetta. Quando il computer è pronto, lo vedo maneggiare con il mouse per alcuni secondi e, come d’incanto, un foglio bianco pronto a essere sporcato dalle nostre precarie minacce appare davanti a noi.

«Grande, ma come hai fatto?»

«Ho ripetuto l’operazione con mio nipote per un pomeriggio intero» risponde lui fiero.

«Bravo!» commento e gli do una pacca sulla spalla.

«Ahia, Cesare, fai piano!»

Certe volte dimentico che mi contorno di persone più di là che di qua. Però sono orgoglioso di lui, nel suo piccolo si è impegnato e ha perso delle ore per una donna che nemmeno conosce. Un piccolo gesto che mai nessuno vedrà e che perciò assume ancora più valore.

«Allora» esordisce, «detta, sono pronto!»

«Scrivi tu?» chiedo allarmato.

«Perché, vuoi farlo tu?»

«No, è che, in effetti, non ho ancora pensato a cosa dire.»

«Sei tu la mente» si affretta a replicare Marino, scaricandomi addosso tutta la responsabilità dell’operazione.

«Allora... scrivi...»

Il vecchio ha già le mani pronte a calarsi sulla tastiera, come un pianista un attimo prima di attaccare con un’opera, quando suona il campanello. Ci paralizziamo e ci scambiamo un’occhiata preoccupata.

«Ci hanno scoperto!» sussurra quindi lui.

«Ma sei scemo? Se non abbiamo nemmeno iniziato?»

«E allora chi sarà?» chiede con un filo di voce.

«E che ne so, vai ad aprire, la casa è tua!»

Marino obbedisce e si allontana impaurito. Meno male che durante la guerra era ancora ragazzo e non è dovuto partire militare, come soldato avrebbe fatto proprio pena. Lo vedrei bene in una vignetta delle Sturmtruppen.

Appena apre la porta, sento, inequivocabile, la voce della signora Vitagliano. Pochi secondi e nella cameretta arriva anche il fetore. La gattara, infatti, è come se camminasse sempre con un drappello di gatti morti nella tasca del cappotto. La sento confabulare con Marino lungo il corridoio.

«Eleonora è venuta ad accertarsi di come vanno le cose» afferma Marino, una volta nella stanza.

Perfetto, adesso sì che siamo davvero un bel gruppo di disperati. Il vecchio prende una sedia e fa accomodare l’ospite, poi torna al computer.

«Allora...» cerco di riprendere le fila del discorso, «scrivi: ’Vo-le-va-mo av-ver-tir-la che sia-mo a co-no-scen-za del fat-to che lei mal-trat-ta sua mo-gli-e. Se le an-ghe-rie do-ves-se-ro con-ti-nua-re, sa-rem-mo co-stret-ti, no-stro mal-gra-do, ad av-ver-ti-re le au-to-ri-tà com-pe-ten-ti’

Un quarto d’ora e un litro di sudore dopo poniamo l’ultimo punto. Non ho più idee, ma credo possa andar bene.

«Avete già finito?» urla Eleonora.

«Be’, sì, credo di sì» ribatto incerto.

«Non va bene!» esclama lei con vigore.

«Come non va bene?»

«Troppo moscia, ci vuole ben altro! Marino, scrivi così: ’Stronzo, sappiamo che picchi tua moglie. Se succede anche solo un’altra volta, veniamo lì e ti spezziamo entrambe le gambe. Sei avvertito!’»

Guardo la gattara, incredulo. Marino, invece, ride sotto i baffi mentre termina di digitare la minaccia.

«Signori, serve un’intimidazione seria. Il bastardo deve farsela nelle mutande, altro che autorità competenti!»

Marino mi guarda, io ricambio con un gesto del capo a significare che deve parlare e dire quel che pensa.

«In effetti, mi sa che Eleonora ha ragione.»

Mi giro a scrutare la vecchia che, nel frattempo, ha appoggiato il mento sul dorso delle mani con le quali abbranca il suo fidato bastone. Gli anni l’hanno tramutata in una strega che, però, sa il fatto suo. Mi piace. Come Rossana e come tutte le donne che non si piegano di fronte alla vita.

«Okay, siete in maggioranza. Lasciamo il testo così.»

«E ora?» chiede Marino. «Cosa facciamo?»

«Stampa, poi infilo la lettera nella cassetta e vediamo che succede.»

Marino mi guarda perplesso.

«Cosa c’è?»

«Non mi sono fatto spiegare come si fa...»

«A far cosa?»

«Stampare.»

«Cazzo» impreco, prima di rendermi conto della presenza di una signora. Ma, per fortuna, la vecchia non ha sentito un tubo e ci guarda ancora con un sorriso beota sul viso.

«Tu sai come si fa?» mi domanda Marino.

«No, il mio rapporto con la tecnologia è fermo al telecomando.»

«Allora non possiamo far altro che attendere mio nipote Orazio. Stasera lo chiamo e gli dico di tornare.»

Sbuffo. Per scrivere e recapitare una lettera impieghiamo giorni, mentre là fuori le cose ci mettono poche ore a marcire. Saluto la combriccola e salgo al piano di sopra. Appeso al pomello della mia porta di casa c’è un sacchetto. Lo apro, dentro c’è una tovaglia. M’infilo in casa e leggo il biglietto che accompagna il dono. È di Emma. Così la prossima volta ascolterai quello che ho da dirti invece di cercare la tovaglia! P.S. Grazie.

Mi rigiro il biglietto fra le mani e mi scopro emozionato. Come sempre basta una donna per farmi cadere.