Sono nato dolce e morirò burbero

Ho un sentore: la mia vicina, Emma, subisce maltrattamenti dal compagno. O dal marito. Insomma, da quello stronzo con cui coabita.

Io sono vecchio, e i vecchi sono abitudinari, non amano le novità. È perché si pensa sempre che le cose peggioreranno anziché migliorare, un insegnamento che ci dà il corpo nel corso degli anni. Perciò, quando la giovane coppia è arrivata qua, ho storto il naso, credevo che avrebbero rotto la mia pace, organizzato banchetti, cene, compleanni e quant’altro. Alla loro età ogni scusa è buona per festeggiare e il compleanno è ancora visto come un traguardo da mettersi subito alle spalle per inseguire il successivo. Alla loro età non si è ancora capito che sì, l’obiettivo è importante raggiungerlo, ma non c’è fretta, non si deve battere alcun record. Meglio arrivare fino in fondo a passo lento, gustarsi il paesaggio, mantenere un ritmo cadenzato e un respiro regolare per l’intero tragitto, per poi chiudere la corsa il più tardi possibile. Perché non so se i giovani lo sanno, ma una volta tagliato il traguardo non c’è nessuno che ti viene a decorare il petto con una medaglia.

Invece mi sbagliavo, neanche una festa, un invito a cena, un compleanno. La coppia al mio fianco è stata muta come un pesce; mai una voce fuori posto, il volume della tivù troppo alto, il sacchetto della spazzatura puzzolente lasciato fuori dalla porta. Una coppia invisibile, insomma.

Fino a oggi.

Prima di loro c’era una famigliola composta da moglie, marito e tre figli piccoli. Un inferno, le pesti hanno pianto ininterrottamente per quattro anni, i peggiori della mia vita. Essere il vicino di una famiglia che sforna un neonato all’anno è stata una sventura: come diventare padre una seconda volta, anzi, calcolando Sveva e Dante, una terza, una quarta e una quinta volta. La vera catastrofe è stata che la loro stanza da letto confinava con la mia. Vivo al Vomero, un quartiere collinare di Napoli dove l’aria è abbastanza pulita e d’estate si sta freschi. Solo che c’è un problema, un grosso problema. Il mio palazzo è stato costruito negli anni Sessanta, durante il boom economico, con poca accuratezza e molta superficialità. Insomma, le pareti servono solo a separare, non a isolare. La vita è una continua condivisione con i vicini: i pianti dei bambini al mio fianco, la pipì e lo sciacquone della signora di sopra, un colpo di tosse di Marino, il vecchio (è proprio il caso di dirlo) amico che si trova sotto i miei piedi. Qui, se hai il sonno leggero, persino una scoreggia due piani più su può svegliarti.

Dopo le prime tre nottate in bianco ho afferrato il cuscino e mi sono trasferito sul divano. Poi un giorno i gentili vicini mi hanno invitato a cena, forse perché pensavano che fossi un vecchio solo e bisognoso di aiuto. Che fossi solo era ed è vero, ma non ho bisogno di alcun aiuto. In ogni caso sono stato costretto a dire di sì e a trascorrere una serata in compagnia di quei rompiscatole che mi avevano rubato il sonno. Loro pensavano che mi sarei intenerito di fronte alle piccole creature, che fossi uno di quei vecchi rimbecilliti che per non pensare alla morte si attacca a chi ha ancora una vita davanti. Insomma, speravano che il mio cuore fosse meno ruvido. Si sbagliavano. In genere si dice che il tempo addolcisce il carattere, soprattutto per quel che riguarda gli uomini. Molti padri severi si tramutano in nonni affettuosi. A me è capitato il contrario, sono nato dolce e morirò burbero.

Ma mi accorgo di essere andato fuori tema. Stavo parlando della nuova coppia di vicini e del fatto che lui, secondo me, picchia lei. L’ho detto, dormo poco e male. L’altro ieri notte mi stavo ancora rigirando fra le lenzuola quando i due hanno cominciato a litigare. All’inizio si sentiva solo la voce alterata di lei, poi, a un certo punto, anche lui ha iniziato a inveire. Dopo un po’ ho avvertito un tonfo, come se un oggetto pesante fosse caduto in terra, quindi il silenzio. Mi sono incuriosito e ho avvicinato l’orecchio alla parete. Non credo di sbagliarmi nel dire che lei piangeva e lui la consolava. La mattina dopo, mentre ero intento ad aprire la cassetta delle lettere, è arrivata Emma. Indossava degli occhiali scuri e guardava per terra. Appena mi ha visto, ha girato le spalle e si è arrampicata per le scale.

«Buongiorno» le ho detto, ma lei era già lontana.

Sono sicuro che avesse un occhio livido e gonfio, perciò una volta giunto al piano mi è venuta voglia di bussare per sapere se fosse tutto a posto. Ho anche allungato la mano verso il campanello, poi all’ultimo istante ho cambiato idea. Ho sempre pensato ai fatti miei e mi sono trovato bene, perché avventurarmi in cose che non mi riguardavano? Che poi lei, la mia vicina, è adulta e vaccinata: se il marito la picchia è libera di andarsene. Per il resto della giornata mi sono dimenticato della vicenda fino a quando, stamane, mi sono trovato sul pianerottolo la ragazza che rovistava nella borsa in cerca delle chiavi e mi dava le spalle. Al mio saluto ha ricambiato con un sorriso frettoloso che non le ha permesso di nascondere il labbro turgido e malconcio.

È vero, sono uno scorbutico, e, se uno dei miei figli avrà mai il coraggio di salire sul coso dove si fanno le omelie per prodursi in un elenco dei miei pregi, non credo potrà definirmi un uomo socievole. Non odio la gente, è solo che sono troppo preso da me per occuparmi degli altri. Lo diceva sempre anche Caterina: «Non sei cattivo, sei solo egoista». Non sono mai stato d’accordo. L’egoista è qualcuno che persegue il proprio benessere a ogni costo, io il benessere non l’ho mai raggiunto. Anche come egoista ho fallito.

Ma dicevamo della mia vicina. La violenza sulle donne è uno di quei temi che ascolti al telegiornale, qualcosa di lontano dalla vita di noi «gente comune». Un po’ come l’omicidio, è difficile che qualcuno di mia conoscenza muoia assassinato, più facile che lo becchi un fulmine mentre aggiusta la parabola.

Insomma, adesso questa benedetta donna mi infastidisce non poco, perché stavolta non posso fare finta di nulla, soprattutto se lei si ostina a girovagare per il palazzo con il viso tumefatto. Perciò ho deciso di intervenire, anche se non so ancora come.

Credo che ne parlerò con Marino, può darsi che a lui venga un’idea.

Anche se è più facile che domani il sole non sorga.