Capitolo 22
A mezzogiorno si era messo a piovere, grossi goccioloni che bagnavano fino alle ossa, ma ci voleva altro per scoraggiare Marco. Fece un veloce spuntino da Menegazzo e, senza fermarsi a leggere i giornali, si avviò a piedi verso il sestiere di Castello.
Sulla riva degli Schiavoni la pioggia arrivava gelida di stravento e Marco dovette avvolgersi meglio nel mantello e calcarsi il cappello in testa. Incrociava rari passanti, che a capo chino trottavano dritti alla loro meta. Il mare verso il Lido era grigio e gonfio di cavalloni.
A casa dei Biondini era certo che avrebbe saputo finalmente qualcosa di preciso sulla scomparsa della povera Marianna. Avrebbe sentito la zia e i vicini, poi quell’amica. Non li avrebbe informati della morte della ragazza. Ciò che aveva detto Lucrezia Scalfi era tutto da verificare.
Gli squeri sul bacino di San Marco, i piccoli cantieri da cui uscivano le gondole e le barche da carico, erano deserti. Marco superò l’Arsenale e le case della Marinarezza, destinate ai lavoratori specializzati, e si inoltrò sulla salizàda del rio Sant’Anna. L’acqua battuta dalla pioggia si increspava in onde scure.
Non gli fu difficile trovare la calle Grimana, un vicolo preceduto da un sottoportico che finiva sul rio Tana, adiacente all’Arsenale. Quella che cercava era una casetta di due piani dall’intonaco rosa. Marco bussò col batacchio di ottone.
«Chi è là?» Si socchiuse una finestra del secondo piano e apparve un viso di donna che si ritrasse rapido. «Scendo subito ad aprire, signore.»
Marco colse un tono di rispetto. Passi affrettati scesero le scale e la porta si aprì mostrando una donna anziana ancora florida vestita con proprietà, i capelli raccolti in una crocchia ordinata di un bel color rame.
Un paio di occhi azzurri incuriositi lo scrutarono un attimo, presero un’espressione stupefatta, poi la donna si fece da parte inchinandosi. «Eccellenza, lei in casa mia, in un giorno simile! Si accomodi, di sopra c’è il fuoco acceso.» Si portò una mano al cuore. «C’è qualche novità?» Adesso era spaventata. «Si accomodi, le faccio strada.» E prese a salire le scale.
Marco intravide al primo piano due linde camere da letto e di sopra entrò in una vasta cucina confortevole. «Come fa a sapere chi sono?» chiese liberandosi del mantello e sedendo su una panca vicino al fuoco, con le gambe allungate per asciugare gli stivali.
«A Venezia chi non conosce l’avogadore Pisani? Sapesse quante volte avrei voluto venire da lei dopo la scomparsa di mia nipote… Ma l’avete trovata? È qui per questo?» Aveva l’affanno nella voce ed era impallidita.
«Non ci sono novità, signora, si calmi» mentì Marco. «Ma abbiamo riaperto le indagini e sono qui per farle qualche domanda. Lei è la zia di Marianna, se non sbaglio.»
La donna sembrò calmarsi un poco. «Sì, sono Giannina Biondini, la sorella del padre di Marianna. Povera la mia piccola, cosa le è capitato?» Gli occhi si riempirono di lacrime. «Ma come sono scortese, lei sarà infreddolito, lasci che le prepari un caffè.»
Mentre la donna trafficava sul fornello Pisani si guardò intorno. La stanza era accogliente, con due panche vicino al focolare imbottite di cuscini ricamati, un tavolo di legno ben lucidato sovrastato da una piattaia e un paio di comode poltrone in un angolo. Alcune lampade a olio rompevano l’oscurità del pomeriggio. Su un fornello di pietra un calderone borbottava spandendo un buon odore di brodo. Non era una casa povera.
Presero il caffè seduti al tavolo e Pisani gustò con piacere i dolcetti di Giannina.
«Erano i preferiti di Marianna» sospirò la zia. «Li trova pronti perché mio fratello è tornato da pochi giorni da uno dei suoi viaggi. Ma le sto facendo perdere tempo. Sono onorata che si sia mosso di persona per interrogarmi. Sarei venuta io a Palazzo Ducale per non incomodarla. Mi chieda.»
«Sono qui, signora…» Marco provava un istintivo rispetto per quella popolana. «Sono qui per chiederle di ricordare ancora una volta ciò che successe il giorno della scomparsa di sua nipote. Può essere necessario per cercarla ancora…»
«Mia nipote, sa» cominciò la donna, «era una ragazza semplice ma molto bella e di modi gentili. L’ho allevata io perché sua madre, che Dio l’abbia in gloria, è stata per anni malata di petto. Era delicata e dopo che partorì Marianna cominciò a perdere le forze. Si spense quando la bimba aveva sette anni.» Giannina si asciugò una lacrima col lembo del grembiule. «Abitavo già con loro» ricordò la donna, «e Marianna l’ho vista nascere. Quando è morta sua madre, la bambina è diventata l’unico scopo di vita per me e per suo padre. Mio fratello è un bravo carpentiere navale e rimane imbarcato molti mesi l’anno. Guadagna bene e non ci ha mai fatto mancare niente. Quanto a Marianna, poi, voleva che fosse allevata come una signorina.»
«Mi hanno detto che lavorava» la interruppe Marco.
«Infatti suo padre non voleva che crescesse con le mani in mano e i grilli in testa, ma faceva un lavoro delicato, era cucitrice in bianco in un laboratorio poco lontano di qui. E intanto preparava il suo corredo.»
Marco ricordò che nel fascicolo della polizia era menzionato un fidanzato. «Era in procinto di sposarsi?» chiese.
Giannina si alzò per andare ad attizzare il fuoco. Un volo di scintille illuminò l’antro cupo della cappa. «Certo» disse voltandosi verso Pisani. Il riflesso del fuoco aureolò la chioma ramata. «Era a pochi mesi dalle nozze.» Volse il viso alla finestra per nascondere le lacrime. Quando continuò, la sua voce era incrinata. «Doveva sposarsi a settembre, al ritorno del padre. Era già pronto l’abito da sposa… Guardi, eccellenza.»
Si diresse verso un armadio e lo aprì, ne tolse un ricco abito di seta bianca ornato di perline. Nel riporlo si mise a singhiozzare.
«È sempre qui da allora, pronto, in attesa che ritorni… La casa senza di lei è così vuota e silenziosa!»
«E il fidanzato?»
«Il migliore dei giovani, si conoscevano da bambini. Sapevamo tutti fin da quando erano piccoli che avrebbero finito per sposarsi. Il suo nome era Giorgio Sporti, il fratello di Angela, la sua migliore amica. Tutti lo chiamavano Giorgione perché era grande e grosso: li avesse visti insieme, lei così bionda, delicata, e lui un pezzo di giovanotto.»
«Perché ne parla al passato?»
Giannina sospirò. «Dopo la scomparsa di Marianna è sparito anche lui» raccontò. «Era apprendista fornaio in campo San Zanipolo, da mastro Luca, ma presto avrebbe aperto la sua bottega e stava già cercando casa per il matrimonio.» La donna sorrise ricordando. «Pensi che lavorava tutte le notti fino all’alba, ma abitava qui di fronte e tornando a casa si fermava un attimo da noi per portare a Marianna una pagnotta ancora calda, appena sfornata. Il profumo riempiva la casa. Marianna gli preparava il caffè, chiacchieravano un poco, poi lei andava al laboratorio e lui a dormire.» Giannina estrasse un fazzoletto dalla tasca del grembiule per asciugarsi gli occhi. «Le aveva già regalato l’anello col brillante, sa, quello che si usa nei fidanzamenti, il ricordino. Erano felici insieme.»
«Come è sparito?» Marco nascondeva la commozione martellando la donna di domande, ma al ricordo di ciò che aveva raccontato Lucrezia si indignava sempre più.
«È stato qualche giorno dopo la scomparsa di Marianna, quando abbiamo capito che non sarebbe più tornata.» Giannina si nascose il viso tra le mani. «Gli sbirri dicevano che di sicuro era fuggita con un uomo… che le ragazze hanno sempre dei segreti, che non dovevamo preoccuparci perché prima o poi sarebbe tornata a casa, magari con un marmocchio al collo.»
Ah, Brusìn, pensò Marco, ti toccherà un’altra lavata di capo.
«Giorgione non ce la faceva più a stare qui, dove anche le pietre gliela ricordavano» continuava intanto la donna, «e si è imbarcato su una nave in partenza che cercava un fornaio. Non ne abbiamo più saputo nulla.»
«E gli sbirri?»
«Oh quelli, sono stati ben contenti. Dopo un paio di settimane, presi da uno scrupolo, sono venuti a interrogarlo e hanno saputo che si era imbarcato, così hanno concluso che erano fuggiti insieme e hanno smesso di cercarla. Dicevano che non era morta perché si sarebbe trovato il corpo, quindi doveva essere partita col fidanzato. Io ho avuto un bel dire che non c’era motivo che i ragazzi fuggissero perché qui non avevano problemi: non mi hanno ascoltata. Fra l’altro in quei giorni ero sola, suo padre era in viaggio.»
«Mi parli di quel giorno» la interruppe Pisani sedendosi vicino al fuoco.
La donna si accomodò di fronte a lui, raccolse un attimo i ricordi. «Era il 23 maggio, una domenica pomeriggio. Si era aperta da poco in piazza San Marco la fiera della Sensa; l’Ascensione quell’anno cadeva il giorno 28. Lei sa come le ragazze sono attratte dalla fiera, con tutti quei padiglioni che presentano articoli di moda, ninnoli, vetri, soprammobili. Ma Marianna aveva una cosa sola in testa, un mantello di scarlatto veneziano…»
La visione di Chiara che tornava… quel mantello che era stato un sudario.
«Era da tempo che lo desiderava» proseguiva Giannina assorta nei ricordi. «Era molto costoso, ma suo padre, che non le negava nulla, prima di partire le aveva lasciato il denaro, e lei quel giorno… quel maledetto giorno… uscì tutta contenta a metà pomeriggio con la sua amica Angela. Non l’ho più vista.»
Passi pesanti che salivano le scale interruppero la conversazione. Si stagliò sulla soglia la figura massiccia di un uomo anziano vestito da arsenalotto, avvolto in un ampio tabarro, le mani protette da guanti di lana, il volto cotto dal sole solcato da rughe profonde. Al vedere l’avogadore si fermò interdetto.
«Ecco mio fratello, eccellenza, il padre di Marianna» lo presentò Giannina aiutando l’uomo a togliersi il mantello. «L’avogadore Pisani si è incomodato a venire da noi perché vuole riaprire il caso della scomparsa di Marianna. Volesse il cielo che la ritrovassero!»
Biondini non poté trattenere una smorfia di dolore mentre accennava un inchino. «Povera Marianna» mormorò, «non tornerà più. Almeno riposasse in pace.» Prese un fiasco dalla credenza. «Vuole favorire, eccellenza?» E al diniego di Pisani andò a sedere accanto al tavolo e si versò un bicchiere di vino. «Mi deve scusare» continuò sorseggiando il liquido ambrato. «Sono tutto intirizzito. I miei modi sono rozzi, avogadore Pisani, ma sono onorato della sua presenza nella mia casa e dell’interessamento per la scomparsa di mia figlia. Ma…» E gli si gonfiarono gli occhi di pianto. «…è passato un anno e mezzo.» Chinò il capo. «Non ho più nessun motivo di sperare di rivederla. Vorrei solo darle una sepoltura cristiana.»
«Perché pensa che sia morta?»
Il vecchio parlò con voce incolore. «Marianna non può essere fuggita di sua volontà, stava bene con noi, amava il suo Giorgione, non vedeva l’ora di diventare sua moglie. Quando è scomparsa io non c’ero, ero partito da poco alla volta della Siria dove la mia nave doveva consegnare un carico. Allo sbarco ho trovato la lettera di mia sorella che mi aveva preceduto. Mi scriveva che Marianna era gravemente malata.»
«Non volevo dargli la notizia all’improvviso, lui era lontano, non poteva fare nulla» spiegò la donna. «Poi i primi giorni speravo che venisse ritrovata.»
«E dopo qualche mese mi è arrivata un’altra lettera in cui Giannina, che aveva perso le speranze, diceva che la mia Marianna era morta di malattia. Può immaginare il mio stato d’animo. Ma non sapevo ancora che invece era scomparsa.»
«Quando l’ha saputo?»
«Solo due o tre giorni fa, quando sono tornato. L’autunno scorso ero tanto sconvolto che non me la sono sentita di rientrare, di vivere in questa casa senza la mia Marianna. Mi sono procurato un lavoro nella capitale dell’impero, dove noi artigiani veneziani siamo sempre ricercati, e sono rimasto là fino a novembre, quando ho trovato posto su una nave passeggeri.»
«E cosa ha fatto una volta che ha saputo della scomparsa?»
«Che potevo fare? Ho capito subito che non era fuggita e che non era nemmeno stata rapita, come sperava mia sorella. Marianna era intelligente, sapeva leggere e scrivere. Se fosse stata rapita avrebbe trovato modo di comunicare. E poi perché avrebbero dovuto rapirla?»
«Lei cosa pensa che sia successo?» incalzò Pisani.
«Non lo so» sospirò Biondini chinando di nuovo il capo. «Ma sono certo che Marianna non tornerà più. Ormai l’unica mia speranza è ritrovare il corpo…»
Povera gente! La zia non voleva pensarci, ma il padre non si illudeva più. Marco si ripromise di trovare a ogni costo almeno il corpo da seppellire. Sarebbe stata una misera consolazione, ma sempre meglio dell’incertezza.
«Mi stava parlando del giorno della scomparsa» continuò rivolto a Giannina.
«Di ciò che è successo dopo che Marianna è uscita di casa so solo quello che ha raccontato la sua amica Angela Sporti. Forse è meglio che parli con lei direttamente.» Si avvicinò alla finestra. «Vede, abita nella casa in fondo alla calle, sul rio Tana. E lei sa qualcosa di più su Giorgione che, come le dicevo, era il fidanzato di Marianna.»
Mentre si dirigeva a casa degli Sporti, Marco provava una fitta di rimorso per avere taciuto la morte della ragazza. Ma prima voleva sapere che fine aveva fatto il cadavere.