Capitolo 10

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Hai buone notizie?» Marco apostrofò con impazienza il suo gondoliere appena lo vide arrivare sorridente e un po’ brillo.

«Ottime, paròn. Notizie che valgono un bel po’ di ducati.»

Zen si mise a ridere. «Ma tu non sei già pagato, e anche molto bene?»

«Certo, avvocato» lo rintuzzò Nani, spalancandogli in faccia gli occhi limpidi. «Ma questo è lavoro altamente specializzato, e ha un costo a parte.»

Questa volta fu Marco a ridere, allungando al gondoliere un affettuoso scappellotto.

I tre si avviarono verso l’ufficio dell’avvocato che era a pochi passi. Le finestre davano in campo San Moisè da cui si levava il brusio della folla in attesa delle esequie. Le notizie erano davvero interessanti, e Marco se le fece raccontare per filo e per segno, prendendo appunti.

«Cosa ne pensi?» concluse rivolto a Daniele appena Nani fu uscito a recuperare la gondola.

«Più si scava più la faccenda si complica» osservò Zen. «I delitti sono collegati, non c’è dubbio: le due vittime si conoscevano bene e sono morte in circostanze identiche.»

«Ma quale storia avevano in comune, così grave da decretarne la morte? Spionaggio? Corner non aveva bisogno di soldi, ma a volte, chissà… Magari era vittima di un ricatto. O delitto d’onore? La vicenda della cameriera sedotta risale a tre anni fa, ma vale la pena sapere che fine ha fatto.»

«Puoi rimettere in pista Nani: a interrogare la gente e a fare indagini è molto più bravo degli sbirri.»

«Sì, in qualche modo dovrò cercare quella ragazza. Hai ragione a proposito di Nani, non so come farei senza di lui, è sveglio, fidato e ha fantasia e iniziativa. Ha anche studiato. Sarebbe un ottimo funzionario dello stato, a volte mi spiace che sia un domestico, forse dovrei fare qualcosa per lui.»

«Ma con te sta bene, guadagna parecchio e si diverte. È stata una fortuna che sia arrivato in casa tua.»

Marco sorrise ricordando il fatto. Cinque anni prima, una mattina d’inverno, un giovinetto era arrivato di corsa al suo cancello di casa e si era attaccato furiosamente al batacchio chiamando a gran voce perché qualcuno gli aprisse, come fosse inseguito. Era un ragazzino, avrà avuto sedici anni. Aveva saputo che l’avogadore cercava un gondoliere, il suo fedele Martino era già vecchio e preferiva tenerlo in casa ad aiutare le donne, e l’altro servo, Giuseppe, bravissimo a servire in tavola e a pulire l’argenteria, non avrebbe mai toccato un remo. Nani lo aveva supplicato di assumerlo, gli aveva assicurato che non se ne sarebbe mai pentito, e aveva avuto ragione.

La storia di Giovanni Casadio, detto Nani, era simile a quella di tanti altri ragazzi. Era un figlio di nessuno, abbandonato sul sagrato di una chiesa e allevato nell’orfanotrofio dei padri Scolopi. Una vicenda piuttosto frequente a Venezia, dove cortigiane, serve, contadine dei dintorni ma anche fanciulle della nobiltà o ragazze povere si liberavano in segreto dei figli indesiderati. Gli orfanotrofi, numerosi in città, li allevavano fino ai sedici anni, davano loro una certa istruzione e insegnavano un mestiere.

Ma Nani per sua disgrazia si era rivelato molto intelligente, e i padri Scolopi avevano progettato di metterlo in seminario e farne un prete, anche se non aveva mostrato nessun segno di vocazione. Così una notte il ragazzo era fuggito ed era corso a mettersi sotto la protezione di Pisani, il quale lo aveva assunto e aveva provveduto a consolare gli Scolopi con una generosa donazione.

«E con Chiara come va?» cambiò discorso Zen.

«L’ho invitata questa sera al Leon Bianco; per lei ho scelto la locanda più elegante e non credo che rimarrà delusa. Non posso farle la corte a casa sua, visto che vive sola. Secondo te come mi devo presentare? Posso arrivare direttamente da lei con la gondola all’ora di cena? Le devo scrivere prima un biglietto? Tu che sei pratico di corteggiamenti, come si usa?» Marco non aveva vissuto in castità gli anni di vedovanza, ma il pensiero di Chiara lo rendeva insicuro come un adolescente alle prime armi.

Daniele si alzò dalla sedia. «Metti il mantello e vieni con me» decretò.

Lo guidò alle Mercerie, la calle dei negozi più esclusivi, che a quell’ora, era quasi mezzogiorno, erano affollati di gente elegante. Dalla vetrina di una bottega la Piàvola di Francia, un manichino a grandezza naturale che vestiva sempre alla moda di Parigi, esibiva uno splendido abito di broccato verde à l’andrienne, con il mantello che partiva dalle spalle e formava un breve strascico. I due amici entrarono.

«Non guardare l’abito» ammonì Daniele. «Gli abiti si regalano alle amanti. Io piuttosto sceglierei un ventaglio.»

E fu così che uno sbalordito Nani fu incaricato di portare al laboratorio di Chiara Renier vicino alla chiesa dei Gesuiti un elegante pacchetto accompagnato da un biglietto che Marco aveva sigillato per prudenza, ben conoscendo la curiosità del suo gondoliere.

«Ma paròn» ebbe appena il tempo di obiettare Nani, «quella è una donna giovane e bella. Prenderà il regalo per un corteggiamento…»

«Nani, occupati dei fatti tuoi» lo ammonì Marco. «Come lo deve prendere? Vedi di essere gentile e fatti trovare alle Zattere verso le tre.»

«Ecco perché l’altro giorno ha accompagnato a casa quel ragazzo uscito di prigione e poi si è fermato qui due ore» borbottò Nani andando via. «Come ho fatto a non capire che c’era di mezzo una donna?»

«Ma ti pare possibile» sorrise Marco rivolto a Daniele, «che in casa mia nessuno abbia un po’ di soggezione di me? Se quel fanfarone va in giro a chiacchierare, giuro che gli torco il collo.»

 

L’osteria della Pergola, sulla riva delle Zattere, di fronte all’isola della Giudecca, era un vasto stanzone illuminato anche di giorno da lampade a olio che pendevano dalle travi del soffitto, fra pezzi di lardo e prosciutti. I tavoli erano coperti da tovaglie a quadretti e apparecchiati con stoviglie di terracotta. C’erano già numerosi avventori, mercanti al minuto che erano stati alla Dogana, negozianti, grossisti che venivano da fuori città, qualche marinaio.

Marco entrò avvolto nel mantello e scorse subito Baldo Vannucci, seduto a un tavolo vicino al banco di mescita, nei pressi del grande focolare da cui si levavano odori appetitosi. Poco lontano la padrona era affaccendata a friggere sarde ripiene che un garzone provvedeva man mano a infarinare. Una giovane serva rimestava uno stufato in un paiolo.

Di mezza età, Vannucci appariva un po’ trasandato; piccolo e magro, era insaccato in un abito scuro che aveva visto tempi migliori. Aveva una botteguccia di gioielli usati nei pressi di campo Santo Stefano e faceva la spia per gli Inquisitori. Era lui che Pisani aveva convocato il giorno prima tramite Nani. Al vedere l’avogadore, si alzò cerimoniosamente togliendosi il cappello.

Pisani non amava servirsi delle spie per le sue indagini, sapeva che per qualche ducato alcuni non esitavano a calunniare anche amici e parenti. Ma nessuno come Vannucci conosceva il sottobosco della città. Andavano da lui a confidarsi o a vendere oggetti preziosi i nobili indebitati, le cortigiane in declino, i domestici che rubacchiavano, oltre a venditori ambulanti, operai, letterati senza un soldo, tutta gente che parlava volentieri del prossimo, conosceva segreti poco puliti e frequentava ambienti diversi. Vannucci sapeva a chi rivolgersi quando aveva bisogno di informazioni e, nell’affollato e variegato mondo delle spie, era uno dei più attendibili.

Ordinarono polenta e osèi e Marco affrontò il discorso. «Non serve che ti raccomandi la più assoluta segretezza sull’oggetto del nostro incontro.»

Vannucci assentì con vigore. «So che i due giovani patrizi che sono stati assassinati di recente, mi riferisco a Piero Corner e Marino Barbaro, qualche tempo fa si frequentavano assiduamente. Voglio che tu mi racconti tutto quello che hai sentito dire sulla loro comitiva, come si divertivano, se avevano debiti, se hanno offeso gravemente qualcuno.»

«Sì, eccellenza, ieri il suo domestico mi ha accennato al motivo del nostro incontro, che mi onora…»

«Veniamo al dunque» lo interruppe Marco.

Vannucci lasciò perdere le cerimonie, all’avogadore Pisani non erano mai gradite, e raccolse un attimo le idee. Quindi parlò con voce bassa ma nitida, scandendo bene le parole.

«Qualcosa sapevo già» ammise, «ma in queste ultime ore ho avuto il tempo di comporre un quadro più preciso. Prima che Corner si sposasse, la compagnia fissa era di quattro giovani. C’era appunto il Corner, lei sa chi era. Soldi in tasca anche troppi, sua madre gli teneva le briglie sciolte, così, essendo lui il capofamiglia, non si faceva mancare niente. Tutte le sere a giocare al Ridotto e nei casini dei nobili, spesso nei salotti delle cortigiane, e non solo di quelle onorate, a lui andavano bene anche le puttane di calle delle Tette. Pare perfino, ma di questa storia so molto poco, che abbia sedotto e messo incinta una servetta di casa. Insieme agli altri andava a bere nelle peggiori bettole e spesso dovevano portarlo a casa a braccia. Un miracolo che qualche notte non sia annegato in un canale, ma gli altri non lo lasciavano mai solo: era lui che pagava, e guai se gli succedeva qualcosa.»

«Qualche nemico che avesse giurato di fargliela pagare?»

«Non sembra, perché in un modo o nell’altro con i soldi dei Corner si aggiustava sempre tutto.»

«Ma poi lui è cambiato.»

«Dopo il matrimonio. La sposa era stata scelta e imposta da sua madre, che non ne poteva più di quel figlio scapestrato. Per qualche miracolo, i due giovani come si sono conosciuti si sono innamorati follemente, e lui ha cambiato vita.»

Arrivava in quel momento il garzone con i piatti e per un po’ si fece silenzio.

«E gli altri?» riprese Marco mangiando con gusto la polenta insaporita con lo stufato di uccelletti. Anche il vino era un bianco fresco più che gradevole. Grazie all’abbigliamento anonimo, si permetteva quei piccoli piaceri senza dare nell’occhio.

Baldo mangiava educatamente, a piccoli bocconi. Era un po’ intimidito, non gli capitava tutti i giorni di condividere la tavola con un avogadore. Voleva essere esauriente, soddisfare Pisani. Sapeva che era uomo capace di ricordare chi lo aveva servito bene, ed essere in buoni rapporti con lui poteva sempre rivelarsi proficuo, specie per uno che faceva un mestiere ingrato come il suo.

«Di Barbaro credo che lei sappia già tutto» continuò. «Un disgraziato che non faceva onore ai suoi nobili antenati, che viveva di piccoli traffici spesso al limite della truffa, e si divertiva a spese di Corner. Era Barbaro che lo istigava a bere e a giocare, mi hanno detto che aveva una percentuale nei locali dove lo portava. Sembra che lo adulasse, gli diceva che lui era il più in gamba di tutti, che le regole per gente del suo livello non valevano, cose così. Il terzo della comitiva era Paolo Labia.»

Le informazioni che la Zanetta aveva fornito a Nani erano esatte, pensò Marco, ma Vannucci gli stava facendo un profilo completo.

«Labia» aggiunse l’altro, «era il più innocuo. Nessuno l’ha mai visto prendere l’iniziativa di una birbonata, ma si accodava volentieri, si divertiva anche lui a bere e giocare. Le donne no, pare che non gli piacciano… ma le puttane dei bordelli dicono che non si rifiutava di stare a guardare. Anche i Labia sono ricchissimi, ma Paolo era tenuto a stecchetto, e la borsa di Corner pagava anche per lui.»

Chissà in che sottobosco umano andava a pescare le informazioni quest’uomo, se in un solo giorno si era fatto un quadro così preciso, pensava Marco. «E il quarto?» lo incalzò.

«Il quarto era Biagio, Biagio Domenici, un tipo decisamente losco. Qualche volta è venuto da me a vendere anche roba rubata…» Vannucci si fermò, timoroso di avere detto troppo, i suoi occhietti penetranti si fecero preoccupati.

Pisani fece cenno alla padrona di portare un’altra caraffa. «Vai avanti, non mi interessa quello che fai tu» lo incoraggiò versando il vino.

«Domenici dunque… Pare che fino a quattro anni fa fosse il gondoliere di Barbaro. Poi questi non poteva più pagarlo e Corner, per non dividere la compagnia, l’ha assunto al suo servizio.»

«Ed è stato licenziato esattamente un anno fa, quando Corner si è sposato» concluse Pisani.

«Giusto, eccellenza. Però ho scoperto una cosa strana: la madre di Biagio aveva una furàtola vicino al fondaco dei Turchi, una stamberga piccola e fumosa con cui riusciva a malapena a campare. Dunque, nell’estate dell’anno scorso, sei mesi prima che il figlio fosse licenziato, ha comperato sempre da quelle parti un locale grande e bene arredato; nessuno mi ha saputo dire come l’ha pagato.»

«E adesso Biagio dov’è?»

Vannucci bevve un sorso di vino. Ormai era rilassato, quasi sorridente. «Pare che stia nella locanda con la madre. Più che altro gioca a carte. L’osteria attira tipi loschi, turchi, albanesi, marinai di passaggio, ma certo Biagio si è sistemato, perché in quella posizione il locale è sempre pieno di clienti, anche se non è troppo pulito.»

 

Tornava in ballo la pista turca, pensava Marco sulla gondola che lo portava all’Arsenale. Prima della serata con Chiara c’era ancora tempo per fare visita ad Alvise Cappello; forse l’amico aveva già le informazioni sul materiale trovato a casa del barnabotto.

E per sapere com’era andata la storia della Lucietta Segati, la cameriera sedotta e, a quanto pareva, rimasta incinta, l’unica soluzione era andare a cercarla al suo paese.