Capitolo 6
Nascosto all’ombra del sotopòrtego che si apriva sul vasto campo San Barnaba, Nani osservava da un po’ l’andirivieni della casa della vittima, dall’altra parte del canale. Vi abitavano solo barnabotti come Marino Barbaro, uno più miserando dell’altro.
Aveva visto uscire dal portone un vecchio col mantello stracciato ma in calze di seta. Una servetta dall’aria scontenta era sbucata da un altro uscio, ma solo per raggiungere un garzone che la stava aspettando; erano scomparsi insieme dietro l’angolo ad amoreggiare. Stava rientrando una vecchia dama con un abito fuori moda e mezzi guanti di pizzo, e si era infilata in casa da uno spiraglio del suo portoncino che si era richiuso con cura alle spalle.
L’unica fonte di informazioni, come gli aveva suggerito il padrone, poteva essere quella ragazza un po’ goffa che si affaccendava nella bottega di abiti di seconda mano. Aveva due occhi piccoli ma inquisitori, ai quali non doveva sfuggire niente di quello che succedeva nell’edificio.
Stava calando il sole e Nani si affrettò a varcare il ponte dei Pugni e a entrare nella rivendita.
«Per servirla, bel giovane» lo apostrofò sfrontatamente la ragazza muovendogli incontro.
Nani finse di gironzolare per la bottega. Sollevò con due dita una giacca che giaceva su un mucchio di indumenti, frugò un poco dentro una cassa di camicie merlettate dal colore sospetto, figurò di provarsi una bautta, la mezza maschera col mantello nero sotto cui tutti si nascondevano per carnevale.
«Cerca qualcosa per una festa?» si fece sotto la ragazza. Aveva un viso tondo da contadina, non privo di una certa bellezza; era alta, di forme opulente, con un gran seno che sfuggiva dal corpetto. «Mi chiamo Zanetta, per servirla. Lei, con la sua corporatura, può mettersi anche parrucca bianca e tricorno e tutti la scambieranno per un signore. Ecco, provi questa.»
Nani osservò con disgusto i riccioli candidi che pendevano da un portaparrucche in un angolo. Calcolò quanti parassiti potevano ospitare e si tenne bene alla larga; aveva appreso dal suo padrone l’amore per la pulizia.
«Mah, devo pensarci…» obiettò. «Ora ho bisogno di bere qualcosa per scaldarmi, questo inverno è sereno ma freddo. Perché non mi accompagna al bàcaro qui vicino? Io mi chiamo Nani.» Non era il tipo di ragazza con la quale farsi vedere in una bottega di caffè di tono elegante.
La Zanetta non si fece pregare. Oltre che avvenente, con quegli occhi color del mare e le spalle larghe, quel giovane aveva l’aria di essere benestante. «Un attimo, chiudo la bottega e vengo.» Si buttò in testa uno zendado di pizzo, sbarrò il portoncino e si avviò con Nani tutta soddisfatta. La giornata era stata fiacca, ma il finale prometteva bene.
Il bàcaro era meno peggio di quanto Nani temesse, data la zona. Un bel fuoco ardeva nel camino e contribuiva a illuminare il locale. I bicchieri sul bancone di mescita sembravano puliti e la padrona vestiva un grembiule immacolato. Scelsero un tavolo d’angolo e ordinarono due ombre di bianco frizzantino.
«Alla salute» sorrise Nani alzando il bicchiere. «Sarai stanca dopo una giornata di lavoro.»
«A San Barnaba non si lavora molto» sospirò la ragazza, lusingata per l’approccio confidenziale. «Quei miserabili che abitano nel palazzo non hanno soldi nemmeno per gli abiti usati. E pensare che io vendo roba bella, portata poco. Certi abiti me li procurano le cameriere di case patrizie, e sono abiti eleganti, anche se prima le padrone fanno togliere perle e passamanerie d’oro.»
«Ma c’è vicino il Casìn dei Nobili, la casa da gioco.»
«Oh, quelli. Alcuni hanno soldi, ma quando arrivano qui gli frulla in testa solo il gioco d’azzardo, e poi la gente ricca non compera roba di seconda mano. E molti sono dei disgraziati.»
Era tempo di affrontare l’argomento. «Ho sentito dire che ieri è morto un inquilino del palazzo…» considerò Nani quasi fra sé, con fare distratto.
«Già, il Barbaro, poveretto. L’hanno strangolato.»
«Tu lo conoscevi? Di sicuro avrà fatto un po’ di corte a una bella ragazza come te» insinuò Nani.
La Zanetta sorrise compiaciuta. «Come fai a saperlo? Ogni tanto mi gironzolava intorno, entrava in bottega, si tratteneva delle mezze ore senza mai comprare niente. In compenso appena poteva allungava le mani, ma io non sono di quelle, e lo cacciavo via.» E strinse le labbra in un’espressione virtuosa.
«Chissà chi l’ha ammazzato… Ma era uno che stava da solo o aveva degli amici?»
«Li aveva eccome, peggio di lui.»
Nani doveva stare attento a non insospettirla. «E anche loro ti facevano la corte?»
«No, quelli erano dei signori, almeno due; il terzo era un servo.»
«Che strana combriccola.» Nani doveva muoversi con prudenza. Cambiò volutamente discorso. «Da dove vieni tu, Zanetta? Non parli come a Venezia.»
«Infatti. Vengo dal Polesine. Mio padre è un contadino, io sono riuscita a diventare apprendista e tre anni fa mi sono comperata la bottega di rigattiera. Vendere abiti usati non è troppo difficile, l’Arte lascia entrare anche chi viene da fuori.»
«Quindi sei benestante. Sei sicura che Barbaro non volesse sposarti?»
«Lui? Anche se era un poveraccio conservava tutta la superbia dei nobili, si comportava come se fosse stato ricco come i suoi amici. E anche il servo che stava con loro era borioso, ed era una vera canaglia. Ho sentito certe cose, quando credevano che fossi nell’altra stanza… Sai, gli amici non salivano mai in casa di Barbaro, e quando faceva freddo alcune volte si fermavano ad aspettarlo nella mia bottega.»
«E cos’hai sentito?»
«Abbastanza per starci attenta.» Sembrava che la Zanetta non volesse proseguire. A Venezia la gente adorava ciacolàre, ma solo se si trattava di pettegolezzi senza conseguenze. Se appena qualcuno sospettava che le sue parole potessero essere riportate alle forze dell’ordine si chiudeva come un’ostrica. Per la città aleggiava ancora il timore del tribunale degli Inquisitori e delle sue spie, anche se era passato più di un secolo da quando i suoi processi si svolgevano in un alone di pauroso mistero.
«Non dirmi che volevano farti del male! A una ragazza a posto come te!» L’indignazione di Nani sembrava autentica. Ma che fatica farla parlare. Come riusciva il suo padrone a interrogare la gente per mestiere?
La Zanetta sembrò compiaciuta dalla premura di Nani. «A me no, ma so che un’altra ragazza se l’è vista brutta.»
«Cosa le è successo? L’hanno… violentata?» azzardò Nani.
Zanetta arrossì. «È stato qualche anno fa, ero qui da poco. In quel periodo tutti e quattro quei disgraziati si mettevano in un angolo a complottare fra loro, come se avessero un problema da risolvere, ma io, nascosta dietro una pila di vestiti, li sentivo benissimo.»
Nani immaginò la scena, la ragazza accovacciata in silenzio, gli occhietti socchiusi, le orecchie protese per non perdere una sillaba.
«Ce n’era uno…»
«Chi? Come si chiamava?»
«Era un certo Labia, Paolo Labia, che diceva sempre: “Io non c’entro, siete sempre voi a far bordello, arrangiatevi da soli”. E il Barbaro replicava: “Però ci siamo divertiti tutti, anche tu che stai solo a guardare”.»
«E gli altri?» incalzò Nani.
La ragazza vuotò il bicchiere. Nani fece un cenno alla padrona che venne a riempirlo di nuovo.
«Gli altri due erano i peggiori» riprese Zanetta che aveva superato il suo imbarazzo. Si accomodò con civetteria lo zendado sulle spalle. «Il patrizio diceva sempre che era stato bello, che una vergine non si trova tutti i giorni, e il suo servo sosteneva che in fondo loro erano nobili e le avevano fatto un grande onore. “Ma adesso è incinta!” disse una volta Barbaro. “Quando lo sa suo padre ci ammazza. Si sa come sono fatti i contadini.”»
«E come è andata a finire?» La voce di Nani tradiva un po’ d’affanno.
«Un giorno sono arrivati più tranquilli. Ho sentito che il giovanotto aristocratico borbottava: “Mi è costata un sacco di soldi”. E Barbaro ha risposto: “Ti ho sistemato la faccenda, ho convinto tua madre. Eri tu che dovevi pagare perché la serva era tua, e adesso per ringraziarmi puoi anche regalarmi uno di questi mantelli”. E scelse un capo quasi nuovo che l’altro pagò senza fiatare.»
«Ma chi era l’altro? Hai parlato di un Labia, e gli altri due?»
«Perché lo vuoi sapere?» si insospettì finalmente la ragazza.
Il momento era delicato. La missione di Nani era di riferire a Pisani i nomi della combriccola di Barbaro, ma guai se la ragazza avesse sospettato che lavorava per un avogadore. Ora il gondoliere sapeva che uno dei giovani era Paolo Labia; gli mancavano ancora i nomi del patrizio e del suo servo.
Gli venne un’ispirazione: «Voglio sapere chi sono per proteggerti. Vedi, Zanetta, tu sei una bella ragazza, mi piace stare con te. Non sono un nobile, ma ho un’avviata bottega di alimentari a Murano». Visto che stava mentendo, era meglio dichiarare di abitare lontano. «Sto pensando di sistemarmi e mi piacerebbe conoscerti meglio. Non voglio che ti capiti qualcosa.»
La Zanetta sorrise sempre più compiaciuta: era quasi una dichiarazione. Nani avvertì una fitta di rimorso. «Oh, Nani, come sei caro! Ma cosa vuoi fare? Quelli sono ricchi, potenti. E poi, a dirti la verità, è un anno o più che si fanno vedere molto di rado.»
«Non preoccuparti. Dimmi chi sono e farò in modo che non ti diano mai fastidio.»
La ragazza si decise. «Il patrizio è Piero Corner, quello che ha il palazzo sul Canal Grande, e l’altro è il suo gondoliere personale, Biagio mi pare si chiami.»
«Voglio proprio controllare che cosa combinano. Stai tranquilla che a proteggerti ci penso io, ho molte amicizie tra gli sbirri. La prossima volta che ci vediamo ti porto a cena in una trattoria che conosco dove si mangia il miglior pesce fritto della laguna.»
«Ah, c’è un’altra cosa» lo interruppe Zanetta, a questo punto ansiosa di raccontare tutto. «Come ti ho detto, da oltre un anno si vedono poco, ma il Corner non l’ho più visto per niente. Non fa più parte della comitiva.»
Nani le tenne una mano fra le sue come per ringraziarla e cambiò discorso. La missione era compiuta. Continuarono un poco a bere e chiacchierare.
«Ora si è fatto tardi» considerò quando gli parve il momento. «Mi permetti di riaccompagnarti alla bottega?»
«Quando torni?» chiese ardita Zanetta una volta arrivati, sicura della conquista.
«Molto presto» mentì Nani allontanandosi.
Mentre remava verso casa, maneggiando con perizia il remo sulla forcola, si sentiva vagamente spregevole e intuiva che per qualche tempo avrebbe dovuto girare alla larga da campo San Barnaba.
Pisani lo stava aspettando nello studio e intanto pensava a Chiara ed era un pensiero molto dolce. «Ce ne hai messo di tempo» lo apostrofò severamente quando lo vide arrivare.
«Ma ne è valsa la pena» ribatté Nani per nulla intimorito, e gli raccontò parola per parola il colloquio.
All’idea della promessa di matrimonio, Marco si mise a ridere. «Non hai vergogna, Nani, non ti fermi davanti a nessun ostacolo.»
«È per amore della giustizia, paròn, e per la ricompensa che mi sono meritato.»
Rimasto solo, Marco si soffermò a meditare: dunque Barbaro frequentava una combriccola di amici poco raccomandabili, e in mezzo c’erano Paolo Labia e Piero Corner, due nomi importanti, due famiglie potenti. C’entravano qualcosa con la sua morte? Che storia era quella della servetta messa incinta? Barbaro poteva essere stato ucciso per un delitto d’onore? E dopo alcuni anni? O era morto per una questione di spionaggio? Avrebbe potuto capirne di più quando il suo amico Cappello gli avesse dato notizie dell’importanza dei documenti trovati in casa del morto.
Marco conosceva di vista i due giovani patrizi e sapeva che non facevano onore al nome che portavano: Corner era un noto depravato, cliente assiduo di prostitute, giocatore accanito, attaccabrighe. Si diceva però che da quando si era sposato, circa un anno prima, avesse cambiato vita. Su Labia circolavano voci contraddittorie: non era mai stato immischiato in scandali, ma c’era chi giurava che prestasse denaro a usura e che fosse un pederasta. I due potevano essere anche assassini? E Biagio che parte rappresentava?
Gli ripugnava un poco, ma c’era un solo mezzo per aggiornarsi sulle imprese della comitiva. Bisognava ricorrere a un informatore di professione, uno di quei personaggi ambigui di cui si servivano con disinvoltura i servizi segreti e gli Inquisitori.