Capitolo 12

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Docile alla vigorosa vogata di Nani, la gondola solcava silenziosa i canali interni del sestiere di Cannaregio in direzione della casa di Chiara. Il battito cadenzato del remo sollevava scie di goccioline che brillavano argentee alla luce della luna.

Marco osservava sfilare palazzi, case, campielli mentre Chiara chiacchierava disinvolta con Nani. Era rimasto contrariato dall’invito di lei. Una strana ragazza, pensava. Perché mi sta portando a casa sua? Io l’ho messa su un piedistallo e lei ora si comporta come una… No, non è possibile, non posso essermi sbagliato. Chiara è come sembra. Avrà i suoi motivi.

 

Entrarono nella casa deserta da un portoncino che dava sulla calle e salirono all’appartamento del primo piano. Chiara si liberò del mantello, guidò Marco attraverso il salotto e la sala da pranzo fino a un ballatoio e aprì con decisione la porta della sua stanza. Due candelabri la rischiaravano e Marco si guardò intorno confuso: non voleva entrare nella sua intimità, non ancora, non era pronto.

Lo tolse Chiara dall’imbarazzo; con una chiave che aveva con sé aprì una porticina nascosta nella tappezzeria. Si inoltrò nel buio e accese due lampade a olio. «Vieni» lo chiamò senza sospettare il suo disagio. «C’è qualcosa di me che devi sapere.»

Sempre più stupito e timoroso, Marco la seguì. Era un grande locale quasi vuoto, le finestre erano chiuse ermeticamente. Alle pareti alcune scansie reggevano vasi da farmacia. Un tavolo in fondo ospitava pestelli, mortai, storte e alambicchi, oltre ad alcuni antichi volumi.

Chiara chiuse la porta alle sue spalle. «Non sono una strega, stai tranquillo. Ma siccome ci vuole poco ad attirarsi addosso le chiacchiere, non rendo pubblico ciò che faccio qua dentro.»

«E cosa fai?» mormorò Marco che non capiva.

«Farmaci, ecco cosa preparo. Mia nonna conosceva le erbe dei campi e le loro qualità. Una dote che ci trasmettiamo in famiglia. Mi ha insegnato a riconoscerle, a raccoglierle alla stagione giusta e a sfruttare le loro proprietà a scopo curativo. Quando i medici intervenivano solo con purganti e salassi, lei aveva rimedi per chiudere in poco tempo le ferite, per far passare il mal di denti e le febbri, per togliere i vermi ai bambini. A quei tempi le madri si rivolgevano ai preti per le novene, mentre la malattia è una cosa terrena, e la terra stessa ci dà i rimedi per combatterla.»

Un nuovo aspetto di quella strana giovane. Marco era stupefatto e incuriosito. Contemplò i vasi sugli scaffali etichettati con ordine. «Quelli a cosa servono?» chiese.

«In quel vaso» rispose Chiara indicando con la mano, «ci sono semi di trigonella; sono efficaci come ricostituenti dell’organismo e favoriscono la montata lattea nelle puerpere. Nell’altro conservo la santoreggia essiccata, che ferma le diarree e le coliche intestinali. Con l’aceto di quella bottiglia pulisco le ferite per farle cicatrizzare velocemente, ma per questo è ancora meglio l’olio che ricavo dai chiodi di garofano. È in quell’ampollina là in alto; lo tengo da parte perché è molto costoso. Niente di stregonesco, come vedi.»

«E in quegli altri recipienti?» si incuriosì Marco accennando a uno scaffale più lontano.

«Là c’è la segale con cui faccio decotti per chi è raffreddato, e la bottiglia vicina contiene olio che estraggo dai semi di melagrana; è efficace come vermifugo. Ma non è solo per farti vedere i miei farmaci che ti ho portato qui» concluse Chiara. «Torniamo in salotto, voglio fare un esperimento.»

 

La stanza era in penombra, solo il fuoco che ardeva nel camino e gettava ombre danzanti sulle pareti rompeva l’oscurità. Chiara accese un paio di candelabri sul tavolo a muro illuminando la spinetta dipinta sulla quale in occasione della visita precedente aveva suonato per Marco. Pisani prese posto su un divano dorato tappezzato di broccato bianco. La stoffa finissima attirò la sua attenzione.

«Ti piace?» gli chiese lei mentre estraeva da una vetrina un paio di bicchieri incisi e una bottiglia di rosolio. «La stoffa viene dalla mia manifattura. Ne abbiamo prodotto un taglio uguale per la palazzina di Stupinigi, il padiglione di caccia dei Savoia.» Porse a Marco un bicchiere di liquore e prese posto su una poltrona davanti a lui. «Hai la corda del delitto?» continuò.

Marco estrasse l’oggetto dalla tasca della velàda e lo posò sul tavolo in mezzo a loro. «Cosa ne vuoi fare?» si sentì in diritto di chiedere.

Chiara sorrise. «Come ti ho detto, un esperimento. Non è sicuro che mi riesca. Poi ne parliamo. Per ora osserva senza interrompermi perché devo cercare di concentrarmi.»

Afferrò la corda e si sedette su una poltrona davanti al fuoco. In quel momento un ceppo crollò levando sotto la cappa un volo di scintille. Nel silenzio che seguì si udiva solo il ticchettio ritmico della pendola sulla mensola.

Chiara sembrò meditare mentre osservava le fiamme che serpeggiavano verso l’alto e riflettevano bagliori sul suo volto. Era seria ma rilassata, gli occhi semichiusi. Marco non la perdeva di vista, ma anche lui era in attesa.

Dopo qualche minuto lei emise un sospiro e parlò.

«Vedo qualcosa. C’è un corpo…» La sua voce era piatta, monocorde. «Un corpo di donna.» Si passò una mano fra i capelli. «È avvolto in un mantello, un mantello rosso, un mantello di quella stoffa… di scarlatto, scarlatto veneziano.» Tacque qualche istante. «Ci sono capelli biondi che sfuggono da tutto quel rosso, forse c’è anche sangue, anche il sangue è rosso, come lo scarlatto veneziano…»

Le fiamme nel camino guizzarono verso l’alto, come ritmate sulla voce della donna. Marco la contemplava avvertendo un senso di pace, come se il tempo si fosse fermato.

«Ora mi è apparso un uomo» continuò Chiara. «È un uomo giovane, ma non ne vedo il volto. Aspetta» esclamò tendendo una mano come volesse fermare la visione. L’altra stringeva convulsamente la corda del delitto. «Vedo il suo abito: ha una fusciacca in vita, come quelle dei gondolieri. Ecco… se ne è andato. Che strano… un giovane gondoliere, un mantello di scarlatto, dei riccioli biondi…» Chiara si riscosse. «È finita.» Rimase un attimo pensosa, poi si alzò in piedi. La corda scivolò a terra.

 

«Non capisco se sono riuscita ad aiutarti» osservò riprendendo posto davanti a Marco. Sorseggiò il liquore. «Avrai intuito qual è stata la mia visione: un mantello di scarlatto, dei capelli biondi, un uomo giovane con una fusciacca da gondoliere.» Scosse il capo e i suoi riccioli chiari ondeggiarono rubando luce alle fiamme delle candele. «Tu mi hai parlato della morte di Marino Barbaro e Piero Corner, che sono stati strangolati con una corda, della loro vita sregolata, di una possibile pista di spionaggio e di quella cameriera, quella Lucietta, che è scomparsa. Non c’è rapporto con la mia visione… Solo la ragazza… Chissà» rifletté a bassa voce. «Se è lei la bionda avvolta nel mantello, perché in questo caso…»

«Spiegati» la interruppe Marco sconcertato.

«Il mantello era insanguinato… ma potrei sbagliarmi.»

Marco sospirò. «È la notte delle sorprese» sorrise. «Al ristorante mi hai letto la mano e hai indovinato che sono vedovo.»

«Non ho indovinato» lo interruppe Chiara. «C’era scritto.»

«Tu stessa mi hai detto che quello che conta è la sintonia che si crea tra veggente e soggetto. E questo è un evento soprannaturale.»

«Non è soprannaturale» ribatté Chiara. «Noi conosciamo del mondo solo ciò che cade sotto i nostri sensi, ma ci sono energie tutto intorno a noi che si incrociano come tele di ragno e sono invisibili. Considera la più comune, il pensiero. Non si vede, ma esiste eccome. Ti sembra impossibile che ci sia qualcuno in grado di percepire i pensieri del prossimo? La scienza non ha mai trovato prove tangibili di questa comunicazione, eppure c’è. Sono sicura che anche a te qualche volta è capitato di sapere ciò che ti dirà una persona prima ancora che apra bocca.»

«È vero» considerò Marco.

«Però» continuò Chiara, «perché ciò accada a comando, occorre una sensibilità speciale.»

La serata aveva preso una strana piega. Chi era quella donna particolare che ragionava come un filosofo e si muoveva in un mondo parallelo abitato da forze invisibili?

«Mi fai paura…» ragionò Marco ad alta voce. «E le visioni?»

«Vuoi sapere cosa provo? A poco a poco mi sembra di scorrere in un fiume, un fiume senza tempo, è piacevole… Mi sembra di essere una goccia d’acqua fra tante gocce… Poi mi appaiono scene, sono come lampi, e lì per lì non so cosa significano. A volte sono nitide, più spesso confuse, come un mosaico che stia per formarsi. Altre volte sento voci, frammenti di parole. Non perdo mai la coscienza, è come un dormiveglia, tra veglia e sonno, e dopo posso raccontare ciò che ho visto, lo ricordo sempre.»

«Perché» volle sapere Marco, «mi hai detto che si trattava di un esperimento, se conosci così bene questa materia, se sei in grado di svelare i segreti della gente dai segni sulle mani e guardando il fuoco vedi delle cose?»

Chiara sorrise un po’ tristemente. «Ti ho spaventato» considerò. «Ora non mi vorrai più vedere… È vero, dai segni sulla mano riesco spesso a intuire il carattere delle persone e il loro destino, ma come ti ho detto si tratta solo di una sensibilità più accentuata del normale. Con le erbe dei campi preparo rimedi per i malanni della gente, e questa è scienza medica, anzi molti farmaci li usavano già gli antichi Egizi. Lo faceva mia madre, e prima di lei mia nonna; il resto è una dote naturale che ci tramandiamo in famiglia: come la mamma e la nonna talvolta anch’io ho le visioni… Non so cosa sia… Ti ho parlato delle energie delle cose con cui è possibile entrare in contatto, ma forse mi sbaglio… Vero è che ogni tanto sento come se il tempo si fermasse. Succede all’improvviso, non ti so dire perché.»

Chiara era incantevole mentre si sforzava di tradurre in parole le sue sensazioni. Si prese la testa fra le mani come per concentrarsi meglio.

«Ma ti può capitare in qualsiasi momento?» volle sapere Marco.

«Mi sono accorta che mi capita spesso quando sto contemplando qualcosa di mobile, come le nuvole che trascorrono in cielo, le onde del mare o le fiamme, come ho fatto prima. Non mi addormento, ma rimango qualche minuto come estraniata da ciò che mi circonda e vedo delle cose, cose che si avverano o sono già accadute. Sono come lampi, senza un nesso. Poi mi succede di constatare che ciò che vedo è accaduto o stava per accadere veramente. Di questa capacità non parlo con nessuno, so che quelli come me li chiamano veggenti, ma ci vuole poco a buscarsi il sospetto di stregoneria, anche se per fortuna la caccia alle streghe è finita da un pezzo. In casa mia lo chiamano il Dono. Mi hanno insegnato a usarlo solo per il bene del prossimo, e mai assolutamente dietro compenso.»

«Riesci a spiegartelo razionalmente?» insistette Marco che non aveva mai assistito a un fenomeno del genere. Voleva capire fino in fondo quella strana, affascinante donna e i suoi misteri.

Chiara si alzò e si versò un bicchiere d’acqua. Bevve avidamente. «Ho provato a spiegarmelo» continuò. «Io credo che di invisibile non esista solo il pensiero. Tutta la materia è pervasa di energia. Noi siamo energia vitale e io ritengo che viviamo immersi in un flusso ininterrotto di energie che si intersecano e interagiscono tra di loro. Anche gli oggetti che ci circondano sono immersi in questo flusso, e non è tanto strano pensare che un luogo o un oggetto che abbia assistito a un fatto drammatico, qualcosa come un delitto, venga investito da una scarica di energie e ne serbi in qualche modo memoria o addirittura assorba i pensieri di chi è stato protagonista del dramma.»

Marco si avvicinò e prese le mani di Chiara tra le sue. Erano gelide, e lei appariva pallida e affannata.

«Ma tu vuoi sapere» continuò lei coraggiosa, «perché ho parlato di esperimento. Ecco: le visioni di solito mi vengono spontaneamente, poche volte le ho sollecitate. Ma questa è la prima volta che le ho provocate tenendo in mano l’arma di un delitto… Però non mi pare di averti detto nulla che abbia rapporto con le tue indagini.»

«Chissà…» rifletté Marco. «L’hai fatto per aiutarmi?»

«Ci ho provato.» Chiara finì il rosolio e il liquore le restituì un po’ di colore. «La ricerca della verità è uno degli scopi consentiti per usare il Dono.»

Un cadavere femminile, capelli biondi, un gondoliere. Nulla che avesse attinenza con le morti di Barbaro e Corner e neppure con spie turche, pensava Marco. Eppure la visione di Chiara era intrigante, forse apriva nuovi orizzonti alle indagini. E quella affascinante creatura lo attirava sempre più.

«Chiara» riprese meditabondo, «come hai detto tu potrebbe trattarsi di quella cameriera dei Corner, la Lucietta, che è scomparsa qualche anno fa. Può essere il corpo che hai visto?»

«Non so cosa dirti, Marco. Le visioni non sono mai definite nel tempo.»

«Allora ti prego, vieni con me domani l’altro a Dolo. Era il suo paese. Voglio sapere se è tornata a casa. Potrei mandare qualcuno, ma penso che sarebbe bello fare una gita insieme. Prendiamo il Burchiello, risaliamo il Brenta e sbarchiamo a Dolo. Penso che se trovassimo Lucietta la presenza di una donna sarebbe utile a farla parlare.»

«Vengo volentieri.» Chiara sorrise. «Ma ti avverto: ci sarà anche Marta, la mia governante. Mi sorveglia notte e giorno.»

In quella si udì una serie di passetti affrettati e la porta del salotto fu aperta senza tanti complimenti. Come evocata dalle parole di Chiara, comparve una donnina minuscola di età indefinibile, linda e ben pettinata. Fece una compita riverenza.

«Eccellenza, che onore riceverla in questa casa! Devo ringraziarla per aver fatto liberare il nostro Maso.»

Chiara si mise a ridere. «Ecco qua la mia cara Marta» esclamò. «L’altro giorno non l’hai vista perché era andata a fare visita ai nipoti.» E rivolta alla governante: «Ma tu non bussi mai?».

«Perché dovrei?» si risentì l’anziana donna. «Le signore non hanno mai nulla da nascondere. Ho preparato un bricco di cioccolata, è fumante e appena montata. Ora la porto. Ma tu, Chiara, dimmi la verità: hai avuto una visione? Sei accaldata e spettinata come quando ti visitano gli spiriti.»

Chiara sospirò. «Marta vorrebbe che smettessi di avere le visioni, come se dipendesse da me. Ho un bel dirle che gli spiriti non c’entrano, lei sostiene che prima o poi mi capiterà qualche brutto incontro…»

«Oh, quante storie!» la interruppe Marta. «Io dico solo che con gli spiriti non si scherza.»

 

Marco era ancora euforico quando arrivò a casa. Aveva dovuto schermirsi dalle insinuazioni di Nani che remando tesseva le lodi di Chiara: «Una bella ragazza, paròn, anche molto simpatica. Proprio il tipo di donna che farebbe per lei».

«Guai a te, Nani, se vai a parlare in giro.»

«Io sono muto come una tomba! Ma si è trattenuto poco tempo a casa sua. Pensavo di dover passare la notte in gondola.»

Che faccia tosta! «E pensavi male. Non è quel genere di donna. Vedi di parlarne con rispetto; anzi, ripeto, di non parlarne affatto.»

Ohi ohi, meditò Nani, allora è una cosa seria. Era ora, il paròn se la merita una brava ragazza!

Varcando il cancello del giardino, Marco incrociò Platone che usciva a coda ritta. «Dove vai a quest’ora? Hai qualcuno che ti aspetta?» Il gatto si strofinò contro una gamba facendo le fusa e trotterellò via nel buio.

In camera Marco scorse un biglietto sul tavolino da notte. Lo aprì incuriosito.

Perché da una settimana non ti fai più vivo? Ti ho offeso in qualche modo?

Buon Dio! Si era completamente dimenticato di lei e ora la coscienza gli rimordeva. Era Annetta, la ricamatrice. Ci avrebbe pensato il giorno dopo.