8

I ragazzi della Belmeade attraversarono a fatica la buia foresta. Anche quelli che sembravano più spavaldi erano in preda alla disperazione. Tuttavia, quando la foresta lasciò il posto prima a un prato e poi a una pianura su cui correva una strada piena di solchi, Angus era riuscito a stento a reprimere le sue emozioni per recuperare la solita aria sicura. «Seguiamo questa strada.»

«Perché?» chiese Andrew Pender, in tono petulante.

«Perché le strade portano sempre da qualche parte.»

«Che idiozia!» commentò Nigel Mountjoy.

«Ehi, qui l’idiota sei tu», lo rimbrottò Glynn, difendendo il suo migliore amico.

«Ma da che parte andiamo?» intervenne Craig Rotenberg.

Angus indicò dritto davanti a sé.

«Perché?» lo incalzò Craig.

«Perché no?» ribatté Glynn.

«Perché non sappiamo dove ci porterà!» si lamentò Craig.

Harry Shipley non aveva detto una sola parola da quando erano entrati nel bosco. Mentre camminavano, aveva pianto così tanto da non avere più lacrime. «Quello è il nord.»

«Come fai a saperlo?» domandò Angus.

«Ho tenuto traccia della direzione. Ammesso di non aver girato su noi stessi all’interno del tunnel spazio-temporale – o qualsiasi cosa abbiamo attraversato –, nel dormitorio eravamo rivolti a est e, come ho detto, ho continuato a calcolare la nostra direzione da quando siamo arrivati qui.»

«E nord sia», dichiarò Angus.

«Perché non a sud?» chiese Craig.

Glynn lo colpì con un pugno in mezzo alle spalle. «Non mi ero mai reso conto che sei un gran rompipalle!»

«Se Harry ha ragione, Londra è a nord», spiegò Angus.

«Non sappiamo nemmeno se qui c’è una Londra», esclamò Andrew.

«L’uomo accoltellato ha detto che eravamo a Sevenoaks», disse Nigel. «Se c’è una Sevenoaks, dev’esserci anche una Londra.»

«Continuo a pensare che saremmo dovuti rimanere vicino a quello stagno», protestò Stuart Cobham. «Se verranno a salvarci, non è lì che arriveranno? E almeno c’erano dei pesci. Adesso cosa mangeremo?»

«Be’, a meno che uno di voi non abbia una scatola di fiammiferi, non potremmo neanche accendere un fuoco. E io detesto il sushi», replicò Kevin Pickles.

«Hai sentito quello che ha detto sugli erranti», riprese Angus. «Mi è sembrata una pessima idea restare lì ad aspettare che quella banda di cannibali tornasse per farci la pelle.»

«Tuo padre verrà di certo a salvarci, vero, Angus?» chiese Boris.

Tutti sapevano che il padre di Angus era il ministro della Difesa.

«Se non lo farà il suo, lo farà il mio», affermò Danny Leung.

«Certo, il padre di Danny verrà qui all’Inferno con tutta l’Armata Rossa e ci porterà un sacco di pollo alle mandorle», lo schernì Kevin.

«Vaffanculo, razzista di merda», s’indignò Danny.

«Chiudi la bocca, nanerottolo», intervenne Glynn. «Solo perché quel tipo nel bosco ha detto che eravamo all’Inferno, non significa che sia vero. Fino a prova contraria, sono tutte cazzate.»

La maggior parte dei ragazzi aveva recuperato qualcosa con cui aiutarsi mentre camminavano, così Danny Leung mostrò ai compagni alcune mosse di Yin Shou Gun, la tecnica cinese di combattimento con i bastoni.

«Non riesco a farlo ruotare», si lamentò Boris Magnusson.

«Non ce n’è bisogno», spiegò Danny. «Quelle mosse servono soprattutto a far scena. Sono i colpi di taglio e di punta quelli davvero importanti.»

Presto, come dimenticando il guaio in cui erano finiti, sembrarono tornare a essere ragazzi come gli altri, che ridevano, gridavano, si prendevano a schiaffi e calci.

Kevin si soffiò il naso nel fazzoletto che aveva in tasca, dove lo aveva infilato prima della lezione di matematica. Alzò gli occhi ed esclamò: «Ragazzi!»

Nessuno gli prestò attenzione.

«Ragazzi, sta arrivando qualcuno!» gridò più forte, lasciando cadere il fazzoletto.

Da nord videro avanzare sulla strada un’intera fila di carri scortata da uomini a cavallo.

Non erano i soli ad averla notata: due anziani, un uomo e una donna, se ne stavano acquattati dietro i cespugli accanto alla strada a spiare gli studenti della Belmeade. Erano a caccia di conigli, quando avevano sentito uno strano suono di voci infantili: la vista dei ragazzi li aveva lasciati senza parole. In quel momento, accorgendosi del pericolo in avvicinamento, quasi si sdraiarono a terra per nascondersi meglio.

Angus stava per gridare ai compagni di scappare, ma capì che era inutile. I cavalieri si dirigevano verso di loro al galoppo.

In un attimo furono circondati da uomini rozzi e sudici, seduti su sottili selle di cuoio. Harry scoppiò in lacrime e anche Andrew, snervato da quel pianto, non riuscì a trattenersi.

«Angus, cosa dobbiamo fare?» chiese Boris, cercando di controllare la paura.

«Nulla. Lasciate che parli io.» Angus si rivolse all’uomo a cavallo che sembrava il capo del gruppo. «Fareste meglio a lasciarci in pace.»

L’altro girò due volte attorno ai ragazzi sul suo nero destriero, impugnando una pistola. «Che cosa siete?»

«Cosa siamo?» ribatté Angus. «Intendi dire chi siamo?»

Un tizio minuscolo in groppa a un cavallo poco più grande di un pony indicò i ragazzi con la sua spada. «Guarda, Ardmore, hanno dei bastoni. A cosa vi servono quei bastoni?»

Un altro uomo si mise a ridere. «Sono quasi della tua statura, Fergie. Mi sa che si tratta di nani.»

Ardmore smise di girare in tondo e smontò da cavallo. Aveva un cappello a tesa larga, i capelli raccolti in una coda unta con un lungo laccio di cuoio e in bocca aveva più spazi vuoti che denti. «Non sono uomini. Per la miseria, sono ragazzi!»

«Non è possibile», obiettò Fergie.

«Intendi forse contraddirmi?» chiese Ardmore, puntando la pistola alla testa del piccoletto.

Fergie fece subito marcia indietro. Si scusò e promise di tener chiusa la bocca.

«Be’, lo siete?» domandò Ardmore, rivolgendosi ad Angus.

«Certo che siamo ragazzi», rispose lui, con la voce incrinata.

Ardmore gli si avvicinò lentamente e annusò l’aria. «E avete pure qualcos’altro d’insolito.»

Il carro di testa, condotto da un vecchio brizzolato, li raggiunse. Una figura interamente vestita di nero – a cominciare dal cappello, simile a quello di Ardmore, per finire agli stivali – scostò i lembi del telone e scese dal retro. Solo quando iniziò a parlare, i ragazzi capirono che si trattava di una donna: «Cosa succede?»

«C’è un intoppo, Bess», rispose Ardmore.

La donna era armata di tutto punto: aveva una pistola e un coltello infilati nella cintura, e il fodero della spada le batteva contro la gamba mentre si dirigeva verso i ragazzi. Per un attimo restò a bocca aperta, poi le sfuggì un’imprecazione: «Maledizione!»

«Già, maledizione», ripeté Ardmore.

Anche se la donna era solo a pochi metri di distanza, Angus non riusciva a capire se fosse giovane o vecchia. Aveva la pelle sudicia e gli occhi di un colore sbiadito e opaco. I capelli scuri erano legati con un laccio di cuoio, proprio come quelli di Ardmore.

«Chi parla per tutti?»

Angus docilmente alzò la mano.

«Quanti anni hai?»

«Quattordici», rispose lui, a voce molto bassa.

«Parla più forte.»

«Quattordici.»

«È impossibile.»

«Certo che è possibile. Abbiamo tutti la stessa età, tranne Harry, che ha tredici anni.»

«Come siete morti?» chiese Bess.

«Cosa?» ribatté Angus, stupito.

«Pensa che siamo morti», intervenne una vocina esile.

Angus si guardò attorno. Era stato Harry a parlare. Il labbro inferiore gli tremava.

«Non siamo morti. Almeno non credo.»

«Vieni più vicino», ordinò la sconosciuta.

Angus, intimorito, obbedì e fece mezzo passo in avanti, con la testa china. La donna lo afferrò bruscamente per il polso e si portò al naso la mano del ragazzo.

«Hanno uno strano odore», le fece notare Ardmore.

La donna lasciò andare il polso di Angus con delicatezza. Prima di allora, Ardmore e gli altri non l’avevano mai vista commuoversi. «Ti sbagli. Siamo noi ad avere un odore strano. Il loro è perfetto.»

Alcuni uomini a cavallo cominciarono a gridare indicando il nord.

«I soldati!» esclamò Ardmore. «Stanno arrivando!»

«Portateli nei carri», ordinò Bess.

«No! Lasciateci!» gridò Angus. «Correte!»

Danny e Glynn fuggirono per primi, con Angus subito dietro.

Ardmore imprecò, spronò il cavallo e, chinandosi, afferrò Kevin Pickles, sollevandolo da terra. Kevin strillava come un’aquila mentre Ardmore lo depositava sul pomo della sella. «Fermatevi subito o ficcherò una palla di piombo nella testa di questa mezzatacca!»

Angus si voltò e urlò ai compagni di fermarsi.

«Fate presto!» esclamò Bess. «Metà in quel carro, metà in quello dietro. Non fuggiremo. Preparatevi a combattere.»

Ardmore gettò Kevin nel retro di uno dei carri. Harry, Craig, Stuart e Andrew lo raggiunsero di corsa. Pur essendo tutti in pericolo, i ragazzi si raggrupparono secondo una specie di gerarchia non scritta. I più popolari – Angus, Glynn, Danny, Boris e Nigel – saltarono nell’altro carro, dove trovarono alcune balle di lana grezza.

«Siamo con i buoni o con i cattivi?» chiese Nigel.

Glynn si portò le ginocchia al petto come per proteggersi. «Se siamo davvero all’Inferno, qui sono tutti cattivi», sentenziò.

Sull’altro carro, Craig strinse le palpebre più forte che poteva, piagnucolando: «Non sta accadendo davvero, non sta accadendo davvero. Quando aprirò gli occhi, saremo di nuovo a scuola».

«Sta accadendo davvero», ribatté Harry. «Non so come, ma sono quasi sicuro che abbiamo attraversato un passaggio tra le dimensioni.»

«Possiamo tornare indietro?» chiese Craig.

«In teoria, sì.»

Kevin tremava così forte che le parole gli uscivano a stento: «È terribile. Sono all’Inferno su un carro puzzolente in compagnia di Stephen Hawking!»

Uno degli uomini smontò da cavallo per farvi salire Bess. Poi lei e Ardmore cavalcarono sino in fondo alla carovana, sbraitando ordini.

I soldati si stavano avvicinando. Gli zoccoli dei loro destrieri sollevavano una fitta nuvola di polvere.

«Saranno almeno una ventina», valutò Ardmore.

«Probabilmente sono quelli che abbiamo visto alla locanda ieri sera», replicò Bess. «Ci squadravano.»

Ardmore sputò a terra. «Sarà una giornataccia, eh?»

«Già.»

In effetti, i soldati erano lo stesso drappello di re Enrico che si era imbattuto nella banda di Bess in un’affollata locanda di Londra, vicino alla zona del porto. Di solito loro si riempivano le tasche borseggiando i mercanti, ma agire in città significava sfidare la collera della Corona. Cromwell era convinto che fosse necessario preservare almeno in parte il commercio, per mantenere l’ordine tra la popolazione. Così di solito perpetravano i loro furti fuori dei confini di Londra, lontano dagli occhi indiscreti delle spie del consigliere del re.

I soldati erano armati di moschetti. Un colpo partì prima che Bess fosse pronta a rispondere al fuoco. I suoi uomini si chinarono sui cavalli per schivarlo, mentre lei e Ardmore rimasero dritti in sella, senza mostrare la minima paura. All’interno dei carri i ragazzi erano terrorizzati.

«Qualcuno è stato colpito?» gridò Bess.

«Stiamo tutti bene», rispose Ardmore, sollevando la pistola. «Aspettate... Aspettate... Aspettate...»

La terra tremava sotto gli zoccoli dei cavalli dei soldati al galoppo, quando Bess ordinò: «Fuoco!»

Due soldati caddero da cavallo, ma gli altri proseguirono nella carica, urlando e brandendo le spade. Bess e Ardmore infilarono le pistole nella cintura e sguainarono le loro lame in tempo per parare l’affondo.

Nessuno dei soldati avrebbe mai immaginato che il feroce combattente vestito di nero fosse una donna. Bess affrontò il nemico più vicino e abbatté sulla sua spalla un fendente tanto poderoso che quasi gli staccò il braccio. Poi si scagliò contro il capitano del drappello, il cui cavallo, lanciato al galoppo, era già lontano quando il corpo con la testa mozzata scivolò di sella.

Ardmore si stava facendo largo in quel groviglio di cavalli e soldati, poi si voltò di scatto sentendo Bess gridare. Due uomini del re l’avevano tirata giù da cavallo e stavano per colpirla. Riversa sulla schiena, lei cercava di difendersi con il pugnale.

Uno dei due soldati aveva iniziato a gridare: «È una...» Ma poi abbassò lo sguardo sulla spada di Ardmore che gli trapassava il ventre.

Quella scena truculenta distrasse l’altro soldato quanto bastava perché Bess gli conficcasse il pugnale nell’occhio.

«Sì, sono una donna. Siete perspicaci!» esclamò, alzandosi.

I pochi soldati rimasti, vedendo che lo scontro volgeva a loro sfavore, batterono in ritirata verso Londra, inseguiti dalle urla di scherno degli uomini di Bess.

«Abbiamo perso qualcuno dei nostri?» chiese Ardmore.

«Non penso.»

Solo allora ci fu abbastanza silenzio da sentire gli strilli che arrivavano da uno dei carri.

«I ragazzi!» esclamò Bess.

Non sapendo da dove provenissero quelle urla, la donna corse verso un carro e Ardmore verso l’altro. Quando l’uomo aprì la sponda, vide che Angus e i suoi compagni si erano stretti tutti assieme, ma stavano bene. Bess, invece, si trovò di fronte quattro facce terrorizzate che piangevano e un viso bianco, immobile. Il fondo del carro era coperto di sangue.

Craig Rotenberg si era accasciato con un buco nel petto.

«È morto!» strillò Kevin. «È morto!»

Bess salì sul carro ed esaminò il cadavere. «Siete le prime anime viventi che ho visto in duecento anni e lui il primo morto. Una giornata miracolosa!»

Nonostante le loro proteste, Bess vietò ai ragazzi di seppellire Craig. Non avevano una pala, spiegò. E dovevano sbrigarsi a raggiungere Southampton prima di sera. Di notte le strade erano infestate da bande di erranti. E poi che importanza aveva?

«È la cosa giusta da fare», insistette Angus.

«Non ho tempo per queste stupidaggini», replicò Bess. «Se volete coprirlo con dei rami, fatelo pure, ma in fretta. Poi si parte.»

«E se non volessimo venire con voi?» ribatté Angus.

«Non avete scelta. Altrimenti domani a quest’ora avrete fatto la stessa fine del vostro amico.»

«Dove state andando?»

«Siamo del Devon», rispose Bess.

Tutti i ragazzi, a eccezione di Harry, presero parte alla frettolosa cerimonia di sepoltura dell’amico: trascinarono Craig nei cespugli e lo coprirono con del fogliame. Harry era sporco di sangue più di tutti gli altri. Si sedette accanto al carro, muto e tremante.

«Dobbiamo dire qualcosa?» chiese Boris, aggiungendo gli ultimi rami.

«Tipo una preghiera?» chiese Glynn.

«Sì, una preghiera.»

«Era ebreo», spiegò Nigel.

«Anche loro pregano», precisò Stuart.

«In chiesa stava sempre zitto», replicò Nigel.

«Che altro poteva fare?» domandò Boris. «Cantare inni in ebreo?»

«Quanto sei ignorante... Si dice ’ebraico’», lo zittì Stuart.

«Dovremo accontentarci dell’inglese», tagliò corto Angus. Bess ordinò ai ragazzi di sbrigarsi, così, a capo chino, lui iniziò: «Dunque, non ho idea di come siamo finiti in questo casino, ma ci siamo dentro. Craig era un bravo ragazzo che non meritava di morire. Speriamo che adesso sia con il suo Dio ebreo e che sia in pace, e questo è praticamente tutto quello che ho da dire».

«Sai una cosa? Fai schifo a pregare», commentò Glynn.

I ragazzi non volevano tornare sul carro sporco di sangue e si rifiutarono anche di lasciarsi dividere in due gruppi, così Bess li fece salire sul suo carro, il più grande della carovana. Lei prese posto su una balla di lana e i ragazzi si sedettero a gambe incrociate sulle tavole. Angus sentì qualcosa di acuminato contro la schiena. Era appoggiato a una piccola cassa di legno chiusa con una serratura di ferro e, quando la spinse da parte per avere più spazio, sentì un tintinnio.

«Attento al mio forziere», lo ammonì Bess.

«Ci tieni i soldi?» chiese Angus.

«Esatto, il denaro che abbiamo fatto a Londra.»

«E come lo avete guadagnato?» domandò Glynn.

«Vendendo la lana. Siamo pastori. A Londra pagano meglio, perciò è lì che portiamo la nostra mercanzia, anche se il viaggio è pericoloso.»

«Nel bosco abbiamo trovato un uomo gravemente ferito. Ci ha detto che siamo all’Inferno.»

«Vi ha detto la verità», confermò Bess, togliendosi il cappello che aveva impedito ai ragazzi di guardarla bene in viso. Era una donna di mezza età, non molto diversa dalla maggior parte delle loro madri, e forse sarebbe potuta sembrare attraente se la pelle non fosse stata così avvizzita e sudicia.

«Io non credo all’Inferno», affermò Kevin. «I miei genitori sono atei.»

«Non lo sapevo», disse Boris.

«Non l’ho mai detto», spiegò Kevin. «Non volevo che mi prendeste in giro.»

«Che cos’è un ateo?» chiese Bess.

«Uno che non crede in Dio», rispose Kevin.

Bess ridacchiò. «Ai miei tempi, chi diceva una cosa del genere finiva sul rogo.»

«Quando succedeva? Cioè, di che tempi parli?» volle sapere Angus.

«Sono morta sul finire del Settecento», rispose la donna.

«È impossibile, non ti credo», replicò stizzito Danny.

«Be’, faresti meglio a credermi, cinese», disse Bess.

«È politicamente scorretto», s’intromise Andrew. «Lui è cinese davvero.»

Bess scosse la testa. «Non ho capito un accidente di quello che hai detto. Voi invece dovete capire come stanno le cose qui, e alla svelta. Perciò aprite bene le orecchie, perché ve lo spiegherò una volta sola.»

I ragazzi ascoltarono in un silenzio rapito, mentre la donna raccontava la sua vita. Era vissuta nel Devon ed era la moglie di un allevatore di pecore. Avevano tredici figli. Una pestilenza aveva sterminato il loro gregge. I suoi figli pativano la fame e il marito si era ucciso per la vergogna. In preda alla disperazione, una notte era andata a rubare alcune pecore che appartenevano a un nobile del luogo, perché voleva ricominciare con un nuovo gregge. Purtroppo un giovane pastore l’aveva sorpresa e aveva chiamato aiuto. Lei aveva la pistola del marito infilata nella cintura e, spinta dalla paura di ciò che sarebbe accaduto ai figli senza di lei, aveva sparato al ragazzo ed era fuggita. Ma era stata catturata e impiccata. Un istante dopo si era ritrovata all’Inferno. Non aveva più rivisto i suoi figli.

Bess parlava senza ombra di tristezza né sentimentalismi. Ormai stava all’Inferno da troppo tempo. Poi iniziò a descrivere in tono altrettanto freddo e conciso la cupa realtà e le leggi naturali dell’Oltre. Non sembrava intenzionata a spaventare i ragazzi, ma l’effetto fu quello. Quando ebbe finito, nessuno fiatò. Il carro proseguì sobbalzando, visto che era privo di sospensioni, e i ragazzi erano sballottati di continuo.

Bess concesse loro un po’ di tempo, poi chiese: «Dopo quello che vi ho detto, non avete nemmeno una domanda?»

Kevin alzò la mano, come se fosse ancora in classe. «Perché puzzi?»

Angus gli intimò di stare zitto, ma Bess rispose che era una domanda legittima. «È da tanto che ho smesso di far caso al mio odore. Gli allevatori di maiali alla fine non sentono più la puzza delle loro bestie, sapete. Penso che succeda perché noi siamo come carne morta, mentre voi ragazzi siete belli freschi. Altre domande? No? Be’, lasciate che ve ne faccia una io. Secondo voi com’è possibile che un gruppo di vivi sia arrivato qui?»

Tutti i ragazzi guardarono verso Harry. Lui tirò su con il naso e raddrizzò la schiena, orgoglioso del suo ruolo di portavoce. «Sai che cos’è l’universo?»

«Non ne ho idea.»

«È tutto quello che conosciamo», le spiegò. «La Terra, la luna, le stelle.»

«Capisco», ribatté la donna, anche se non sembrava molto convinta.

«Be’, un sacco di persone molto intelligenti, chiamate fisici, pensano che non ci sia un unico universo, ma tanti. Forse un numero infinito. In alcuni può cambiare solo qualche dettaglio rispetto all’universo che conosciamo, cioè, tutto è esattamente uguale, solo che in un altro universo, per dire, io sono un campione di calcio.»

«Come no...» sbuffò Boris.

«Sì, è piuttosto improbabile», concordò Harry. «A ogni modo, ecco cosa penso. Credo che questo posto che chiamate Inferno sia uno di quegli universi paralleli, uno in cui ci vai a finire se hai fatto qualcosa di davvero brutto quando eri vivo. Magari ce n’è anche uno chiamato Paradiso, dove vanno i buoni. Di solito, è impossibile che una persona viva possa passare da un universo all’altro. Per qualche ragione che non so spiegare, noi abbiamo attraversato un passaggio spazio-temporale che collega il nostro universo con il vostro.»

«Dici sul serio?» chiese Bess.

Harry si strinse nelle spalle. «Be’, io credo di sì.»

«Sei un intelligentone, vero?» domandò la donna.

Harry sorrise e, senza nessun cenno di modestia, annuì.

«Potete tornare da dove siete venuti o siete bloccati qui?» chiese Bess.

A quella domanda Harry ricominciò a singhiozzare. «Non lo so. Non sono così intelligente.»