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Emily e Loomis erano immersi nelle loro equazioni e lo squillo del telefono li fece trasalire.

«Sono Ben Wellington. Prima mi sono dimenticato di dirvi una cosa.»

Emily portò con sé Loomis: non aveva intenzione di perderlo di vista e, restando uniti, correvano meno rischi. Aprì una porta antincendio e prese l’accetta dallo scomparto di vetro subito accanto.

«Hai un’aria davvero minacciosa.»

«E non hai ancora visto niente, Paul.»

Percorsero con cautela il corridoio. I primi rumori che sentirono erano così fuori luogo che Emily pensò di avere delle allucinazioni uditive. Sembravano voci di cartoni animati. Avvicinandosi di più, li riconobbe.

Tom e Jerry.

E poi una risata sguaiata.

«Hai visto come ha fatto il topo a schiacciare il gatto?»

«Lo ha ridotto in polpette!»

Emily si fermò sulla soglia a guardare i due giovani sdraiati sul letto, l’uno accanto all’altro. La piccola stanza era disseminata di scatole di cereali, carte di caramelle e vaschette vuote di gelato.

Dirk la vide per primo, e per la sorpresa cadde dal letto. «Duck, guarda! È Emily!»

«Ha una scure, però», gli fece notare Duck.

«Non essere arrabbiata con noi», la implorò Dirk. «Abbiamo preso il cibo solo perché avevamo fame.»

«Non sono arrabbiata con voi. Ditemi, avete visto qualcun altro all’interno dell’edificio da quando siete qui? Ci sono altri dannati?»

«Solo noi», rispose Duck. «Ci siamo fatti compagnia. Be’, c’erano anche i video dei cartoni, se contano come compagnia. Piacciono tanto anche a Dirk.»

«È vero», confermò l’altro. «Duck preferisce quello di Ariel, la ragazza pesce. A me piace questo con il gatto e il topo.»

«E siete rimasti tutto il tempo in questa stanza a guardare cartoni animati?»

«Non solo in questa stanza», rispose Dirk. «Ce n’è un’altra con dentro il cibo. Ne è rimasto ancora un sacco, se hai fame anche tu.»

«E siamo andati anche nella stanza dove puoi schiacciare la barra d’argento e fare sparire la merda», aggiunse Duck.

«Chi è quel tizio?» domandò l’altro, indicando Loomis. «Mi sa che è uno di noi.»

«Esatto», confermò lui. «Con qualche punto di QI in più, ma pur sempre uno di voi.»

«È un amico», spiegò Emily.

«Viene a trovarci anche Miss Delia?» le chiese Duck. «Mi manca. Era sempre gentile con me.»

«Non credo che verrà, per ora. Adesso vi lasciamo ai vostri cartoni animati. Io e il mio amico abbiamo del lavoro da sbrigare. Magari passeremo più tardi a salutarvi e a prendere qualcosa da mangiare.»

«Se vi va, potete guardare dei video con noi», disse Duck. «Potete sedervi sul letto, noi ci metteremo a terra.»

«È una proposta davvero allettante», rispose lei con un sorriso. «La migliore che abbia ricevuto da un sacco di tempo.»

 

 

Ogni tanto, a Emily sembrava di essere tornata ai vecchi tempi, quando lei e Loomis lavoravano fianco a fianco, sfornando equazioni e simulazioni al computer, posando cavi, scendendo nei tunnel del MAAC dalla vecchia sala controllo, per verificare e regolare i parametri dei cannoni di particelle.

Fin da subito furono coinvolti i tecnici del Large Hadron Collider di Ginevra, per elaborare le modifiche di software e hardware necessarie a convertire il collisore del MAAC in un acceleratore di protoni di uranio. Non erano solo colleghi, per Emily alcuni erano cari amici. Una volta caduto il velo della segretezza, molti di loro erano stati informati della situazione della dottoressa Loughty ed erano stati incaricati di lavorare alla soluzione della crisi. Quando l’avevano vista per la prima volta in videoconferenza, si erano emozionati. Molti scienziati di Ginevra erano stati anche amici e colleghi di Paul Loomis e, sebbene fossero stati avvisati in anticipo, erano rimasti profondamente turbati nel rivederlo.

Lui si era preparato un breve discorso, però al momento di rivolgersi agli altri era scoppiato in lacrime. Allora Emily aveva preso la parola, ribadendo che, sebbene stessero tutti vivendo un’esperienza senza precedenti, il loro compito non doveva essere ostacolato dalle emozioni.

Il Brookhaven National Laboratory di Long Island era l’unica struttura al mondo con un’ampia scorta del giusto tipo di gas d’uranio. Una grande cisterna di gas era stata trasportata prima da un elicottero alla base aerea militare di Hanscom, in Massachusetts, e poi da un jet alla base RAF High Wycombe, in attesa di essere consegnata al MAAC.

Dopo aver lavorato senza sosta per diversi giorni, ormai esausta Emily comunicò che erano pronti a introdurre il gas nei cannoni di particelle. Avevano discusso animatamente su come far arrivare il contenitore a destinazione. Le opzioni erano limitate, eppure alla fine solo una era percorribile, per quanto imperfetta. Il gas non poteva essere fatto arrivare via terra o via aerea fino al laboratorio senza che gli addetti al trasporto si ritrovassero all’Inferno. La consegna con un drone era esclusa, perché il contenitore era troppo pesante.

Restavano solo i tunnel.

Al di fuori del complesso di Dartford, il tunnel del MAAC era stato sigillato. E non c’erano punti d’ingresso lungo l’ovale di centottanta chilometri che correva sotto la M25.

Il lavoro preparatorio iniziò cinque chilometri a sud-ovest di Dartford, lungo un tratto della M25 già chiuso al traffico. Una squadra del genio militare scavò un pozzo a una profondità di centocinquanta metri sotto l’autostrada. Una volta raggiunto l’involucro di calcestruzzo della galleria, un gruppo di esperti da Ginevra supervisionò le operazioni necessarie per sfondare il calcestruzzo e accedere al tunnel.

Il giorno stabilito Emily e Loomis scesero nelle gallerie e si avvicinarono il più possibile a quello che si riteneva essere il limite della zona di confine.

Indossando i caschi di protezione, si diressero a ovest, a un centinaio di metri dalla vecchia sala controllo.

«Non me la sento di spingermi oltre.» Emily puntò la torcia nell’oscurità. «Se facciamo un passo di troppo, potremmo non tornare indietro.»

«Rischiano di più quelli che vengono dall’altra direzione», replicò Loomis.

Essere trasportati all’Inferno non sarebbe stato il peggiore dei problemi: il vero disastro era che si sarebbero ritrovati sottoterra, dove sarebbero morti schiacciati o soffocati.

Il walkie-talkie di Emily gracchiò.

«Dottoressa Loughty, mi riceve? Qui è la squadra di consegna.»

«Vi ricevo. Chi parla?»

«Sono il caporale Kessel. Siete in posizione?»

«Ci siamo avvicinati il più possibile. Dove siete?»

«Abbiamo percorso circa cinque chilometri dal punto d’ingresso a Darent.»

«Vi prego, siate prudenti», si raccomandò lei. «Non avvicinatevi troppo alla zona di confine.»

«Vorrei solo che quaggiù funzionasse il GPS...»

«Già. Quanti siete?»

«Oltre a me, ci sono un altro ingegnere e uno scienziato francese da Ginevra che vuole assicurarsi che la vostra preziosa attrezzatura arrivi intatta. Adesso ci servirebbe un riferimento visivo.»

«Ho acceso una torcia, la vedete?»

«Negativo. Facciamo così, che ne dite di spegnere il walkie-talkie per un secondo e provare a lanciare un bell’urlo?»

Emily fece come richiesto e, un attimo dopo, sentì un grido di risposta.

Quando riaccese il walkie-talkie, l’ingegnere disse di aver calcolato che erano distanti circa ottocento metri.

«Quanto dovete avvicinarvi per lanciare il cavo?»

«Dobbiamo arrivare a cinquecento metri. Avanzeremo ancora un po’.»

Dopo qualche minuto, Emily scorse una flebile luce in avvicinamento.

«Vi vedo.» Agitò la torcia. «Voi?»

«Sì, ci siamo quasi.»

«Siete abbastanza vicini adesso?»

«Non ancora. Meglio evitare rischi inutili. Preferirei avere una visuale più chiara.»

Emily si girò verso Loomis e gli confessò di essere nervosa.

«Allora siamo in due», ribatté lui.

«Eccovi!» esclamò l’ingegnere alla radio. «Adesso riesco a vedervi. Chiudete gli occhi, vi punterò contro un laser per calcolare la distanza.» Dopo pochi secondi aggiunse: «Cinquecentocinquanta metri. Mi avvicino ancora un po’».

«Faccia attenzione, mi raccomando.»

«Non si preoccupi.»

Emily si sentì sollevata quando l’ingegnere le comunicò di essere in posizione. Poi Kessel chiese loro di arretrare di almeno una ventina di metri per evitare di essere colpiti dal proiettile che stava per lanciare. L’ingegnere posò il walkie-talkie e gridò loro il resto delle istruzioni: «Allora, sono pronto a sparare con il lanciacavo. Pronti? Tre, due, uno, fuoco!»

Sentirono un forte scoppio riecheggiare dal fucile a canna liscia. Il proiettile di ottone sferragliò contro il pavimento di calcestruzzo, fermandosi a breve distanza dal punto in cui si trovavano.

A un cavo di nylon era fissata una barra. «Presa!»

Una voce esclamò: «No!»

«Cos’è successo?»

«Kessel ha fatto un passo in avanti ed è scomparso! Cazzo, è scomparso!»

Emily si accasciò, sconvolta. «Mio Dio, è terribile.»

Loomis le prese la barra di ottone dalle mani e disse con freddezza: «La gente muore di continuo. Da dove vengo io sarebbe considerata una benedizione». Poi gridò verso l’altro capo del tunnel: «Il cavo è collegato al carrello del contenitore?»

«Sì!»

Loomis iniziò a tirare.