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La cosa più strana fu quella sensazione familiare.
Il parcheggio era vuoto, il complesso del MAAC deserto, come una delle tante domeniche che Emily aveva trascorso da sola al lavoro. Per un brevissimo istante, le sembrò di essere tornata alla vita di tutti i giorni.
Poi Loomis ruppe l’incantesimo. Riparandosi gli occhi sensibili dalla luce del sole, disse: «Siamo davvero qui».
«Andiamo», replicò lei, perlustrando con lo sguardo la zona. «Potrebbero esserci in giro dei dannati.»
«Uno è proprio accanto a te.»
Attraversarono di corsa il parcheggio. L’ingresso principale era chiuso a chiave. Senza trovare niente per rompere il vetro, Emily si oppose all’idea di Loomis di buttarlo giù a calci, perché non voleva correre il rischio che si ferisse. Decisero di provare con gli ingressi secondari.
Erano sprangati, però scoprirono che il pannello inferiore della porta di fronte al campo da tennis era in frantumi.
«Potrebbe esserci qualcuno nascosto all’interno», commentò Emily, mentre si accovacciava per infilarsi di traverso. «Tieni gli occhi aperti.»
Le ampie vetrate inondavano i corridoi di luce. Loomis non riusciva quasi a sopportarla. Seguì Emily attraverso l’edificio all’apparenza deserto, fino all’ufficio della donna, un locale senza finestre. Lei accese le luci del soffitto.
«Puoi spegnerle?» chiese lo scienziato, strizzando gli occhi.
«Scusa. Volevo essere sicura che ci fosse corrente.»
Accese il computer e controllò se la linea telefonica era attiva.
«Mi fa piacere che abbia avuto tu il mio vecchio ufficio.» Loomis guardava le pareti, personalizzate con i ricordi di Emily, non più i suoi.
Lei sospirò.
«E adesso?» domandò lui.
«Adesso è ora di parlare, Paul.»
«Vorrei prima vedere i miei figli.» Loomis sembrò sinceramente sorpreso dalla reazione infuriata di Emily.
Lei balzò in piedi e gli si parò di fronte con i pugni serrati, urlando a pieni polmoni: «Non provarci! Cazzo, non provarci! Sono morti degli uomini perché io potessi ottenere queste informazioni da te. Mi stai prendendo in giro da giorni. Adesso basta». Afferrò un tagliacarte in ottone. «Te ne pentirai, Paul. Giuro su Dio che te ne pentirai.»
Lui ansimò e il rantolo si trasformò in un accesso di tosse convulsa. Sulla scrivania era rimasta una bottiglia d’acqua mezza piena dall’ultima volta in cui lei era stata lì. Gliela porse e Loomis bevve a grandi sorsate.
Le sorrise e lei lasciò cadere il tagliacarte.
«Paul, per favore, adesso parla», riprese in tono più calmo.
«Sai bene come stanno le cose, Emily. Non appena vi avrò detto quello che v’interessa, non varrò più niente per voi. Prima voglio garanzie.»
Lei si lasciò cadere sulla sedia dietro la scrivania, come se fosse d’un tratto esausta. «Quali garanzie?»
«Per prima cosa, come ho detto, voglio vedere i miei figli.»
«Sai come funziona, Paul. Una volta nella zona di confine, restiamo nella nostra dimensione. Se la lasciamo, poi non potremo entrare al MAAC senza rischiare di essere trasportati dall’altra parte. Se non sbaglio, dovremo lavorare all’interno del collisore.»
«Esatto.»
«E i tuoi figli non possono venire per la stessa ragione.»
«Certo. Ma qui abbiamo le apparecchiature per le videoconferenze. Organizzate tutto, io intanto mi darei una ripulita.»
«Nel frattempo non possiamo iniziare il nostro lavoro?»
«Voglio farlo subito», insistette lui.
«Va bene. C’è un programma nuovo. Si chiama Skype. Permette di fare videochiamate tra due dispositivi. Sono sicura che i tuoi figli lo hanno installato sul cellulare o sul tablet. Farò una telefonata e proveremo a mettervi in contatto, ma per loro sarà traumatico.»
«Ne sono consapevole.»
«D’accordo. È tutto?»
«Un’altra cosa. Voglio restare qui finché non morirò di nuovo. Accetto il carcere, purché possa vedere i miei figli regolarmente.»
Emily si sentì di nuovo ribollire di rabbia, ma la represse e riuscì a dire in tono pacato: «Non spetta a me deciderlo».
«Certo. Esigo una dichiarazione scritta del primo ministro, chiunque egli sia.»
«Il primo ministro...» mormorò lei. «Nient’altro?»
Loomis scosse la testa. «No, è tutto.»
Emily provò a ravviarsi i capelli, ma erano troppo aggrovigliati. Sulla scrivania, trovò il biglietto da visita e chiamò il numero del cellulare.
«Wellington.»
«Ben, sono Emily Loughty.»
Ci fu un lungo silenzio dall’altro capo della linea. «Cristo... Stai chiamando da un numero interno del MAAC, esatto?»
«Sì.»
«Hai trovato il dottor Loomis?»
«È proprio di fronte a me.»
Gli ci volle quasi un’ora, ma Ben compì il piccolo miracolo e persuase i nonni dei bambini, i suoceri di Loomis, a collegarsi con lui via Skype dalla loro casa nelle Midlands. La storia che aveva rifilato loro era coerente con quella che lo scienziato avrebbe raccontato ai figli: quel fatidico giorno non si era davvero suicidato. Era stato rinchiuso in una prigione governativa, perché conosceva importanti segreti nazionali e possedeva competenze indispensabili. E, ora che era stato chiamato per trovare una soluzione alla crisi in corso, aveva rinnovato la richiesta, sempre respinta in passato, di parlare con i figli. Per il bene del Paese, i nonni potevano acconsentire?
Paul era andato in bagno e aveva usato tutti gli asciugamani di carta disponibili per sfregar via la sporcizia dal viso e dal collo. Si era lavato i capelli e aveva usato la spazzola di Emily per darsi una sistemata. A quel punto era tornato nel suo ex ufficio.
Nel frattempo, Emily aveva chiamato i genitori. Li aveva rassicurati di essere al sicuro, a Dartford, ma, quando le avevano chiesto che cosa intendesse fare, aveva evitato di rispondere. «Non posso venire in Scozia per il momento. Ho alcune faccende da sistemare.»
«Puoi dare una mano?» aveva chiesto il padre.
«Lo spero proprio, papà.»
«Siamo preoccupati, però siamo fieri di te. Lo siamo sempre stati.»
Arabel era al parco giochi con Sam e Belle. Emily aveva raccomandato ai genitori di riferirle che lei aveva appena visto Trevor e che stava bene. «Vi richiamerò appena possibile. Vi voglio tanto bene.»
Paul entrò e si sedette davanti al computer. «Come sto?»
«Bene.»
Non era vero. Curvo e con le guance incavate, aveva l’aspetto di un vecchio. Dall’ultima volta che si era seduto a quella scrivania, aveva perso i denti, e i capelli erano diventati radi e grigi. In passato era stato piuttosto robusto e in forma, adesso era emaciato.
Emily controllò l’orologio a muro. «Ora ti connetto.»
Due adolescenti dall’aria spaventata, un ragazzo e una ragazza, fissavano immobili la webcam del loro portatile. Era chiaro che non avevano riconosciuto l’uomo che avevano di fronte.
Loomis, dal canto suo, si stava sforzando di conciliare i ricordi dei bambini che aveva lasciato sette anni prima con i due volti apparsi sul monitor di Emily. «Siete davvero voi?» domandò, lasciando scorrere liberamente le lacrime. «Harry? Mary?»
Il ragazzo parlò per primo e, senza lasciar trapelare nessuna emozione, affermò in tono brusco: «Dicono che sei nostro padre. Ma lui è morto».
Loomis sentì i suoceri singhiozzare fuori dell’inquadratura. «Questo è quello che vi è stato raccontato. Era per il vostro bene. Ho fatto una cosa brutta e sono stato punito. Ma volevo rivedervi e sapere come state.»
«Ah, sì?» Il ragazzo alzò il dito medio. «Ecco come stiamo. Vaffanculo e torna a fare il morto.»
Il viso del ragazzo scomparve, ma quello della ragazza era ancora lì. «Hai ucciso la mamma.»
Loomis riusciva a malapena a parlare. «È stato un momento di follia. Mi dispiace tanto, tesoro.»
«Non chiamarmi così», replicò lei, furibonda. «Non sono il tuo tesoro. Io non sono niente per te e tu non sei niente per me.» La ragazza si voltò verso i nonni.
«Mary, per favore, possiamo parlare un momento?» domandò Loomis. «Voglio solo che mi racconti qualcosa della tua vita, della scuola, di cosa ti piace fare.»
La mano della ragazza si avvicinò alla tastiera e l’immagine scomparve.
«Cos’è successo?» domandò Loomis.
«Si è disconnessa.»
«Puoi ricollegarti?»
«Magari più tardi, Paul. Hai visto com’è stato difficile per loro? Fallo per il loro bene.»
Lui si alzò e fece alcuni passi incerti prima che Emily lo sorreggesse per un braccio, aiutandolo di nuovo a sedersi.
Sulla credenza, c’era un piccolo bollitore elettrico che lei aveva riempito poco prima. «Magari un po’ di tè ci farebbe bene.»
«Tè?» Lui sbatté le palpebre. «Sì, sarebbe meraviglioso.»
Quando l’acqua si scaldò a sufficienza, Emily la versò nelle tazze e mise due bustine in infusione. «Temo di non avere latte. Magari do un’occhiata in giro.»
«No, non ti preoccupare.»
«Zucchero?»
Lui annuì con entusiasmo, asciugandosi un’ultima lacrima.
Lo vide chiudere gli occhi e godersi il momento, mentre gustava il liquido dolce.
«Cambieranno idea.»
«Cosa intendi dire?»
«Più avanti, vorranno vedermi.»
Il computer segnalò l’arrivo di una nuova e-mail. Emily l’aprì e lanciò la stampa. «Ecco la dichiarazione del primo ministro Lester», disse, porgendogli il foglio.
Loomis la lesse e l’appoggiò sul tavolo, tornando a concentrarsi sulla tazza di tè. «Uranio.»
Emily alzò gli occhi. «Cosa?»
«Uranio. L’isotopo U-238. Quello che dobbiamo fare è produrre un’energia di collisione molto più potente di quella creata dagli ioni di piombo.»
Lei era già alla lavagna e scriveva equazioni il più velocemente possibile.
«Esatto, brava», approvò Loomis. «Portando l’energia di collisione a trenta TeV, avete prodotto gli strangelet, che sono ancora presenti nel collisore assieme ai gravitoni. Per distruggerli definitivamente, dobbiamo aumentare il livello di energia.»
«L’uranio è più pesante del piombo», esclamò Emily, eccitata. «Non ci ho pensato. Non ci ha pensato nessuno, in realtà.»
«Non si tratta solo della massa dell’uranio, è fondamentale anche la forma degli ioni. Quelli dell’U-238 sono tipo un pallone da calcio. Le collisioni uranio-uranio dovrebbero produrre un plasma di quark e gluoni più denso di qualsiasi altro tipo di ioni. È solo un’ipotesi, naturalmente, ma credo che funzionerà.»
«No, Paul, è più che un’ipotesi. Il Brookhaven RHIC nel 2012 ha utilizzato gli ioni di uranio, raggiungendo energie di collisione molto elevate.»
«Se non è stato notevolmente potenziato, Brookhaven è un pigmeo rispetto al MAAC», osservò Loomis. «Qualunque cosa abbiano ottenuto loro, qui dovrebbero esserci valori logaritmici ancora più elevati.»
Lei annuì e continuò a scarabocchiare sulla lavagna. Dopo alcuni minuti, mise giù il pennarello e i due controllarono assieme i suoi calcoli.
«Alla massima potenza possiamo raggiungere i trecento TeV», concluse Emily. «Pensi che basterà?»
«A quel livello d’energia gli strangelet saranno scissi in quark e le combinazioni gravitoni-strangelet si disintegreranno. Le porte dell’Inferno dovrebbero chiudersi.»
«Sei pronto per metterti al lavoro?»
Lui accese di nuovo il bollitore. «Direi che abbiamo già iniziato, non credi?»