13

Gli uomini dello Squadrone A avevano perso il conto delle volte in cui avevano rischiato la vita. Dall’Afghanistan all’Iraq, dal Tagikistan alla Sierra Leone e alla Libia, a loro era sempre chiesto l’impossibile. Avevano visto di tutto; temprati dagli scontri a fuoco più efferati, niente poteva turbarli. Fino a quel momento, almeno.

Si trovavano in una radura, su un terreno abbastanza elevato da consentire di vedere, a breve distanza, un fiume che serpeggiava tra la vegetazione. Nella direzione opposta si allungavano una fila di casette basse e un edificio più massiccio, con una torre quadrata che saliva verso il cielo cupo e fosco.

Mentre i soldati del SAS, Kyle e il professor Nightingale stavano cercando di riprendersi dal brusco trasferimento all’Inferno, John, Trevor ed Emily si resero immediatamente conto del pericolo.

«Trev, resta con loro», ordinò John, mentre si precipitava in testa alla colonna, dove destò il capitano Gatti dalla trance in cui era caduto.

«Sta andando tutto come previsto?»

«Be’, siamo arrivati», rispose John. «Ma dobbiamo allontanarci in fretta da quella torre. Ci vive una specie di signorotto feudale e di certo ci saranno delle guardie a sorvegliarlo. Se ci notassero, non avremmo scampo.»

«Qualcuno ha ancora le armi?» chiese Gatti agli uomini della truppa C.

Ovviamente erano disarmati.

«Quello è il fiume Mole, quindi il nord è da quella parte», ragionò John. «Richmond dista venti chilometri scarsi. Dobbiamo aggirare il villaggio da ovest e sperare che non ci avvistino.»

«Raccogliete sassi, bastoni o qualsiasi cosa possiate usare come arma», ordinò Gatti ai suoi uomini.

«Vado ad avvertire gli altri», affermò John, indietreggiando.

Dalla sua posizione privilegiata sulle spalle di Moose, Nightingale esclamò: «Tutto ciò che era moderno è scomparso... Incredibile! Emily, detto da scienziato a scienziato, sono letteralmente allibito».

«È la parola giusta», ribatté lei.

«Dice?» chiese il caporale corpulento, lasciando che il chimico si guardasse attorno, mentre lui girava su se stesso. «A me pare che la parola giusta sia: ’Porco mondo’!»

«In realtà sono due parole», precisò Nightingale. «Ma rendono bene l’idea.»

John tornò dai suoi e li aggiornò sul piano.

«È proprio un gran casino», esclamò Kyle, guardandosi attorno smarrito.

«Hai ragione», concordò John, mentre controllava lo zaino del fratello. Anche in quello, come negli altri quattro, tutto il materiale indispensabile era intatto. «Stai giù e segui gli altri.»

Emily sfiorò il braccio di John. «Siamo di nuovo qui», sussurrò con voce malinconica.

«Magari è la volta buona. Resta vicino a me, sempre.»

«Certo.»

Non appena la colonna girò attorno al villaggio, John scorse in lontananza una figura in cima alla torre, poi altre due che agitavano freneticamente le braccia. «Ci hanno visti!» gridò allo squadrone.

Gatti ordinò di avanzare a passo di corsa e la colonna prese velocità.

John teneva d’occhio la torre. Gli sembrò che uno degli uomini avesse qualcosa in mano. Erano fuori gittata per gli arcieri e anche un soldato armato di moschetto avrebbe dovuto essere straordinariamente fortunato per colpirli, quindi non si allarmò troppo. Poi però sentì vibrare l’aria. «Balestra!» urlò, attirando Emily a sé, per proteggerla.

Il dardo li mancò, ma di poco.

«Metti giù Nightingale o farà da bersaglio.»

Moose fece scivolare il chimico dalle spalle e lo portò in braccio come un neonato mentre tutti iniziavano a correre. Un secondo dardo fischiò sopra le loro teste e un terzo si abbatté in mezzo alla truppa A, mancando di poco un soldato, che si fermò per estrarlo dal terreno.

«Avanti, non perdere tempo!» ordinò il capitano Marsh.

«Non sto perdendo tempo», replicò l’altro. «Adesso ho un’arma.»

Percorsero un lungo tratto verso nord-ovest, con John che continuava a guardarsi indietro per rendersi conto del pericolo. Brutte notizie. Da dietro la torre spuntò una decina, o forse più, di cavalli e cavalieri che presero a galoppare verso di loro.

Anche il capitano Yates li vide e abbaiò degli ordini. Lo squadrone aveva seguito un corso di addestramento sulle tattiche di combattimento a mani nude, ma non c’era stato tempo per esercitarsi su tutti gli scenari possibili. Un attacco a cavallo era uno di quelli.

Lo squadrone arrestò la marcia e si divise spontaneamente in gruppetti sparsi di quattro o cinque uomini. John portò i civili nelle retrovie e assieme a Trevor si preparò ad affrontare ogni cavaliere che avesse sfondato le difese. Gli ufficiali si liberarono dei pesanti zaini e li lanciarono a John e Trevor perché li custodissero.

Le milizie di Leatherhead, guidate dal signore del castello, piombarono su di loro, brandendo spade e pistole.

A meno di venti metri di distanza echeggiò uno sparo: un soldato della truppa B si portò le mani al petto e cadde. Un altro colpo ferì un caporale della truppa C.

«Hanno un proiettile solo!» li avvisò John. «Non ricaricheranno in sella e passeranno alle spade!»

Ingegnosi come sempre, i SAS improvvisarono. Mentre un soldato agitava le braccia, come un matador che sventolava un drappo rosso davanti al toro, per attirare l’attenzione di uno dei cavalieri armati di spada, altri tre o quattro compagni eseguivano una manovra a tenaglia, lanciandosi ai fianchi del destriero per cercare di disarcionare l’uomo prima che potesse sferrare un colpo di taglio. Il caporale di Newcastle che aveva confessato di odiare i cavalli fu sollevato da due compagni e, letteralmente, scagliato contro uno degli aggressori, che fu sbalzato a terra. Per qualche istante il caporale si ritrovò a pancia in giù sulla groppa del cavallo, poi scivolò, imprecando contro l’animale che fuggiva al galoppo. Quando un miliziano veniva abbattuto, i SAS lo circondavano colpendolo con calci e pugni, finché non perdeva conoscenza, e a quel punto s’impadronivano della sua spada.

John osservava lo svolgersi della battaglia: fremeva dalla voglia di buttarsi nella mischia, ma non voleva lasciare scoperti Emily e gli altri. Presto, anche i SAS furono armati quanto i loro aggressori.

«Il vento sta cambiando», commentò Trevor.

«Accidenti, questi ragazzi sanno come si combatte!» esclamò Kyle, ammirato.

All’improvviso il signore del castello, un bruto con i capelli lunghi e la barba folta, sfondò la barriera del SAS e caricò i civili.

Trevor si lanciò fuori del gruppo per distrarlo e John ordinò a Emily, Kyle e Nightingale di stendersi a terra. Il signorotto fece roteare lo spadone, mancando la spalla di Trevor di pochi centimetri. Allora puntò verso John. Il cavaliere usava la destra, così, non appena il cavallo fu vicino, John scartò a sinistra eludendo l’affondo. Quando l’uomo cercò di far voltare il cavallo per ritornare alla carica, Kyle, che aveva disobbedito agli ordini del fratello, gli agguantò il piede sinistro infilato nella staffa.

Il signorotto sollevò la spada per abbatterla sulla testa di Kyle, ma John, da destra, lo afferrò per i calzoni e con uno strattone deciso lo tirò giù dalla sella. Trevor lo colpì con un calcio mortale alla testa e s’impossessò della spada.

«Ti avevo detto di stare giù, maledizione», sbraitò John.

«Non c’è di che», ribatté piccato Kyle. «Sei proprio uno stronzo, sai?»

«Disobbedisci ancora ai miei ordini e te ne accorgerai.»

«Io non prendo ordini da te. Non l’ho mai fatto e mai lo farò.»

Poi sentirono Nightingale esclamare eccitato: «Guardate! Abbiamo vinto!»

Tutti i miliziani erano a terra e alcuni cavalli erano stati requisiti.

«Abbiamo perso degli uomini», osservò John.

Emily stava già soccorrendo i feriti. S’inginocchiò accanto a un soldato a terra che sanguinava dalla testa. Prese dallo zaino un rotolo di bende di cotone e iniziò a fasciare la ferita. Ogni gruppo aveva un medico con in dotazione solo delle bende: si sparpagliarono a ventaglio, facendo del proprio meglio.

Marsh aveva perso il berretto. Con il respiro affannato si strofinò la testa calva, madida di sudore, e indicò uno dei miliziani che si contorceva sull’erba. Il collo curvato in modo grottesco era spezzato. «Quest’uomo dovrebbe essere morto.»

«Già, e sarebbe lo stesso anche se avesse la testa mozzata», replicò John.

«Quindi è inutile dargli il colpo di grazia, eh?»

«Perfettamente inutile. È fregato per sempre.»

Marsh scrollò la testa. «Cazzo, che razza di posto. Abbiamo riportato delle perdite, però almeno adesso abbiamo qualche cavallo e delle vere armi.»

Il medico della truppa A chiamò Marsh e John. Inginocchiandosi vicino al soldato che era stato colpito al petto, lo dichiarò caduto in azione.

«Sembra che i nostri muoiano come sulla Terra», osservò il militare. «Era un brav’uomo. Con moglie e due figli.»

«Dovremmo seppellirlo prima di rimetterci in marcia», suggerì John. «Altrimenti gli erranti stanotte banchetteranno con i suoi resti.»

Marsh sputò a terra in segno di disgusto. Poi chiamò il sergente della sua truppa. «Avanti, datevi da fare!»

Marciarono verso nord per quasi sei ore. Controllavano la direzione sulle mappe di seta, ma non era difficile orientarsi. Il Tamigi scorreva a nord tra Leatherhead e Richmond, perciò bastava tenerlo sulla sinistra. A Moose fu risparmiata la fatica di portare Nightingale: aveva issato il professore in sella a un cavallo che tirava per le redini. Anche Emily, Kyle e i feriti cavalcavano. I cinque zaini pesanti furono caricati su un altro animale.

Lungo la strada, la maggior parte dei soldati raccolse armi di fortuna, soprattutto bastoni, e uno trovò una pala appoggiata a un albero. Ogni volta che vedevano in lontananza il fumo di un camino o di un falò, giravano alla larga. Ma non riuscirono a passare inosservati. I marinai di alcune chiatte che scendevano lungo il fiume li additarono, sebbene John dubitasse che da quella distanza fossero in grado di distinguerli da una delle truppe di re Enrico.

Dopo cinque ore di marcia, il fiume curvò verso est. Notarono che in lontananza invertiva la direzione, formando un’ansa verso ovest.

«Ci stiamo avvicinando.» John affidò Emily a Trevor e raggiunse gli ufficiali per illustrare loro il suo piano.

Furono tutti d’accordo, sebbene Marsh non risparmiò uno dei soliti commenti sarcastici: «È una fortuna per noi poveri bastardi che ci sia qui lo yankee ad aiutarci a leggere la mappa».

Gatti andò dritto al punto: «Sicuro che non ci siano ponti qui vicino?»

«Più che sicuro», rispose John. «La corrente sarà un problema?»

«Tutti i ragazzi sono abili nuotatori. Ma dovremo trovare un modo per portare i civili dall’altra parte del fiume. Sarebbe più pratico usare una vera barca, invece del legname raccolto a riva.»

Nell’ultimo chilometro e mezzo di tragitto, attraversarono una grande pianura erbosa, che sulla Terra corrispondeva all’Old Deer Park di Richmond. John identificò il guado davanti a loro grazie alla sottile colonna di fumo nero che si alzava in un cielo pomeridiano color pergamena. Raggiunta la riva meridionale del fiume, i civili e i feriti smontarono da cavallo. Greene si diresse con i suoi uomini a est, Yates a ovest. Il resto dei soldati rimase lì di guardia. Passò un’ora prima che le due truppe facessero ritorno. Una si presentò a mani vuote; quella di Yates, invece, aveva qualcosa di più prezioso dell’oro: due barche a remi di medie dimensioni che avevano trasportato fin lì via terra.

Dopo averli abbeverati, impastoiarono i cavalli agli alberi, accanto a mucchi di erba fresca. A Moose venne affidato il carico più prezioso: Nightingale, due feriti, gli zaini e le armi. Iniziò a remare, circondato da metà dello Squadrone A, che gli nuotava accanto. Il resto degli uomini scortava l’altra barca, condotta da John e con a bordo Emily, Kyle, Trevor e un ferito. La corrente era impetuosa, ma avevano scelto il punto in cui il fiume era più stretto, così tutti approdarono sani e salvi sulla riva opposta.

Da lì restava solo un breve tratto in salita verso il camino che eruttava fumo.

Non c’era nessuno fuori della bassa fucina di mattoni. Comunicando a gesti, gli uomini del SAS si divisero in due gruppi e, chinandosi sotto le finestre che riverberavano i bagliori arancioni della fornace, circondarono l’edificio.

Quando furono in posizione, John si diresse all’ingresso chiamando a gran voce: «William il fabbro è qui?»

Dalla fornace uscì un uomo piccolo, nudo dalla cintola in su, che strizzò gli occhi al chiarore del giorno. Vedendo gli stranieri guaì come un cane cui fosse stata pestata la coda e corse di nuovo dentro.

La truppa C di Gatti, quella più vicina all’entrata, si preparò allo scontro, ma John tranquillizzò i soldati con un gesto della mano.

Un energumeno si stagliò nel vano della porta, brandendo una sbarra di ferro. Anche lui era a torso nudo: aveva la pelle nera di fuliggine e lucida di sudore. «Chi lo cerca?» sbraitò prima di scorgere John. «Ma guarda un po’ chi si vede! John che non sei di queste parti, non sei riuscito a tornare a casa?»

«In realtà, sì. Due volte. Questa è la terza che torno nel vostro bel Paese.»

«Bello? Questo buco di merda? Sei sempre uno spasso. Vieni qui.»

I due uomini si abbracciarono e gran parte della fuliggine di William finì sulla camicia di John. L’ultima volta che si erano visti, il fabbro era sul ciglio delle bianche scogliere della costa sudorientale della Britannia, intento a presidiare una batteria di cannoni La Hitte, mentre John salpava per la Francia a bordo dell’Hellfire.

«Dunque sei andato nei Paesi del Nord», affermò John.

«Proprio così, e tu come fai a saperlo?»

«Me l’ha raccontato un certo re.»

«Be’, abbiamo combattuto una campagna vittoriosa contro il vecchio re Cristiano e ci siamo impadroniti delle sue miniere. Come mi avevi detto, i minerali ferrosi nordici sono di gran lunga migliori. Ne abbiamo portato in Britannia una buona quantità. Ma chi è tutta questa gente che circonda la mia fornace? Non sembrano uomini di Enrico.»

«Nemmeno loro sono di queste parti.»

«Sono viventi? Tutti quanti?»

«Già. Si tratta in gran parte di soldati britannici, il meglio del meglio. Si chiamano SAS. E c’è anche una donna. Emily, vieni, voglio presentarti un vecchio amico.»

William si pulì le mani sul grembiule di cuoio, poi prese quella di Emily nella sua e la baciò. «Così ti ha trovata, eh?»

«Sì, e mi ha riportata a casa. È stato molto coraggioso.»

«Se sei tornata qui, allora quella coraggiosa sei tu», osservò William. «E anche bella. E aggraziata. E...»

John mise fine a quella raffica di complimenti scoppiando in una risata. «Faresti meglio a chiudere la bocca, amico mio, o inciamperai nella lingua. Minerali ferrosi ne hai ancora?»

«Un po’. Perché?»

«Mi servono.»

«Mi piacerebbe aiutarti, ma non sta a me disporne. Appartengono al re.»

John era preparato a quell’obiezione. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni, estrasse il foglio che aveva portato dalla Terra e lo mostrò a William.

Il fabbro lesse ad alta voce: «’Io, Enrico, re di Britannia, comando che il mio mastro forgiatore, William, dia a John Camp tutti i minerali di ferro di cui avrà bisogno per forgiare l’acciaio, tutto l’ottone che gli servirà e tutta la manodopera di Richmond di cui necessiterà’». Alzò lo sguardo, annuendo. «Reca la firma del mio signore ed è certo che obbedirò. Dimmi, John che non sei di queste parti, cosa vuoi forgiare?»

John fece un cenno al fratello per invitarlo ad avvicinarsi. «William, ti presento mio fratello Kyle. Anche lui non è di queste parti. È un armaiolo, uno dei migliori che abbia mai incontrato. Non esiste pistola e fucile che non sappia riparare o costruire. Kyle, fagli vedere cos’hai portato.»

L’altro aprì uno zaino e iniziò a estrarre un centinaio di fagotti di cotone di diverse dimensioni. Poi slegò uno degli involti più voluminosi: conteneva uno stampo profondo in gomma.

William lo esaminò con attenzione. «È uno stampo, a quanto vedo.»

Kyle disfece un fagotto più piccolo e glielo porse.

«Dimmi, armaiolo Kyle, tutti questi stampi sono destinati a un’unica arma?»

«Esatto», rispose lui.

«Come si chiama?»

«AK-47.»

William ripeté il nome scandendolo lentamente, come una formula magica, e chiese quali fossero le sue caratteristiche.

Kyle parlò del kalashnikov quasi con affetto: «L’AK-47 è l’arma più diffusa nei tempi moderni. Si tratta di un fucile con due modalità. In semiautomatico spara un colpo ogni volta che si preme il grilletto. In automatico spara a raffica, finché il grilletto non viene rilasciato. Monta un caricatore curvo da trenta colpi. S’inceppa raramente, anche quand’è bagnato o coperto di fango. È stato chiamato il ’fucile del combattente per la libertà’, perché è facile da montare, affidabile e poco costoso da produrre. Ho preparato gli stampi di tutte le parti, compresi il caricatore e viti varie. Ho anche gli stampi per i proiettili e una pressa. Quello che ci occorre adesso è il vostro migliore acciaio per realizzare la fusione a cera persa».

«William, sai come funziona?» domandò John.

«Conosco il metodo e l’ho già usato. Quanti AK-47 volete fabbricare?»

«Trentadue circa», rispose Kyle. «Otto per ogni gruppo di SAS. Abbiamo portato cinque serie di stampi per poterli produrre più in fretta. Ci serviranno anche un centinaio di caricatori e qualche migliaio di munizioni.»

«Munizioni?» ripeté William.

«Sì, munizioni, proiettili», spiegò John. «Ecco come funziona. Questi proiettili racchiudono in un unico cilindro la pallottola di piombo e la polvere da sparo. Per innescarli, un percussore si abbatte sulla spoletta alla base del proiettile. La spoletta deve contenere una sostanza chimica esplosiva. Abbiamo portato con noi uno scienziato, un chimico che sa come prepararla, ma dobbiamo prima procurarci tutti i componenti necessari. L’uomo di cui sto parlando è lì, il professor Nightingale.»

Il chimico era seduto sotto un albero: era pallido e provato, ma agitò allegramente la mano.

William prese uno straccio dal grembiule e si soffiò il naso. «Questi AK-47 sembrano armi potenti. Ho sentito uomini moderni parlare di fucili che sparano alla svelta, ma nessuno che conosco è stato in grado di spiegare a questo vecchio forgiatore come costruirne uno. E ora eccovi qui, con tanto di stampi. Dimmi, John, che cosa intendete fare con queste armi?»

«Proveremo a fermare un’invasione.»

Per il momento, William si accontentò di quella spiegazione e s’ingegnò per nutrire i suoi ospiti affamati. Pensò a come allungare e dividere le magre razioni degli operai della fucina in modo da farle bastare per tutti, ma poi ebbe un’illuminazione. Nei dintorni era risaputo che, una volta, Enrico aveva ordinato al fabbro di utilizzare il villaggio come bersaglio, per verificare la precisione e la gittata del suo nuovo cannone tonante. Era stato John ad aggiungere alla carica dell’altra polvere da sparo, così il proiettile aveva oltrepassato le case ed era caduto nel fiume senza causare danni. William quindi si recò di persona dagli abitanti del villaggio spiegando che il loro salvatore, John Camp, aveva bisogno di cibo per sé e per i propri amici: benché poveri, tutti svuotarono le dispense e le botti per ringraziare il loro eroe.

Un carro trainato da un ronzino macilento risalì faticosamente la collina fino alla fucina. Un manipolo di uomini dall’aspetto rozzo e una donna magra vestita con un abito consunto scaricarono le provviste. La donna poteva avere sessant’anni, ma il viso era così segnato che era difficile stabilirne l’età. All’inizio si mostrò intimorita da quei giovani soldati, al punto di non riuscire a guardarli in faccia. Emily sembrava spaventarla meno, così le rivolse un timido saluto. Ma la cosa più strana fu che, per qualche motivo, parve subito a proprio agio con il professor Nightingale. Gli portò del cibo e gli versò un boccale di birra. Da parte sua, lo scienziato evitò educatamente di arricciare il naso per il tanfo che la donna emanava e le chiese quale fosse il suo nome.

«Mrs Smith», rispose lei. «Eugenia Smith.»

«Piacere di conoscerti, Eugenia. Mi chiamo Ted Nightingale», si presentò il professore, tendendole la mano.

«Come hanno fatto dei viventi a scendere nell’Oltre?» sussurrò lei, così che nessun altro potesse sentire la domanda.

«È incredibile, vero? Sono uno scienziato, eppure non sono certo di comprenderlo bene.»

«Allora perché siete venuti?»

«A quanto pare il nostro mondo sta subendo un attacco da parte di alcuni dei vostri. Bisogna fare qualcosa per impedirlo.»

«Sei malato, vero?»

«Effettivamente, sì. Come hai fatto a capirlo?»

«Il colore della pelle, gli occhi ingialliti. Li aveva pure mia madre prima di morire.»

«Temo di essere anch’io vicino alla fine», confermò lui, con tutta la noncuranza di cui era capace. «E questa è l’ultima avventura di una vita in fondo interessante.»

«Be’, spero che non ti ritroverai qui, quando verrà il momento», commentò lei. «Non c’è giorno in cui non desideri poter cancellare le azioni malvagie che ho commesso.»

Gli operai si sparpagliarono sull’erba, mangiando pane, formaggio e carne secca. I soldati rimasero per conto loro. John era seduto in cerchio con Trevor, Emily, Kyle, Nightingale e William a discutere su quando iniziare a fondere i pezzi per le armi.

«Possiamo iniziare stasera, se a voi sta bene», propose William.

«Prima è, meglio è», replicò John.

William fece preparare i minerali ferrosi, una gran quantità di cera e una scorta di gesso in polvere per le colate.

«Mi occorre del piombo per preparare lo stifnato per gli inneschi», affermò Nightingale in tono energico, rinvigorito dal pasto.

«Ne abbiamo in abbondanza», grugnì William. «Lo usiamo per le palle dei moschetti.»

«Eccellente, eccellente», approvò il chimico. «E mi serve anche dell’acido nitrico. Se è già pronto, tanto meglio, altrimenti lo ricaverò con un processo di sintesi.»

«Cos’è quest’acido nitrico?» domandò William.

«In passato era chiamato acquaforte. O forse lo conoscete come spirito di nitro?»

«Mi dispiace, non ho idea di cosa sia.»

«Sapete se c’è qualche chimico, o magari un alchimista, qui nei dintorni?»

William si limitò a fissarlo con sguardo assente.

«Non importa, vorrà dire che lo prepareremo noi. Se avete della polvere da sparo, immagino che abbiate anche del nitrato di potassio, conosciuto anche come salnitro.»

Il fabbro s’illuminò. «Salnitro. Sì, ne abbiamo. Lo ricaviamo dagli escrementi di pipistrello nelle grotte.»

«Giusto. Molto bene. E presumo che non sia un problema mettere le mani su dell’argilla di buona qualità.»

«Argilla? Quanta ne volete.»

«Argilla bianca, per la precisione.»

«Bianca, rossa, marrone. Ne abbiamo a volontà.»

«Allora tutto quello che mi occorre è un bancone su cui lavorare, alcuni contenitori di vetro, piombo, argilla bianca, salnitro, acqua pulita e una fonte di calore.»

«Date un’occhiata là dentro. C’è tutto il calore che un uomo possa desiderare», ribatté William, indicando il bagliore arancione proveniente dalla fucina.

John si chinò verso Emily. «Oggi è andata piuttosto bene.»

«Non per il soldato Jones», gli ricordò lei.

«Ogni volta che partono in missione, questi uomini sanno che potrebbero non fare ritorno.»

«Tu ci sei abituato, io no.»

«Grazie al cielo.»

«Immagino che pure noi dovremo affrontare giorni terribili, ma, prima attraversiamo la Manica per trovare Paul, meglio è», concluse lei.

«Ben detto!» John si alzò e aiutò Kyle a rimettersi in piedi. «Pronto, fratellino?»

Lui fece qualche passo barcollante, cercando di sgranchire il ginocchio irrigidito. «Be’, sono all’Inferno per questo.»