27
Angus e i ragazzi erano terrorizzati sia dal bosco sia dalla strada. Nel primo caso il pericolo era costituito da erranti e animali selvatici, nel secondo da Bess e Ardmore. Per non rischiare di perdersi, Stuart aveva suggerito d’inoltrarsi nella foresta, rimanendo però a non più di venti metri di distanza dalla strada. Ma era difficile al buio, su un terreno accidentato e con una miriade di ostacoli da aggirare. All’alba, erano circondati dagli alberi e avevano perso di vista la carreggiata.
Fortunatamente, Harry si era ripreso poco dopo essere stato colpito da Angus e, sebbene si fosse lamentato tutta la notte per il dolore alla faccia, almeno Glynn non aveva dovuto portarlo in spalla troppo a lungo.
Alla pallida luce del mattino, circondati da pini giganteschi, i ragazzi fecero il punto della situazione. Erano pieni di abrasioni e di lividi, per essere inciampati più volte nelle radici e aver sbattuto contro i rami, ma era Harry il loro tormento: una litania continua di proteste e accuse per avere la mascella gonfia e il labbro spaccato coperto di sangue rappreso.
Angus non ne poteva più. «Tappati la bocca, altrimenti ti do un’altra lezione.»
Danny gli raccomandò di fare silenzio, facendo un cenno verso il bosco, per ricordargli che Bess poteva essere nelle vicinanze.
Abbassando la voce, Angus proseguì infuriato: «Boris è morto a causa tua e tutto quello che sai fare è lagnarti e frignare come una femminuccia».
«Non è stata colpa mia», gemette Harry. «Io non volevo andar via. Se mi avesse lasciato stare, non sarebbe successo niente.»
«Davvero, Harry, sta’ zitto», intervenne Kevin. «Stai rischiando grosso.»
«Ho sete», disse Andrew. «Ci serve dell’acqua.»
«Ci occorrono tre cose», precisò Stuart. «Acqua, cibo e ritrovare la strada.»
«Quattro cose», precisò Danny. «Ci servono anche delle armi.» Prese da terra un lungo ramo e lo spezzò in due sul ginocchio. «Ma a questo ci penso io.»
«Restiamo uniti», ordinò Angus ai compagni. «Se ci dividiamo, è la fine.»
Stuart esaminò gli alberi lì attorno e domandò: «Secondo voi, anche qui il muschio cresce sugli alberi come da noi?»
Harry non era sicuro di avere il permesso di parlare, così alzò la mano. «Le nuvole impediscono alla luce diretta del sole di filtrare, ma, dal momento che la geografia sembra essere la stessa della Terra, credo che il sistema solare di questo mondo parallelo abbia la stessa configurazione del nostro. Dopotutto c’è lo stesso ciclo di luce e tenebre. E, siccome ci troviamo nell’emisfero settentrionale, dovrebbero anche esserci delle lievi differenze di temperatura su un lato degli alberi rispetto all’altro.»
«Ma che diavolo sta dicendo Merdina?» chiese Nigel.
«Ha detto che il muschio dovrebbe crescere sul lato nord degli alberi», spiegò Stuart. «E questo significa che il nord è da quella parte.»
Angus si guardò attorno. «La fattoria era a nord della strada e di sicuro stanotte non abbiamo attraversato il sentiero. Londra è a nord-est del Devon, quindi la strada deve essere a sud-est rispetto a noi.»
«Da quella parte.» Stuart indicò la direzione.
«D’accordo», ribatté Angus. «Danny, tu cerca di procurare a tutti un bastone per camminare e, in caso, difendersi; Stuart, tu sei un boy-scout, quindi vai a caccia di funghi e bacche commestibili, insomma quel genere di cose e, mentre camminiamo, teniamo le orecchie tese per sentire se c’è un ruscello. Il primo che vedrà la strada riceverà una medaglia d’oro. No, mi correggo. La medaglia d’oro va a Stuart per avere aperto il recinto delle pecore, ieri sera.»
Tra risate e fischi, Stuart ringraziò con un profondo inchino.
Camminarono per ore senza trovare l’acqua né nulla di minimamente commestibile, anche se Danny aveva fatto un mezzo tentativo di colpire con una bastonata qualcosa che era nascosto sotto un cespuglio, pensando che potesse trattarsi di un serpente o un coniglio. Alla fine ognuno aveva un bastone robusto e le tasche piene di sassi. Tranne Harry, che si era rifiutato.
Alla fine fu Andrew, raggiante, a reclamare il premio per avere avvistato la strada per primo.
Era deserta.
I ragazzi erano così stanchi di avanzare sul terreno fangoso e accidentato che serpeggiava tra alberi e cespugli di rovi, che si concessero il lusso di procedere per un po’ sulla carreggiata dura e piana. La sorte sembrò girare a loro favore, perché di lì a poco Glynn udì un dolce gorgoglio: lo seguirono, inoltrandosi di nuovo nel bosco e, quando scorsero un ruscello, si buttarono a terra per bere lunghe sorsate di quella deliziosa acqua fresca.
Avevano bevuto a più non posso, quando Harry li fece ridere a crepapelle, chiedendo se secondo loro l’acqua era potabile.
Si riposarono per qualche minuto, poi Angus li esortò a rimettersi in marcia. «Adesso è meglio rimanere nel bosco.»
«No, dai, restiamo ancora un po’ sulla strada», protestò Glynn. «Tu vai avanti, io controllo che non arrivi nessuno alle nostre spalle.»
«Va bene», acconsentì Angus. «Ma l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è d’imbatterci in Bess.»
«Magari non ci sta nemmeno inseguendo», ipotizzò Nigel.
«Arriverà», ribatté Kevin. «E sapete perché?»
«Perché?» chiese Danny.
«Perché già sente la mancanza delle favole della buonanotte del piccolo Harry.»
«Le hai raccontato le tue fiabe preferite?» intervenne Nigel.
«Ti sbagli», obiettò Glynn. «Probabilmente le spiegava stronzate sull’universo con una voce alla Stephen Hawking.»
«Lasciatemi in pace!» Harry scoppiò in lacrime e corse verso la strada, con i rami che gli sferzavano il viso.
«Dai, Harry, non dicevamo sul serio», urlò Nigel. Poi, rivolgendosi agli altri, ridacchiò: «Invece sì!»
«Raggiungiamolo», disse Angus.
Harry correva, ignorando la voce di Angus che gli gridava di aspettarli e di fermarsi. Mentre il bosco lasciava il posto alla strada, si voltò ripetendo: «Lasciatemi in pace!»
L’enorme cavallo nero investì il ragazzino scagliandolo in aria. Quando atterrò in mezzo alla strada, gli zoccoli dell’animale lo calpestarono, uccidendolo.
I compagni uscirono allo scoperto e si fermarono di colpo, ammutoliti dall’orrore. Era impossibile dire cosa fosse più spaventoso, se il corpo martoriato e insanguinato di Harry oppure Ardmore, che faceva dondolare la gamba sul suo nero destriero, mentre estraeva la pistola dalla cintura.
Bess scese dal carro, corse al fianco di Harry e s’inginocchiò. «È morto.» Il tono non era addolorato, bensì carico di rabbia. Puntò un dito ossuto verso Angus. «È tutta colpa tua. Sparagli, Ardmore. Pianta un proiettile in quella faccia odiosa.»
Il ragazzino era pietrificato dalla paura. Ardmore aveva già alzato il braccio, pronto a sparargli a bruciapelo. Anche i compagni erano immobili.
All’improvviso udirono un suono acuto, un sibilo crescente che fendeva l’aria. Ardmore lasciò cadere la pistola. Sebbene fosse armata, non fece fuoco.
«Ardmore!» Bess si lanciò verso di lui e lo afferrò mentre rovinava sulla strada. Le dita della donna si strinsero attorno alla parte di dardo che gli sporgeva dal petto, però era conficcato troppo in profondità per poterlo estrarre.
L’uomo sputacchiò e cercò di parlare, ma dalla bocca gli uscì solo schiuma rossa.
La donna gridò un «No!» agghiacciante e cercò con lo sguardo il cavaliere solitario che stava caricando un altro dardo nella balestra, mentre spronava il cavallo recalcitrante al galoppo. «Prendetelo!» gridò ai suoi uomini.
Nessuno dei tre scagnozzi era armato di fucili o pistole. Anche se Trevor puntava la balestra contro di loro, si scagliarono alla carica impugnando le spade. I sobbalzi del cavallo gli impedivano di prendere bene la mira, allora Trevor scelse l’animale con l’andatura più veloce e scoccò il dardo contro quell’enorme massa marrone. La giumenta cadde in avanti con una capriola, travolgendo il suo cavaliere e schiacciandogli il bacino.
Trevor gettò via la balestra, strinse le redini in una mano mentre con l’altra estrasse dalla sacca la pistola carica e l’armò. Gli altri due uomini a cavallo lo avevano quasi raggiunto. Premette il grilletto, ma la polvere era umida e l’arma fece cilecca.
Il cavallo di Trevor venne colpito da un fendente al collo. L’animale s’impennò e lo sbalzò di sella. Trevor si rimise in piedi, sguainando la spada appena in tempo per parare una serie di stoccate dal cavaliere più vicino, mentre l’altro uomo scese da cavallo per attaccarlo al fianco.
Gli uomini stavano duellando a pochi metri dai ragazzi.
«Chi è?» domandò Glynn.
«E chi lo sa, però vuole aiutarci», rispose Angus.
Bess cullava in grembo la testa di Ardmore, poi l’appoggiò con delicatezza a terra e impugnò la pistola.
Angus e gli altri ragazzi se ne accorsero e fuggirono in tutte le direzioni, ma si fermarono non appena capirono che la donna, anziché inseguirli, stava avanzando lentamente verso i duellanti.
Trevor le dava le spalle e non la vide arrivare. Bess puntò la pistola con il braccio ben teso e fermo, come se non avvertisse il peso dell’arma.
Glynn era accanto ad Angus.
«Dobbiamo fermarla», esclamò quest’ultimo.
Avevano ancora i bastoni. Glynn raggiunse Bess per primo e la colpì alla schiena, spezzando il legno in due. La donna non cadde né gridò. Si limitò a voltarsi verso di lui e con freddezza gli sparò in fronte.
Angus urlò, un urlo gutturale e disperato, e si scagliò su di lei tempestandola di bastonate. Bess si riparò il viso con un braccio e con l’altra mano frugò nei calzoni. Il ragazzo si accorse che aveva armato la pistola. Tutto quello che poteva fare era continuare a colpirla, ma quella donna sembrava immune al dolore. Era troppo forte.
Poi sentì un rumore di passi dietro di lui e, in un’immagine indistinta, scorse tutti gli altri ragazzi – Nigel, Danny, Stuart, Kevin e persino il gracile Andrew – brandire i bastoni contro Bess, impedendole di prendere la mira. Infine Danny la centrò allo sterno con un affondo che le fece cadere di mano l’arma.
Angus la raccolse.
Il colpo le trapassò la mascella, squarciando la mandibola.
L’uomo che stava duellando con Trevor si voltò per un istante, dando all’avversario una frazione di secondo di vantaggio. Colpito da un violento fendente alla spalla, fuggì barcollando nel bosco. L’uomo a cavallo vide che Bess giaceva in una pozza di sangue e decise che era spacciata. Quindi spronò il cavallo verso il Devon e presto di lui non rimase che una nube di polvere.
Trevor si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato e, dopo qualche istante, si avvicinò ai ragazzi. «Qualcuno di voi è Angus Slaine?»
«Sono io.» Angus lasciò cadere dalla mano la pistola fumante.
Trevor notò due ragazzini immobili in mezzo alla strada. In tutto, ne contò sei. «Eravate dieci.»
Angus non riuscì a trattenere le lacrime. «Glynn è morto. Harry è morto. Boris è morto. Craig è morto.»
«Mi dispiace.»
«Chi sei?»
«Mi chiamo Trevor. Tuo padre mi ha mandato a cercarti. Andiamo, vi riporto a casa.»