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Il maxischermo che copriva una parete del centro operativo dell’MI5 mostrava due uomini dall’aria stanca e irritabile. Ben immaginò che aspetto potesse avere il suo volto sui loro monitor: pallido e tirato, nella migliore delle ipotesi. Sulla sinistra c’era il primo ministro, in collegamento dall’ufficio del sindaco di Manchester, sulla destra Jeremy Slaine, rientrato a Londra da Manchester, e nascosto da qualche parte nelle viscere del ministero della Difesa, a Whitehall.

Prima di cominciare, il primo ministro chiese a Jeremy notizie della moglie.

«È a Oxford ospite del fratello. Non so cosa dirle su Angus. Non voglio toglierle ogni speranza, ma bisogna essere realisti. È come camminare su una fune.»

«Capisco perfettamente. Dille che mia moglie le è vicina con tutto il cuore.»

«Certo, grazie.»

«Allora, iniziamo», riprese Lester, assumendo un tono professionale. «Come si è evoluta la situazione nelle ultime dodici ore?»

Ben e Slaine risposero all’unisono, poi entrambi s’interruppero per lasciar parlare l’altro.

Lester era chiaramente stizzito. «Okay, Ben, l’ascolto.»

«Grazie, signor primo ministro. Sebbene ieri l’abbia informata degli sviluppi poco incoraggianti riguardo alla sicurezza, oggi ho qualche notizia positiva da segnalare.»

«Sì? Cosa?»

«Le riprese delle telecamere di sorveglianza e dei droni in tutt’e quattro le zone di confine indicano che l’ingresso di dannati è praticamente cessato.»

«Davvero?»

«Sì, lo si è potuto constatare prima a Leatherhead, poi a Upminster, a Dartford e infine a Sevenoaks.»

«La sua spiegazione?»

«Lo scenario più ottimistico, nonché più plausibile, è che il SAS abbia preso posizione dall’altra parte.»

«Jeremy, sei d’accordo?»

«Sì.»

«Altre ipotesi?»

Ben aveva già pronta una risposta. «Ho consultato il professor von Strobe, il direttore del Large Hadron Collider del CERN di Ginevra. Secondo lui è possibile che la connessione tra le due dimensioni si sia interrotta definitivamente in modo spontaneo.»

«Sarebbe un bene, no?» commentò Lester.

«Non per mio figlio né per le centinaia, se non migliaia, di cittadini britannici intrappolate laggiù», obiettò Slaine.

«Sì, hai ragione, Jeremy, hai perfettamente ragione», concordò Lester, smorzando ogni entusiasmo.

«Comunque lo scopriremo solo con il tempo», riprese Ben. «Intanto il rubinetto sembra chiuso.»

«E per quanto riguarda Londra e le aree limitrofe?» volle sapere il primo ministro.

«Questa è la cattiva notizia», riferì Ben. «È sempre peggio. È impossibile fare un calcolo preciso, ma i dannati presenti sul territorio sono di certo migliaia. Nel tentativo di tracciare un modello dei loro comportamenti, abbiamo impiegato i droni per seguire e documentare le attività di una selezione casuale d’individui. Pare che almeno il novantacinque per cento di loro siano uomini. La maggior parte trascorre qualche ora all’aria aperta, per le strade o nei parchi, ma poi quasi tutti entrano nei negozi, negli uffici o nelle abitazioni private e ci restano persino per intere giornate.»

«Come fate a sapere che sono dannati?»

«Soprattutto dall’abbigliamento, anche se è da considerare un certo margine di errore: com’è ovvio, se si procurano abiti moderni non siamo in grado di riconoscerli dall’aspetto. Ma stavo parlando del deterioramento della situazione. Anche se non riuscivamo a rispondere alla maggior parte delle chiamate di emergenza, i nostri analisti hanno continuato a monitorare attivamente i messaggi pubblicati sui social media dai tanti cittadini che hanno ignorato gli ordini di evacuazione. Si è verificato un drastico aumento di racconti, foto e video di violenze e distruzioni perpetrate da dannati aggressivi. Devo segnalare innumerevoli omicidi, stupri e, purtroppo, atti di cannibalismo, questi ultimi da imputare senza dubbio alle bande di erranti.»

Lester scomparve dall’inquadratura per qualche secondo. Quando tornò al suo posto, aveva la mascella serrata e gli occhi fiammeggianti. «Non ho pensato praticamente ad altro, dopo la nostra ultima telefonata. Credo sia arrivato il momento d’invertire la rotta. Sono consapevole della difficile e pericolosa posizione delle forze di sicurezza, che, impiegate a sorvegliare le aree urbane, non possono distinguere in nessun modo i civili dagli invasori.»

«Per non parlare del rischio di finire nelle zone di confine in espansione», aggiunse Ben.

«Esatto. Ma in tutta coscienza non è accettabile permettere che questa carneficina continui. Quand’è troppo è troppo. Questa decisione spetterebbe solo a me, tuttavia mi sono consultato con il presidente Jackson per conoscere il suo punto di vista, dal momento che hanno collaborato con noi nel finanziare e rendere operativo il MAAC. Il presidente condivide il mio pensiero e dice che farebbe lo stesso se tutto ciò accadesse sul suolo americano. Jeremy, voglio che schieri l’esercito in modo molto più massiccio. Voglio un drastico aumento di unità sul posto, droni armati su Londra e che il Drone Warfare Centre della base RAF di Waddington stabilisca le regole d’ingaggio.»

Slaine annuì con decisione: stava consigliando l’adozione di quelle misure già da diversi giorni.

«Con tutto il rispetto, signor primo ministro, la piega che stanno prendendo gli eventi era stata prevista», replicò Ben. «Non vorrei sembrare insensibile, ma abbiamo ordinato l’evacuazione totale. Gran parte di quei circa due milioni di persone che non hanno risposto al nostro appello è rimasta di propria volontà. I nostri avvertimenti sono stati espliciti. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi sono relativamente al sicuro, perché hanno trovato riparo sul posto. Se schiereremo un numero imponente di truppe e droni armati, ci saranno vittime collaterali. Uccideremo i nostri cittadini. Su questo non ci sono dubbi.»

«A quanto mi risulta, abbiamo circa duecento cani addestrati a riconoscere l’odore dei dannati», intervenne Slaine.

«Non saranno di grande aiuto», obiettò Ben. «Si tratta di un’area di millecinquecento chilometri quadrati. Inoltre gli operatori dei droni sono nel Lincolnshire e hanno ben poche possibilità di distinguere l’amico dal nemico.»

«Non saranno loro a prendere decisioni in merito», puntualizzò il primo ministro. «Sarà l’MI5 ad autorizzare ogni lancio di missili. È tutto nelle sue mani, Ben.»

 

 

Entrarono di soppiatto nella camera buia di Polly, cercando di non svegliarla di soprassalto.

Benona accese una lampada da tavolo e la luce fioca rivelò una piccola sagoma rannicchiata sotto il piumino. «Polly? Sono la mamma.»

Da sotto le coperte, la voce della bambina domandò: «C’è Brandon?» Poi la testa spuntò fuori. «Brandon, sei tu!»

«Come hai fatto...»

«Ti ho riconosciuto dall’odore! Dove sei stato?» Tese le braccia per farsi abbracciare, ma sembrava troppo debole per sollevare la testa dal cuscino. Lui si chinò e lasciò che lei gli cingesse le spalle.

«Mi sei mancato», disse Polly.

«Anche tu.»

Benona le toccò la fronte. «Scotti. Ho qui la tua medicina.»

«È cattiva?»

«Sono pillole. Sei grande, ormai. Le devi ingoiare.» Benona andò in cucina e tornò con un bicchiere d’acqua. Aiutò la figlia a sedersi e le infilò in bocca due pastiglie.

«Fatto», annunciò Polly, mostrando la bocca vuota.

«Brava. Rimettiti a dormire.»

«Brandon, sarai qui quando mi sveglierò?»

«Puoi contarci.»

In salotto, Benona e Woodbourne si guardarono, poi lui esclamò: «Lo so. Puzzo».

«Bagno e acqua di colonia», consigliò lei, con un debole sorriso.

«Stai bene?»

«Per poco quei tizi non mi uccidevano, mia figlia è malata, tu ritorni dall’Inferno e mi chiedi se sto bene?»

«Scusami, non so più come si parla alle persone.»

«Non preoccuparti, Brandon, non fa niente. Hai fame, piuttosto?»

«Sì.»

«Tu vai a darti una ripulita, io preparo qualcosa da mangiare.»

Più tardi, lui uscì dal bagno avvolto in un asciugamano, con in mano un fagotto di vestiti sporchi. Benona disse che li avrebbe lavati dopo cena e lo fece sedere sul divano con un piatto di pasticcio di carne e patate. Restò a guardarlo mentre mangiava con voracità.

«Tu non mangi?» domandò lui.

«Non ho appetito. Sono troppo preoccupata per Polly, vorrei farla vedere da un medico.»

«Be’, andiamoci.»

«L’ambulatorio è chiuso. Sono evacuati.»

«Per noi?»

«Sì. Sono arrivati molti dannati. E tutti sono fuggiti.»

«Non tutti. Tu sei rimasta.»

«Non volevo andare in quel maledetto campo militare a nord. Qualcuno potrebbe entrare qui e portarsi via le poche cose che possiedo. Sarei tornata in Polonia se avessi avuto i soldi per il viaggio. A quanto pare, però, ho fatto male a non andarmene. Una delle tante decisioni sbagliate della mia vita.»

«Possiamo portarla in ospedale.»

«Credo che sia chiuso anche quello. Ho provato a telefonare e non risponde mai nessuno. E le strade non sono sicure.»

«Ci sono io a proteggerti.»

Gli occhi della donna si addolcirono. «Lo so.»

«Il pasticcio era buono. Hai abbastanza cibo?»

«È l’unica cosa giusta che ho fatto. Ho comprato un sacco di roba da mangiare prima che i negozi chiudessero.» Prese il piatto e lo mise nel lavello. Senza alzare gli occhi, confessò: «Sono contenta che sei tornato».

«Ti ho pensata mentre ero laggiù.»

Lei tenne gli occhi sulla schiuma del detersivo. «Vuoi restare con me stanotte, Brandon?»

La risposta fu immediata. «Sì.»

 

 

Willie Oakley sbirciò dallo spioncino. Non vedeva nessuno, ma ciò non lo rassicurava granché. Magari c’era qualcuno in agguato lì vicino. Appoggiò l’orecchio alla porta. Un tempo aveva avuto un udito così fine da sentire il ticchettio dell’orologio da polso appoggiato sul comodino. Adesso era diverso, però, e anche gli altri sensi non erano più quelli di una volta. Colpa dell’età.

Mentre spingeva la porta con cautela, esitò: era proprio necessario portar fuori la spazzatura? Era sempre stato un uomo ordinato e pulito. Non voleva che la sua stanza puzzasse. Il tritarifiuti sotto il lavandino si era guastato settimane prima e l’azienda addetta alla manutenzione gli aveva rifilato un cumulo di sciocchezze riguardo a un pezzo al momento non disponibile. In quei giorni anche un pezzo di ricambio era un problema. Gli operatori sanitari e gli altri ospiti della residenza per anziani di Battersea erano tutti evacuati, lasciandolo solo con la sua spazzatura maleodorante. Era il momento di osare e buttare i rifiuti nei cassonetti, o almeno nella tromba delle scale.

Stringendo i sacchetti in una mano e un martello nell’altra, uscì sul pianerottolo. Le scale erano deserte, e Willie fu tentato di lasciare lì i sacchi e rientrare, ma il suo corpo da ottantenne fu percorso da un guizzo del coraggio e dell’orgoglio di un tempo. Da bambino era sopravvissuto al bombardamento di Londra. Aveva alle spalle quindici anni di servizio nel Southern Command Ammunition Inspectorate, dove si occupava di trovare ed eliminare le bombe tedesche inesplose a Londra e nella valle del Tamigi. Poteva farcela a raggiungere i cassonetti.

I bidoni erano ordinatamente allineati dietro l’edificio. Non c’era in giro anima viva. Avrebbe potuto utilizzarne uno qualunque, ma era un tipo abitudinario e rispettoso delle regole, così si avvicinò a quello che gli era stato assegnato. C’era dentro della spazzatura. Controllò gli altri: erano vuoti. Si guardò attorno con sospetto. Aveva supposto di essere l’unico residente rimasto, e invece forse non era così. Poteva essere solo il frutto della sua immaginazione, ma aveva la sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Scrutò le finestre che si affacciavano sul vicolo, senza notare nulla. Era il momento di dichiarare vittoria e battere in rapida ritirata.

Arrivato al suo pianerottolo, cercò di muoversi in fretta, almeno quanto gli permettevano le gambe storte, poi, mentre prendeva le chiavi dalla tasca, sentì una porta che si apriva alle sue spalle. La bocca gli si seccò subito dalla paura.

«Willie Oakley! E che cazzo!»

Si girò. La grande testa calva di Del Ruddles spuntava dall’uscio.

«Non sapevo che fossi ancora qui», esclamò Willie.

«Nemmeno io sapevo che tu fossi rimasto. Cosa pensi di fare con quel martello?»

«Costruire una casetta sull’albero. Ti va una tazza di tè?»

«Certo, perché no?»

Willie notò che Del aveva una pistola. «E quell’arnese a che ti serve?»

«A far fuori un paio di dannati», replicò Del, mentre la sua sagoma massiccia attraversava a passi pesanti il corridoio.

Willie versò il tè. «Allora, come mai non te ne sei andato?»

«In vita mia non sono mai scappato davanti a niente», spiegò Del, con un forte accento del Sud di Londra. «Di certo non inizierò a settantotto anni suonati. E tu?»

«Non mi andava proprio di finire in una base militare. Ne ho già avuto abbastanza quando ero giovane. Siamo solo noi due?»

«Non ne ho idea, ma tu sei il primo che vedo da quand’è cominciato questo casino.»

«Dove hai preso quel gingillo?» domandò Willie.

«Questo?» replicò Del, indicando il revolver sul bancone della cucina. «Ferri del mestiere. Non me ne sono mai sbarazzato.»

Willie aveva sentito i pettegolezzi che circolavano. Del era stato un malvivente, uno di quelli della vecchia guardia, che avevano le mani in pasta ovunque. Un vero sopravvissuto, con un sacco di anni di galera alle spalle. Nessuno dei due era mai stato molto interessato a farsi nuovi amici, perciò quando s’incontravano si limitavano a un cenno del capo e a un grugnito. «Be’, abbiamo l’elettricità, l’acqua e la televisione. Finché c’è anche da mangiare, siamo a posto.»

«Il cibo non manca», assicurò Del. «Ho dato un’occhiata alla mensa degli infermieri. C’è un sacco di roba nelle dispense e nei frigoriferi.»

«Buono a sapersi. Pensi che ci siano dei dannati anche a Battersea?»

«Immagino di sì. Pare siano ovunque.»

«Riesci a immaginarlo? L’Inferno esiste davvero», commentò Willie.

«Ne dubitavi?»

«Certo che sì. Non sono mai stato religioso. Forse avrei dovuto.»

«Io ho sempre creduto al Paradiso e all’Inferno. Nel mio lavoro è normale chiedersi cosa ti aspetta dall’altra parte.»

«E cos’hai concluso?» volle sapere Willie.

«Che tanto ero fregato. Adesso lo so per certo. Niente porte del Paradiso per Del Ruddles. Ho in mente di catturare uno di quei dannati e chiedergli cosa c’è in serbo per me. Giochi a carte?»

«Certo.»

«Ti va una partita a ramino?»

 

 

Avevano camminato per chilometri, adesso erano stanchi e soprattutto affamati. Anche se si erano ridotti a una trentina, restavano sempre una temibile banda di assassini. Avevano mantenuto l’abitudine di nascondersi durante il giorno, ma nell’ultimo posto in cui Heath li aveva fatti fermare non avevano trovato niente da mangiare, nemmeno carne umana. La prima scelta era stata un edificio maestoso nella zona di Millbank: tuttavia, nemmeno usando delle sbarre di ferro erano riusciti a penetrare nelle sale della Tate Britain. Avevano ripiegato sul vicino Chelsea College of Arts, ma la ricerca di cibo in quel palazzo enorme li aveva sfiniti, così erano andati a dormire in un’aula in preda ai morsi della fame.

Sebbene la notte fosse giovane, pur di mangiare qualcosa abbatterono le porte di uno stabile di mattoni a un piano, dov’era affisso un cartello con su scritto CONSEGNE ALIMENTARI SUL RETRO.

In pochi minuti, il brontolio tra i ranghi si trasformò in elogi per Heath, mentre lui li guidava attraverso una mensa vuota fino a un’enorme cucina stracolma di provviste.

«Ingozzatevi pure», annunciò, prendendo un sacchetto d’avena.

«Ci sono polli pronti da mangiare nella scatola fredda!» esclamò Monk.

Anche se l’avena secca non era male, Heath preferiva il pollo, così spinse via a gomitate l’amico. «Qualcuno ha già cucinato questi uccelli per noi», si meravigliò, prendendo un pollo intero tra le mani.

 

 

«Hai sentito?» Del si alzò per guardare fuori della finestra.

Lui e Willie avevano trascorso assieme tutta la giornata e pochi minuti prima erano andati nel suo appartamento per bere del whisky.

«Sì», confermò Willie. «Era un vetro in frantumi? Da dove pensi che arrivasse il rumore?»

«Dall’edificio degli infermieri. Ne sono sicuro.»

«Il tuo udito è migliore del mio», osservò Willie.

«Perché non usi un apparecchio acustico?»

«Non sopporto quell’aggeggio. Riesco a sentire bene la televisione se tengo alzato il volume. A cos’altro potrebbe servirmi?»

«Be’, allora andiamo», tagliò corto Del, infilando la pistola nella cintura.

«Andiamo dove?»

«A vedere cosa sta succedendo.»

«E perché?»

«Perché viviamo qui.»

«Se sono quei dannati, cosa potremmo fare?» protestò Willie. «E poi la polizia ormai se ne infischia di noi poveri disgraziati.»

«Non fare il codardo. Non eri un militare?»

«Adesso però sono un vecchio, nel caso non lo avessi notato.»

«Allora ci vado da solo. Tu resta qui nascosto nell’armadio.»

Del prese le chiavi e una torcia da un cassetto e fece per andarsene. Willie, imprecando, lo seguì.

«Bravo ragazzo», approvò Del, facendogli strada.

Avanzarono furtivamente lungo il vicolo dietro i cassonetti e attorno allo stabile che ospitava gli infermieri. Le finestre erano buie. Si fermarono davanti all’ingresso principale per cercare il vetro rotto, ma era tutto in ordine.

Del mise una mano attorno all’orecchio. «Senti?»

«No.»

«Delle voci.»

«Forse nella tua maledetta testa.»

«Dico sul serio. Facciamo il giro.»

Sul retro, vicino alla mensa, anche Willie udì delle voci inframmezzate a risate. «Torniamo indietro.»

«Scordatelo. Diamo solo un’occhiata per capire con chi abbiamo a che fare.»

Si avvicinarono alle vetrate della mensa. La stanza era buia, ma una luce soffusa proveniva dalla zona della cucina. Del non demorse. Seguirono le aiuole attorno all’angolo finché non raggiunsero le finestre della cucina. Del era più alto di Willie di almeno una spanna, così riuscì a guardar dentro per primo. L’altro dovette allungarsi per dare un’occhiata.

Illuminati dalle luci dei frigoriferi aperti videro Heath e i suoi uomini che si avventavano sul cibo.

I due anziani si abbassarono e batterono in ritirata, finché non furono di nuovo nell’appartamento di Del.

Solo allora parlarono.

«Dici che sono loro?» domandò Willie, con il fiato corto.

«Hai visto che aspetto hanno. Sembrano degli animali. Non sono di queste parti, questo è sicuro.»

«Verranno anche qui?»

«Be’, è possibile.»

«Cosa dovremmo fare?»

Del tirò fuori la pistola dai pantaloni e la mise sul tavolo della cucina. «E me lo chiedi? Quei bastardi sono venuti nel nostro mondo, nella nostra città, persino nella nostra casa.» Le vene del collo gli pulsavano. «Faremo quello che si dovrebbe sempre fare quando qualcuno invade con la forza il tuo territorio. Spedirli all’Inferno.»