31

Ammirando la nuova, massiccia ciminiera, Cromwell confessò di essere sorpreso: «I vostri progressi sono davvero notevoli, mastro William».

«Non è merito mio, bensì di quest’uomo.»

Campbell Bates sorrise al complimento. Nel corso dei lavori, si era definito l’Alec Guinness dell’Inferno, riferendosi al personaggio dell’inflessibile colonnello che l’attore aveva interpretato nel film Il ponte sul fiume Kwai.

«Quando sarete pronti a produrre l’acciaio?» volle sapere Cromwell.

«Difficile a dirsi», rispose Bates. «C’è ancora molto da fare.»

«Allora proseguite. Al mio ritorno, voglio vedere grandi lastre di metallo fuso emergere dalle fiamme.»

Bates si schiarì la gola. «Io e i miei colleghi vorremmo essere aggiornati e rassicurati sulle condizioni delle donne che sono rimaste a Londra. Siamo molto in pensiero per la loro sorte.»

Cromwell strinse le labbra. «Stanno bene.»

«Vorremmo avere il permesso di tornare a palazzo per un paio di giorni, o magari per una settimana, per vederle», insistette Bates.

«A lavoro ultimato, non prima.»

«Allora posso chiedere se avete notizie degli uomini che sono stati mandati qui per riportarci a casa? Abbiamo parlato a lungo tra noi, e voglio assicurarvi che finiremo l’altoforno. Poi però vorremmo essere rilasciati nelle mani dei soldati che ci stanno cercando.»

Cromwell si voltò e, allontanandosi dall’americano, replicò: «Credete che sia un idiota? Tornate al lavoro».

Trotter aveva ascoltato la conversazione e colse l’occasione per recuperare terreno. «Fate bene a non fidarvi.»

Cromwell lo ignorò, come avrebbe fatto con un insetto molesto.

«È da tempo che progettano una fuga, ma hanno paura delle guardie. Hanno chiesto il mio aiuto, perché sanno che sono un uomo d’azione, però mi sono rifiutato.»

Cromwell si fermò. «Perché mi dite ciò?»

«Perché, a differenza loro, ho accettato la realtà dei fatti. Nessuno verrà a salvarci. Staremo qui per il resto dei nostri giorni. Dobbiamo adattarci, fare buon viso a cattivo gioco, cercare di renderci utili.»

«È questo che pensate?»

«Sì. Oserei persino sperare che il vostro esercito abbia già sconfitto i soldati inviati qui. Ho ragione? Suffolk li ha trovati a Leatherhead?»

«Suffolk è più abile con le parole che in battaglia. Si è ritirato, né vincitore né vinto, dopo aver perso il più capace comandante in campo dell’esercito, il duca di Oxford. Se Suffolk non godesse di un ampio sostegno a corte, lo avrei già sostituito. Ma è irrilevante. Aspetteremo. La loro scorta di munizioni è limitata e, prima o poi, verranno sopraffatti. Mi è stato riferito che ciò è già accaduto a Upminster.»

A quella notizia, Trotter inarcò le sopracciglia. «Davvero? Upminster?»

«Vi auguro buona giornata», lo congedò Cromwell, riprendendo a camminare verso il fiume.

Trotter lo raggiunse di nuovo. «Voi avete bisogno di me.»

«Per quale ragione?»

«Posso eliminare Suffolk.»

Cromwell si fermò di nuovo. La sua espressione incuriosita invitò Trotter a proseguire.

«Enrico è scomparso da molto tempo, eppure voi non vi siete ancora proclamato re. Mi sono chiesto il motivo.»

«E quale risposta vi siete dato?» domandò Cromwell con un sorrisetto.

«Suffolk non vale nemmeno la metà di voi, ma vanta molti amici tra i nobili», rispose Trotter. «Suppongo che siate a un punto morto. Voi vorreste sbarazzarvi di lui e lui di voi. Tuttavia non avete intenzione di scatenare una sorta di guerra civile. Ho ragione?»

«Proseguite.»

«Ebbene, farò il lavoro sporco per voi. Fatemi venire a palazzo. Agli altri dirò che mi avete dato il permesso di fare visita alle donne, in modo da assicurarmi che stiano bene, così non sospetteranno nulla. Quindi chiederò d’incontrare Suffolk e gli lascerò intendere che sono dalla sua parte. Farò il doppio gioco. Credetemi, in questo sono un maestro. Lo faccio di mestiere.»

Sebbene non ci fosse nessuno a portata d’orecchio, Cromwell abbassò la voce, con un atteggiamento cospirativo che fece balenare un sorriso sul viso di Trotter. «E una volta che avrete guadagnato la sua fiducia?»

«Lo neutralizzerò.»

«Non conosco questa parola.»

«Come dite qui? Annientare? Lo annienterò.»

«In che modo?»

«Non lo so ancora. Magari con del veleno. Ne avete?»

«Certo, ma anche Suffolk, come me, ha degli assaggiatori per il cibo e le bevande.»

«M’inventerò qualcosa.»

«E, dopo che l’avrete eliminato, cosa m’impedirebbe di dichiararvi colpevole e... neutralizzarvi? È evidente che non ci si può fidare di voi viventi. La corte non dubiterà della mia parola. Di certo un uomo intelligente, quale voi dite di essere, ha già previsto anche questo.»

«Non lo farete, perché vi sono utile», rispose Trotter. «Una volta sul trono, avrete bisogno di un consigliere. E io non ho vincoli di lealtà. Servirò voi e nessun altro. E scoprirete piuttosto in fretta che sono un tipo spietato.»

Cromwell rise. «Credo di essermene già accorto.»

 

 

Ci era voluto un giorno intero per trovare una barca. Una volta salpati, però, la navigazione per Richmond fu rapida. La chiatta puzzava così tanto di pesce che nessuno si insospettì della loro vera identità. Nei pressi di Londra, incrociarono un’altra imbarcazione. Era carica di soldati e viaggiava nella direzione opposta, spinta a valle dalle rapide correnti del fiume. Qualcuno lanciò una cima, gridando di afferrarla e accostarsi.

Yates aveva dato loro un AK-47 e un caricatore.

John fece scivolare la mano sotto la ruvida tela del vestito per nasconderlo: prima di partire, avevano indossato le tuniche di due dannati eliminati dai SAS. «Parla tu. Hai l’accento giusto.»

Gli uomini del re avevano fame e volevano confiscare il loro carico. Arricciarono il naso, non per l’odore dei viventi, bensì per l’olezzo delle interiora di pesce. Trevor si scusò, spiegando che purtroppo avevano appena venduto tutto. I soldati brontolarono e li lasciarono andare.

Arrivarono vicino a Richmond verso sera e aspettarono che fosse buio prima di approdare nel villaggio. John condusse Trevor alla casetta di Mrs Eugenia Smith. Bussò alla porta.

«Chi è là?» gridò una voce spaventata.

«Sono io, John Camp. Sono qui per Mr Nightingale.»

La porta si aprì adagio e la donna, con un cenno della mano, li invitò a entrare.

L’unica luce proveniva dal ceppo che bruciava nel focolare.

«Dov’è?» domandò John.

«Da questa parte.» La donna usò un ramoscello per accendere un mozzicone di candela e li accompagnò fuori, sul retro, dove videro un tumulo di terra fresca. «È morto meno di una settimana fa. Era molto malato. Non sapevo cos’altro fare, se non tenergli compagnia e provare a consolarlo. Era un buon uomo, gentile e cortese. Mi ringraziava sempre e ripeteva che avrebbe voluto ricompensarmi. Sono stata felice di ascoltare le sue meravigliose storie sui tempi moderni e di essere lì nel momento del bisogno. Era da molto tempo che non vedevo morire qualcuno. Pensavo che non mi sarebbe più successo. Prima che esalasse l’ultimo respiro, gli ho confessato di non ricordare più nessuna preghiera, ma lui ha risposto che non era religioso. Ho scavato una fossa. Era il minimo che potessi fare.»

John aveva tenuto alcune monete d’oro destinate a La Rue, e ne diede una alla donna.

Lei alzò la candela per guardarla meglio ed esclamò: «Oh, cielo! Sono ricca!»

«Avete compiuto una buona azione», sentenziò John.

«Credete? Suppongo di sì.»

Lasciarono la donna e s’inerpicarono sulla collina, diretti alla fucina. John voleva informare William della morte di Kyle.

Non c’era molta luce, eppure si resero conto che la fucina era stata trasformata. Un’enorme ciminiera si stagliava contro il cielo plumbeo.

«Qui sta succedendo qualcosa di grosso», commentò John.

«Sei sicuro che sia una buona idea proseguire?» domandò Trevor.

«Forse no.»

Una voce burbera gridò: «Chi va là?»

Un soldato armato di moschetto uscì dal buio per affrontarli. Quando alzò il cane e sollevò il fucile, John gli sparò a bruciapelo. Il colpo dell’AK-47 fu così potente che il soldato venne sollevato qualche centimetro da terra, prima di cadere con un tonfo.

Un proiettile sibilò nell’aria, sfiorando l’orecchio di John. «Trevor, stai giù. Lasciamoli avvicinare.»

Sdraiato in mezzo all’erba, John scrutò le tenebre attraverso il mirino per individuare i bersagli.

Poi udirono delle voci nel buio.

«Quanti sono?»

«Ho visto due uomini.»

«Solo due?»

«Sì.»

«Bene, andiamo all’attacco. Chi ha le pistole faccia fuoco a volontà.»

Compatti, i soldati corsero giù dalla collina. La fucina non era illuminata, ma le ombre degli uomini si stagliavano contro il chiarore dei fuochi del bivacco. John mirava alle sagome in movimento, giudicando la precisione del tiro dalle grida di dolore. Poi furono sparati cinque o sei colpi, a vuoto: probabilmente i soldati stavano sparando alla cieca. John faceva mentalmente il conto alla rovescia delle sue pallottole. Arrivato a diciotto, si fermò.

«Non ce ne sono altri?» domandò Trevor.

«No.»

Si sentivano solo i gemiti dei feriti.

John si alzò con cautela e fece segno a Trevor di seguirlo. Mentre risalivano la collina, allontanarono le armi dai corpi sanguinanti. L’ultimo indossava un’uniforme da ufficiale. Era steso su un fianco. Quando John lo spinse con il piede per rovesciarlo sulla schiena, lui gli puntò contro una pistola. John non si fece sorprendere e premette subito il grilletto, poi prese l’arma dell’ufficiale.

Dall’ingresso della fucina giunse la voce di William: «Non siamo armati. Chiunque siate, lasciateci in pace».

«Sono John Camp. Ci sono altri soldati?»

«Nessuno», assicurò il fabbro. «Puoi uscire allo scoperto senza pericolo.»

John e Trevor coprirono guardinghi la distanza che li separava dalla fucina, e non si rilassarono finché non videro il volto sorridente di William.

«È bello rivederti, John che non sei di queste parti. Hai eliminato gli uomini del re?»

«Quelli che ci hanno sparato contro, sì.»

«Scalpitavano per un po’ di azione e, a quanto pare, sono stati accontentati», sentenziò l’altro.

«Ti presento Trevor Jones, un amico che non è di queste parti, proprio come me.»

«Di questi tempi si fanno strani incontri», replicò William. «Dov’è Kyle Camp?»

«Non ce l’ha fatta.»

«È davvero una triste notizia. Era un brav’uomo. Be’, io vi darò notizie più liete. Venite dentro. A quanto pare questa non è più una fucina, ma un altoforno, o almeno così ho capito. Coloro che hanno reso possibile tutto ciò saranno felici d’incontrarvi.»

Per primi, John vide i volti emaciati degli operai. Poi scorse un secondo gruppo di persone rannicchiate accanto al fuoco.

La loro espressione era sbalordita.

Campbell Bates, Henry Quint, Matthew Coppens, David Laurent, Leroy Bitterman e altri giovani scienziati che conoscevano solo di vista.

Bitterman si fece avanti. «Grazie a Dio, siamo salvi.»

John sorrise e scosse la testa. «Per fortuna vi abbiamo trovato, però non siete ancora in salvo.»

«In quanti siete?» domandò Quint.

«Qui? Solo noi due», rispose Trevor.

«Solo voi due? E dove sono finite le guardie?» chiese Bates.

«Spero che le abbiamo eliminate tutte», replicò John. «Cosa ci fate qui? Dove sono gli altri?»

«A Londra», spiegò Bates. «Non li vediamo da un pezzo. Ci hanno costretti a lavorare alla fucina.»

Bitterman sorrise stanco. «Mai sentito parlare di schiavitù?»

 

 

Il tarchiato duca di Suffolk si accomodò al tavolo da pranzo, su una sedia dall’alto schienale, avendo l’accortezza di slacciare i bottoni d’ottone della tunica, altrimenti avrebbe rischiato di farli saltar via non appena si fosse seduto per abbuffarsi. «Prego, Trotter», disse, indicando l’altro capo del tavolo. «Vino?»

«Volentieri.»

Un giovane valletto si accostò per riempire le coppe.

«È già stato assaggiato?» chiese Suffolk.

«Certo, mio signore.»

«Bevete pure, Trotter, e ditemi come vi sembra.»

Trotter annusò il vino, lo fece ruotare e lo assaggiò, seguendo i rituali del vero intenditore.

«Vi piace?» domandò Suffolk.

«Piuttosto buono. Ho sentito che avete un’ottima cantina.»

«È vero, ma al momento sto attingendo dalle scorte di re Enrico. Spero che perdonerà una tale malefatta.»

«Quindi pensate possa tornare», puntualizzò Trotter.

«Non ne ho idea. Sono tempi imprevedibili. E infatti sto pranzando con un vivente.» Suffolk assaggiò a sua volta il vino, affermando che era accettabile. «Ditemi, Trotter, perché stiamo mangiando assieme?»

«Volevo avere l’occasione per parlarvi in privato.»

«Riguardo a cosa? La fucina o altoforno o come si chiama?»

«No.» Si chinò sul tavolo e sussurrò: «Posso parlare liberamente davanti ai vostri servitori?»

Suffolk li congedò, ordinando di portare la quaglia.

«Sono poche le persone di cui mi fido a corte», spiegò il duca. «Sono rimasto in buona salute a lungo grazie alla mia prudenza. Ripongo una certa fiducia in qualche servitore, nei miei assaggiatori e in alcuni consiglieri militari, ma non in questa gente.»

Trotter prese dell’altro vino. «Dunque, a mio parere Enrico non tornerà.»

«No? E perché?»

«Penso che il mio governo lo voglia trattenere. Non sono certo che renderanno pubblica la sua presenza, eppure potrebbero farlo. Sarebbe la più grande celebrità della storia. Spopolerebbe su internet.»

«Di che parlate?»

«Niente, niente. Ciò che voglio dire è che, essendo il più famoso di tutti i monarchi inglesi, Enrico è una personalità di enorme interesse. Vale una fortuna. Inoltre, se ha la possibilità di scegliere, è ragionevole supporre che voglia rimanere sulla Terra.»

«Non riesco a immaginare cosa possa o non possa accadere in un mondo che non comprendo», protestò Suffolk, con una certa irritazione. «Ditemi, in che modo tutto questo mi riguarderebbe?»

«Non mi faccio illusioni sulla mia situazione. So di essere bloccato qui, all’Inferno. Sulla Terra prima o poi escogiteranno il modo di chiudere la connessione tra i nostri mondi. E io resterò intrappolato per il resto dei miei giorni.» Contrasse la bocca e aggiunse: «O forse anche oltre».

Suffolk si lasciò sfuggire una risatina.

«Dunque è saggio da parte mia schierarmi con colui che prenderà il posto di Enrico. È chiaro che è una corsa a due.»

Bussarono alla porta e il valletto chiese il permesso di entrare. Suffolk gli ordinò di servire il cibo e, quando i piatti furono riempiti e il servitore fu di nuovo congedato, fece cenno a Trotter di proseguire.

«Per come la vedo, Cromwell è un abile politico. È intelligente, ma non è un uomo d’azione. Un re dev’essere pronto a combattere e, nel vostro mondo, significa essere un militare. Voi siete un soldato. Siete risoluto. Ed è evidente che avete molti sostenitori a corte. Tutto questo vi rende il futuro re di Britannia, e io voglio aiutarvi a ottenere la corona.»

Suffolk infilzò un’intera quaglia con la punta del coltello e la portò alla bocca, iniziando a masticarla rumorosamente. Il grasso che colava gli imbrattò la barba bianca. Parlando con la bocca piena, domandò in tono di sfida: «Vi credevo il tirapiedi di Cromwell. Perché dovrei fidarmi di voi?»

«Non vi chiedo di fidarvi. Dovete solo constatare che mantenga la mia promessa.»

«E cioè?»

«Mandare Cromwell in una cella di putrefazione.»

«Come?»

«Basta che mi procuriate del veleno.»

«Ha degli assaggiatori. Non è così facile. Credetemi, ci avevo già pensato.»

«Lasciate fare a me. Troverò un modo che non vi coinvolga. Sembrerà una malattia e quando tutto sarà finito, be’...»

Bussarono di nuovo alla porta. Questa volta il servitore era a mani vuote. «Il cancelliere Cromwell richiede la vostra presenza per una questione della massima urgenza.»

«È qui?» domandò Suffolk.

«È nelle sue stanze.»

«Sto cenando! E perché sarebbe così urgente?»

«Il suo servitore dice che è a letto, mio signore: è molto malato.»

Suffolk spinse indietro la sedia e si abbottonò la tunica. «Trotter, restate qui. Tornerò. Sembra che la nostra conversazione sia stata benaugurante. Forse non avrò bisogno dei vostri servigi speciali.»

Suffolk se n’era andato, ma il valletto era rimasto appoggiato al muro, con le mani giunte in vita.

«È tutto a posto», disse Trotter. «Torna alle tue faccende e lasciami mangiare in pace.»

Non appena il giovane si fu allontanato, Trotter prese dalla tasca una fiala di liquido trasparente e lo rovesciò nella coppa di vino di Suffolk. Poi iniziò a mangiare la gustosa selvaggina.

 

 

Trotter si stava svestendo.

La porta si aprì all’improvviso e Cromwell entrò impettito nella stanza. «Ditemi, è fatta?»

Lui s’infilò di nuovo i pantaloni. «Ho messo il veleno nel vino e lui lo ha bevuto tutto. Ora aspettiamo. Ha creduto alla vostra storia?»

«Non aveva motivo di dubitarne», replicò l’altro. «Gli ho detto che il mio corpo era torturato dai dolori e bruciava come il fuoco. L’ho pregato di non rinchiudermi in una cella di putrefazione se fossi peggiorato. Riusciva a malapena a contenere la gioia. Quando farà effetto la pozione?»

Non era un veleno di Cromwell. Era stato Trotter a prepararlo. Si trattava di metanolo, un distillato di trucioli di legno fermentati.

«I primi sintomi si manifesteranno tra un giorno», spiegò Trotter. «Dolore addominale, mal di testa, vomito, cecità, insufficienza degli organi interni e coma. È spacciato.» Poi aggiunse due parole che cancellarono l’espressione perennemente arcigna di Cromwell: «Vostra maestà».

 

 

Due giorni più tardi, alcune guardie armate entrarono nel dormitorio delle donne e prelevarono con la forza una giovane scienziata. Dopo due giorni, non era ancora tornata.

Era sera quando un servitore bussò alla porta dei nuovi e lussuosi alloggi di Trotter, annunciando che una prigioniera, Karen Smithwick, chiedeva di essere ricevuta immediatamente. Lui acconsentì e presto la donna fu scortata nella stanza.

«Prego, Karen», disse Trotter. «Suppongo che abbia già cenato. Gradisce del vino?»

Smithwick studiò le pareti rivestite di legno, i mobili ben cesellati e le pelli animali drappeggiate sul sofà. Faticava a mascherare il disprezzo. «Girava voce che fosse tornato. È stato gentile a passare a trovarci.»

«Ero occupato. Perché non si siede e si rilassa?»

«Preferisco rimanere in piedi. Dove sono gli altri?»

«Sempre a Richmond, stanno lavorando sodo.»

«Eppure lei è qui.»

«Mi hanno assegnato un lavoro diverso.»

«Quale sarebbe?»

«A quanto pare, ho risalito la scala gerarchica piuttosto rapidamente. Cromwell mi ha nominato cancelliere.»

«Pensavo fosse lui il cancelliere.»

«È evidente che non è aggiornata, mia cara. Suffolk si è ammalato ed è stato relegato in una cella di putrefazione, Cromwell è il nuovo re e io sono stato promosso.»

«Da tirapiedi a supertirapiedi.»

«È scortese.»

«È una specie di collaborazionista, non è vero?»

Trotter decise di troncare la discussione. «Cosa vuole, Karen?»

«Kelly Jenkins è stata portata via. Dove si trova?»

«Mi rinfreschi la memoria. Che aspetto ha?»

«Capelli scuri, bella, ma sono sicura che lo sa già.»

«Sì, ora ricordo. Chi l’ha portata via?»

«Le guardie del palazzo. Dov’è?»

«Non ne ho idea.»

«Non le credo.»

«Allora facciamo così: domattina farò alcune indagini.»

«Voglio sapere cos’è successo a Kelly», insistette lei.

«Le farò sapere.»

Smithwick puntò un dito accusatore contro di lui. «Lo giuro su Dio, farò quanto in mio potere per rovinarla.»

Trotter aprì la porta, chiamò una guardia nel corridoio e sussurrò qualcosa all’uomo. «Buonanotte, Karen. A proposito, cambi atteggiamento. Non è più ministro.»

Trotter superò la camera da letto e aprì una porta.

La giovane donna dai capelli neri ammanettata al letto lo fissò con gli occhi carichi di odio. Una guancia era gonfia e livida.

«Ciao, Kelly. Ti sono mancato?»