16
Trotter li fissava con sguardo fermo e sicuro. «Ditemi un po’, cosa avreste fatto al mio posto?»
I prigionieri riuniti nella sala dei banchetti trasformata in dormitorio erano arrabbiati e spaventati.
George Lawrence era dimagrito notevolmente e, per scaldarsi, aveva preso l’abitudine di avvolgersi in una coperta anche durante il giorno. «Tanto per cominciare, di certo io non sarei diventato il tirapiedi di Suffolk.»
«Come osi!» sbottò Trotter. «In qualità di vostro rappresentante ho dovuto prendere decisioni difficili per salvare vite umane.»
«Un rappresentante che si è autoproclamato tale e che si gode ogni privilegio possibile», ribatté uno degli scienziati.
«E cosa mi dici di Brenda?» domandò Chris Cowles. Era seduta sul suo lettino e stringeva tra le braccia Kelly Jenkins, che tremava.
«La sua morte è stata una tragedia», ammise Trotter. «Ma è stata una sua scelta. Tutti noi siamo prigionieri e i nostri carcerieri, o almeno alcuni di loro, sono dei bruti.»
In realtà, era stato Trotter il responsabile del suicidio di Brenda Mitchell: non era certo stato lui a stringerle attorno al collo il cordone delle tende e a dare un calcio allo sgabello, ma era come se lo avesse fatto con le proprie mani. Spesso non andava fiero delle conseguenze delle sue azioni, eppure si autocompiaceva di essere un abile manipolatore e un maestro nell’arte di usare le persone come pedine. Aveva sacrificato Brenda, come si farebbe con l’alfiere, per poi dare scacco matto. Di recente, quando c’era stata quella serie di errori con il caso relativo a Giles Farmer, aveva fatto lui tutto il lavoro sporco per l’MI6, dormendo sempre sonni tranquilli.
«Ecco come faremo», aveva suggerito a Suffolk. «Minacciate di uccidere gli agenti di sicurezza se quella donna, Brenda, si rifiuterà di giacere con voi. Lasciate a lei la decisione. Fate leva sul suo altruismo.»
«E se si opporrà comunque?»
«Allora impiccateli e poi minacciate una delle sue amiche. Io suggerirei Chris, la più anziana del gruppo.»
«Ma non è la vostra gente?» aveva domandato Suffolk, con un sorriso complice.
«No, sono dell’MI5. Altri servizi segreti. Li conosco a malapena.»
Poi Trotter aveva avvicinato Smithwick, prendendola da parte in un angolo del dormitorio.
«Non dirà sul serio, spero», aveva protestato lei.
«Sto solo riferendo il messaggio, Karen. Questo Suffolk mi ha fatto convocare e ha espresso il desiderio che Brenda fosse portata nella sua stanza. Quando gli ho detto di andare a quel paese, è passato alle minacce. Non so cosa fare. Deve provare a parlarle.»
«Quasi non la conosco. Chris è quella con cui ha legato di più.»
«Allora parli prima con Chris. Ha detto che impiccherà i nostri agenti dell’MI5 se non gli si concederà.»
La discussione con Brenda non era andata come Trotter aveva sperato. La ragazza era entrata in uno stato semicatatonico: rifiutava di alzarsi dal letto e non mangiava quasi nulla. Dopo due giorni, ai prigionieri era stato ordinato di guardare fuori delle finestre che davano sul cortile. Tutti, tranne Brenda, avevano assistito inorriditi all’impiccagione degli agenti.
Quella sera Trotter aveva informato il ministro dell’Energia che Suffolk aveva alzato la posta. La mattina successiva avrebbero impiccato Chris.
Il direttore del MAAC aveva osservato da lontano Smithwick che, seduta accanto a Brenda, le sussurrava la cattiva notizia. La giovane non aveva detto niente, poi un’ora dopo, mentre Chris era al gabinetto, si era trascinata fino alla porta, chiedendo alle guardie di condurla dal duca di Suffolk. Quando Chris, di ritorno, aveva scoperto quello che aveva fatto, aveva avuto una crisi isterica.
La giornata era trascorsa tranquilla, finché Cromwell non si era presentato nell’appartamento di Trotter, interrompendo la sua cena a base di selvaggina arrosto.
«Prego, entrate e unitevi a me. Credo che sia coniglio, o almeno lo spero», aveva esordito Trotter, leggermente ubriaco.
«La donna che Suffolk ha voluto nel suo letto si è impiccata.»
«Cosa? Davvero?»
«Proprio così. Suffolk è infuriato per aver perso una concubina. E sono infuriato anch’io per aver perso uno scienziato. Inoltre ho visto ben pochi progressi nella decifrazione dei vostri testi.»
Trotter aveva bevuto dell’altro vino. «È la cosa migliore che potesse capitare.»
«Perché dite così?»
«Hanno fatto i furbi anche con me. Penso che siano tutti d’accordo. Campbell Bates e gli altri, intendo. Preferiscono sperare nella fuga che mettersi al lavoro. Hanno questa idea fissa che non si può essere complici del nemico, e di certo voi siete il nemico.»
Cromwell aveva inarcato le sopracciglia. «Siete stato voi a orchestrare le minacce e le misure che abbiamo adottato contro la vostra gente.»
«È vero. È un peccato che la ragazza si sia uccisa, però in un certo senso ci torna utile. Sono già divorati dalla paura. E questa tragedia sarà il colpo di grazia. È il momento di colpire duro. Minacciateli ancora. Intimate loro d’iniziare a costruire un altoforno. A quanto pare, è la prima cosa da fare. O, almeno, così mi hanno detto. Dite loro che se non ci riusciranno, o se qualcun altro sceglierà la comoda via di fuga che ha usato Brenda, li ucciderete tutti.»
Cromwell aveva scosso la testa sbalordito dalla sfrontatezza di Trotter. «No, lascerò che siate voi a parlare con loro. Dopo aver terminato la cena, naturalmente. Non vorremmo interromperla. Magari potreste dire che il prossimo a morire sarete voi.»
«Ah, buona questa! Purtroppo sortirebbe l’effetto contrario. Ne sarebbero ben lieti.»
«Credo proprio che un giorno tornerete qui in modo permanente, mastro Trotter», aveva commentato Cromwell, prima di andarsene.
«Può darsi. Se accadrà, magari mi farò una posizione lavorando per voi.»
In quel momento, però, mentre si trovava di fronte ai compagni, Trotter continuava a recitare la parte della vittima. «Non vivo qui con voi solo perché Cromwell e quelli della sua sorta non capiscono né rispettano i principi egualitari. Per poter rappresentare al meglio i nostri comuni interessi è necessario che mi vedano come un capo. E questo comporta alcuni privilegi, cui rinuncerei di buon grado se esistesse una strategia più vantaggiosa.»
Leroy Bitterman scosse la testa con veemenza. «Certo, Tony, che è proprio bravo a raccontare balle.»
«Sono d’accordo», disse Smithwick. «Se e quando torneremo a Londra, la vera Londra, la accuserò pubblicamente di collaborazione con il nemico.»
«Ascoltatemi tutti.» Trotter alzò la voce. «A quanto pare non avete ancora capito che qui c’è in gioco la nostra sopravvivenza. Forse il suicidio di Brenda servirà a darvi una svegliata. Quelli hanno il coltello dalla parte del manico. Sono degli assassini spietati e l’unica cosa che ci assicura un alloggio e del cibo è la nostra potenziale utilità. Non si spiegano come mai degli scienziati così brillanti da costruire dei supercollisori non siano in grado di fabbricare degli altiforni. Vogliono dei risultati.»
«Quante volte devo ripetere che non è affatto semplice? Ma...» intervenne Campbell Bates.
«Ma Cromwell non ascolta», concluse Trotter. «Vedete, non si fida di noi. Mi ha ordinato di riferirvi che ha perso la pazienza. Vuole la dimostrazione che siamo in grado di renderci utili. Quindi sta organizzando un viaggio in una delle fucine reali, dove dovremo spiegare come realizzare le illustrazioni del libro sugli altiforni. Se non offriremo la nostra piena collaborazione e non otterremo risultati concreti, ucciderà uno di noi.»
Tutte le voci nella stanza zittirono di colpo. Trotter preferì non rompere il silenzio, lasciando che si protraesse come un dolore acuto.
«Chi? Ha detto chi?» volle sapere Stuart Binford. Per essere uno che si guadagnava da vivere grazie alla sua parlantina, l’addetto alle pubbliche relazioni era diventato uno dei più taciturni del gruppo. Non era né un rappresentante governativo né uno scienziato. Era consapevole della propria inutilità e sembrava volersi far notare il meno possibile.
«Non tu», lo tranquillizzò Trotter. «Però temo che potresti essere tu, Chris.»
«Perché io?» gridò lei. «Perché uccidermi?»
«È un tipo scaltro, quel Cromwell», replicò Trotter. «Immagino abbia notato che sei popolare. E sei anche una donna, così forse pensa – e come dargli torto – che saremmo disposti a tutto per proteggerti.»
«C’è solo una cosa da fare», concluse Bates, infilandosi le scarpe. «Dobbiamo costruirgli il suo stramaledetto altoforno.»
«Andrai a parlarle?» domandò Boris.
Si trovavano all’interno di quella che i dannati chiamavano la «casetta dei ragazzi». In realtà non assomigliava affatto a una casetta. C’erano quattro muri e un focolare, ma nessuna finestra. La porta era robusta e veniva bloccata dall’esterno per rinchiudere i ragazzi di notte. Il tetto perdeva e, quando pioveva, non c’era un solo angolo asciutto in cui ripararsi. I letti erano semplici sacchi di tela riempiti di fieno, per giunta vecchio. Utensili e ciotole erano di legno grezzo. Le coperte erano la sola cosa decente di cui disponevano. Del resto, in un allevamento di pecore la lana non mancava di sicuro.
«E cosa dovrei dirle?» replicò Angus, gettando da parte la ciotola di porridge.
«Dille che non vogliamo più essere i suoi schiavi», ribatté Boris. «Guarda le mie mani. Sono piene di vesciche e mi fanno un male cane.»
«E poi siamo stufi delle sue pecore», aggiunse Glynn.
Angus lanciò all’amico una delle occhiate alla tu quoque, che gli riservava quando sembrava rivoltarsi contro di lui. «Come se mi ascoltasse.»
«Be’, di sicuro non ascolta me», si lamentò Danny. «Tutto quello che mi sento dire è: ’Cinese, vai a spalare quella merda laggiù’.»
«Con me è gentile», s’intromise Harry, succhiando il cucchiaio di legno.
«Solo perché non capisce una parola di quello che le rifili», tagliò corto Stuart. «Tunnel spazio-temporali e cazzate sugli universi paralleli.»
«Non sono cazzate», obiettò l’altro.
«Senti un po’, Harry», Kevin si fece minaccioso, puntandogli contro un dito accusatore. «Mentre noi lavoriamo come maledetti schiavi, tu te ne stai lì nella sua casetta seduto vicino a un bel fuoco, a raccontarle delle storie.»
«Le piace sentir parlare dei tempi moderni», replicò Harry. «Credo che sia molto intelligente.»
«Allora forse dovrebbe essere Harry a parlarle, invece di Angus. Forse lui riuscirà a convincerla.»
«Harry! Harry!» inneggiò Nigel, schernendo l’autorità di Angus.
Quest’ultimo non gradì l’affronto e si scagliò contro Nigel, cominciando a tempestarlo di pugni finché Danny e Boris non intervennero a separarli.
Nigel sputò un po’ di sangue, ma l’altro stava per ripartire all’attacco, quando Andrew iniziò a piagnucolare: «Se ci mettiamo a litigare tra noi, allora non siamo migliori di loro. Invece dovremmo esserlo. Loro sono malvagi e hanno fatto delle cose orribili. Noi no. Almeno finora».
Angus fissò il pavimento, come se la cosa giusta da dire potesse essere scarabocchiata su quelle tavole grezze. «Mi dispiace, Nigel.»
«Non ti credo.»
«Chiudi la bocca», lo zittì Glynn. «Sta cercando di scusarsi e tu fai lo stronzo come al solito.»
Glynn si guadagnò uno sguardo di ringraziamento da parte di Angus, che dichiarò: «Andrò a chiederle di lasciarci andare, va bene?»
«Non ce la faccio più, voglio tornare a casa», sospirò Andrew, soffiandosi il naso in uno straccio sporco.
«Anch’io», rispose Angus, infilando la porta.
Ardmore stava bevendo della birra steso su una macchia d’erba di fronte al casolare in cui viveva con Bess. «Non è ora di lavorare. Cosa vuoi?»
«Parlare con lei», rispose Angus.
«Perché?»
«Ho un messaggio da parte degli altri.»
«Davvero?» Ardmore sorrise, mettendo in mostra alcuni denti gialli. Poi gridò: «Bess, Angus ha un messaggio dai mocciosi».
Bess uscì, vestita di nero come al solito. Non sorrideva mai davanti ai ragazzi. A eccezione di Harry. Se nei meandri della sua anima c’era ancora un angolino in cui custodiva ricordi piacevoli, di certo non lo dava a vedere. Poco tempo prima aveva spiegato ad Ardmore che i ragazzi per lei non erano altro che manodopera. Non producevano tanto come gli altri, però mangiavano di meno.
«Quella mezzatacca, Harry, non fa niente di niente», si era lagnato Ardmore.
«Lui è un’eccezione», aveva replicato Bess. «Mi racconta delle storie.»
Bess aggrottò la fronte guardando Angus e gli chiese perché avesse disturbato il suo riposo.
Il ragazzo si schiarì la gola. «Pensiamo che ci stai facendo lavorare troppo. Secondo noi...»
Ardmore lo zittì e avanzò verso di lui con il braccio alzato per mollargli un manrovescio, facendolo arretrare per lo spavento. «Piccolo insolente!»
«Lascialo stare», lo fermò Bess. «Ascoltiamo le sue lamentele. Continua pure, Angus. Cos’è che pensi?»
«Non sono solo io, siamo tutti d’accordo. Siamo studenti. Non siamo abituati ad atterrare pecore per tosarle o a pulire i loro recinti. Vogliamo tornare a Sevenoaks e cercare la strada di casa.»
«Vi piacerebbe, eh?» replicò Bess. «E come ci arrivereste? Salirete su una di quelle automobili di cui mi ha parlato Harry? O forse una di quelle macchine alate che portano la gente su in cielo? Se non così, allora ci andrete a piedi, schivando briganti ed erranti lungo la strada. Ma mi sa che diventerete presto cibo per cannibali. Vuoi diventare cibo per cannibali? È questo che desideri, Angus?»
«No di certo. Speravamo di poter venire con te la prossima volta che porti la lana a Londra.»
«Sarà tra un bel po’ di tempo, ragazzo, e quando accadrà non vi porterò con me», sbottò lei con voce rabbiosa. «Dovete affrontare la realtà, pura e semplice. Non tornerete a casa attraverso i vostri preziosi canali spazio-temporali. Resterete qui, magari non per sempre come noi, ma fintanto che avrete vita nei vostri corpi. Voi lavorate per me. Come voglio. Quando voglio. Ardmore, suona la campana e falli ricominciare. E adesso hai il permesso di colpire quel faccino triste.»
La delegazione arrivò a Richmond sulla chiatta reale. Uno dei lavoratori della fucina aveva avvistato la bandiera prima che attraccassero ed era corso ad avvisare il capo. William fece giusto in tempo a lavare via la fuliggine dalla faccia prima di presentarsi al sovrano.
Tuttavia non fu re Enrico a presentarsi alla porta, bensì Thomas Cromwell, il duca di Suffolk, un contingente di guardie e una manciata di viventi dall’aria smarrita che guardavano con sospetto l’alta ciminiera che eruttava fumo.
«Mastro Cromwell», lo salutò il fabbro, rivolgendogli un profondo inchino. «Quando ho sentito che avevano avvistato la chiatta, ho pensato che sua maestà fosse venuta a controllare la nostra recente opera.»
«Di che opera si tratta?» domandò Cromwell.
«I fucili moderni che il re ha chiesto a John Camp di fabbricare.»
«Ha fatto il nome di John Camp?» bisbigliò Campbell Bates a Trotter.
«Mi sembra proprio di sì», confermò Trotter.
«Di cosa state parlando, dunque?» lo incalzò Cromwell. «John Camp è stato qui?»
«Esatto», confermò William, che non capiva la ragione di tutte quelle domande.
«Quando?»
«È ripartito da nemmeno due giorni. Recava una lettera scritta di suo pugno dal re. Non ne eravate a conoscenza?»
«No, fabbro, non lo ero!» gridò Cromwell. «Chi c’era con lui?»
«Erano tutti viventi. C’erano Miss Loughty, mastro Kyle, mastro Jones, mastro Nightingale e molti, molti soldati.»
«Che sorta di soldati? Quanti, di preciso?» chiese ancora Cromwell, alzando la voce suo malgrado.
«Che sorta?» rifletté William, strofinandosi il mento. «Inglesi, direi. Uomini moderni e, al pari degli altri, vivi. Quanto al numero, be’, erano tre volte venti.»
Trotter si portò al fianco di Cromwell e si rivolse al fabbro. «Questi soldati vi hanno fornito maggiori informazioni? Hanno detto se appartenevano all’esercito britannico?»
«Hanno detto qualcosa che non ho compreso. Cos’era quella parola? SAS? Sì, è quello che hanno detto.»
Bates sussurrò la notizia a David Laurent, che la ripeté a Henry Quint, e lui a sua volta la riferì a Leroy Bitterman. «I SAS sono qui.»
«Parlatemi di questi moderni fucili che avete menzionato», riprese Cromwell.
«Sono armi terribili a vedersi. Ognuno contiene una trentina di munizioni di piombo e polvere da sparo, come vengono chiamate, e le sputa fuori con grande rapidità, senza che occorra ricaricarli. Mr Kyle li ha chiamati AK qualcosa.»
«AK-47?» lo incalzò Trotter.
«Sì, quello.»
«Dio mio, una mossa brillante», mormorò Trotter.
«Dove si è diretto Camp con quei soldati?» domandò Suffolk.
«Immagino che siano andati a consegnare le armi al re. Dov’è il nostro sovrano? Sta aspettando sulla chiatta?»
«Non è qui», tagliò corto Cromwell. «Provate a pensare, mastro forgiatore, non hanno fatto menzione alcuna del luogo verso cui potrebbero essere diretti?»
William si sforzò di ricordare e replicò: «Ho sentito per caso uno dei soldati, il capitano con i baffi, pronunciare il nome di Leatherhead».
«Leatherhead», ripeté il consigliere del re, in tono eccitato. «È una delle città in cui molti attraversano il passaggio che porta sulla Terra. Suffolk, è necessario che raduniate una truppa con un cannone da campo e vi dirigiate lì. Trovate John Camp, uccidetelo se necessario, ma, se verrà preso prigioniero, portatelo da me a Whitehall.»
Suffolk sembrava irritato dal ricevere ordini da Cromwell, tuttavia assentì.
«Potete fabbricare queste nuove e spaventose armi anche per me?» domandò poi il consigliere del re a William.
«Non mi è possibile, mastro Cromwell. Mastro Kyle ha gettato nel fuoco gli stampi in gomma e John Camp ha fracassato quelli in gesso.»
Cromwell, infuriato, afferrò il capitano delle guardie per la manica e lo trascinò via.
Trotter ebbe così l’opportunità di avvicinarsi al fabbro. «Mi chiamo Anthony Trotter. Sono a capo di queste persone. Siamo trattenuti contro la nostra volontà.»
«Lo siete anche ora?» replicò William.
«Esatto. John Camp e i soldati del SAS sono stati di certo inviati a cercarci per riportarci a casa. Hanno fatto il mio nome?»
«Trotter, dite?»
«Sì, Anthony Trotter.»
«Non ricordo di aver sentito questo nome.»
«Be’, hanno fatto altri nomi? Smithwick? Lawrence? Bates? Bitterman?»
William scosse la testa.
«Hanno chiesto dove potrebbero essere tenuti i prigionieri? Hanno parlato di qualche piano di salvataggio?»
«Non con me.»
Rosso in viso, Trotter stava per sparare un’altra raffica di domande, quando Cromwell tornò. Il capitano delle guardie correva giù per la collina in direzione della chiatta.
«Cercheremo di trovare John Camp e i suoi perfidi servitori prima che possano nuocere alla Corona», ringhiò Cromwell. «Stanno preparando la mia chiatta per la partenza. Ora prenderò congedo da voi, ma lascerò qui questi prigionieri e alcuni dei miei uomini. Sono per gran parte uomini di scienza. Be’, non lui», precisò, riferendosi a Trotter, «ma mi ha lungamente implorato di autorizzare la sua presenza qui e ho acconsentito. Gli scienziati hanno portato un testo assieme ai piani per la costruzione di una grande fornace, di gran lunga più potente della vostra attuale fucina. Vorrei che iniziaste a lavorarci seduta stante. Quando sarà terminata, ricaveremo un eccellente acciaio dal ferro della Britannia e non sarà più necessario inviare le nostre navi nei Paesi del Nord. In seguito costruiremo macchine da guerra che sfruttano la forza del vapore. Respingeremo qualunque invasore. Conquisteremo l’intera Europa. Lavorate alacremente, William. Se percepirete una seppur lieve diminuzione degli sforzi, un cenno di lassismo, vi comando di gettare quest’uomo, mastro Trotter, nel fuoco più rovente.»