7
Cromwell aveva detto la verità. Il palazzo di Whitehall non assomigliava al vasto edificio in pietra che il cardinale Wolsey aveva ampliato per farne la sua dimora nel XVI secolo. Si diceva che all’epoca il palazzo fosse la più bella residenza di Londra, tanto che re Enrico, dopo aver rimosso il fedele cardinale, se ne era impadronito e aveva ulteriormente ingrandito l’edificio, aggiungendo un campo da bocce, uno da tennis coperto e uno per le giostre equestri. Sebbene fosse stato distrutto da un incendio nel 1691, il palazzo di Whitehall era stato immortalato in numerosi dipinti e litografie: proprio il ricordo di quelle immagini diede ai nuovi arrivati un’impressione di dissonanza.
Il palazzo che avevano di fronte era un edificio massiccio con l’ossatura in legno, l’esoscheletro in stile Tudor e le pareti d’intonaco coperto di fuliggine. Era più piccolo di Hampton Court, ma grande abbastanza da ospitare tutta la corte di Enrico, per quanto in appartamenti angusti. Era situato a nord del Tamigi, su un terreno pianeggiante e scarsamente difeso. Un cordone di soldati lo proteggeva giorno e notte dai tentativi d’intrusione dei disperati affamati che popolavano quella versione di Londra, composta di bassi edifici cadenti, orti e macellerie. Non era un palazzo costruito per resistere a un assedio. Le poche volte in cui la Britannia aveva rischiato di essere invasa durante il suo regno all’Inferno, Enrico aveva trasferito la corte a nord, in un inespugnabile castello in pietra in cima a una collina nei pressi di York.
Cromwell fece accompagnare i nuovi arrivati in un’ampia sala dei banchetti, che da quel momento sarebbe diventata il loro dormitorio comune. Servitori sbigottiti, che non si aspettavano una visita né tantomeno degli ospiti così insoliti, portarono letti di paglia e coperte ruvide. Le otto donne occuparono un’estremità della sala. I gabinetti erano in fondo a un lungo corridoio, ma, per usarli, i prigionieri dovevano farsi scortare uno alla volta dalle guardie appostate fuori del salone. Furono servite loro carne secca e coriacea e alcune pagnotte rafferme, assieme a diversi boccali di birra dolce. Inoltre furono dati loro degli aghi, filo da cucito e ganci per fissare i vestiti.
Fedeli alla mentalità e all’educazione tipicamente britanniche, i prigionieri si divisero in base al ruolo. Gli scienziati si sistemarono in alcuni letti contigui, mentre politici e funzionari della sicurezza occuparono un altro angolo della sala. Henry Quint fu costretto a fare una scelta. Era stato a capo del MAAC, ma era anche un fisico. Dato che veniva regolarmente ignorato dagli altri rappresentanti istituzionali, scelse un lettino al margine del gruppo degli scienziati e si rassegnò a restare isolato dai due mondi.
Karen Smithwick invece scelse di unirsi ai politici. Essendo una delle poche donne con un ruolo di rilievo nel governo, sapeva bene come comportarsi a stretto contatto con uomini di potere. Seduta sul letto, osservò Campbell Bates armeggiare in modo maldestro con ago e filo ed ebbe pietà di quell’americano sempre così gentile. «Serve una mano?»
«In effetti, sì, grazie», rispose Bates, passandole i pantaloni.
«Sembra un po’ di essere all’Isola dei famosi», commentò Smithwick.
«Cos’è?»
«È uno di quei terribili reality show in cui dei personaggi noti vengono spediti nella giungla», spiegò George Lawrence. «Ogni settimana uno di loro viene eliminato con una votazione.»
Bitterman grugnì: «Allora votate me per primo. Non mi offendo».
«Se solo fosse così facile», osservò Smithwick.
«Quindi, qual è il nostro piano?» domandò Lawrence.
Trotter aveva finito di riparare i vestiti ed era sdraiato su un materasso bitorzoluto imbottito di fieno. Fissava l’alto soffitto annerito da secoli di fuliggine di candele. «Sopravvivere. Diciamo le cose come stanno. Dobbiamo offrire a questa gente qualcosa che abbia valore per loro. Altrimenti non avranno motivo di tenerci in vita.»
Bates scosse la testa. «Abbiamo il dovere di fuggire, proprio come fossimo prigionieri di guerra. Avete sentito Quint. Dobbiamo tornare a Dartford, nel caso tentino un’operazione di salvataggio.»
«Le nostre probabilità di fuga sono oggettivamente molte scarse», osservò Trotter. «Non siamo una forza combattente, ma un gruppo di vecchi tromboni e patetici secchioni.» Cromwell li aveva separati dai tre giovani agenti dell’MI5, alloggiati in un’altra ala del palazzo. «Dobbiamo convincerli che siamo indispensabili.»
«Ma lo siamo?» chiese Smithwick.
«Forse noi no, però magari loro sì.» Trotter indicò gli scienziati.
Le grandi porte del salone si spalancarono e Cromwell fece il suo ingresso, accompagnato da un altro uomo e alcuni soldati. Il consigliere del re superava di oltre una spanna Henry Cameron, duca di Suffolk. Cromwell era ben rasato, scuro e snello, mentre Suffolk era basso e tarchiato, con la barba bianca incolta che recava tracce di cibo. Cromwell preferiva gli abiti austeri. Il duca di Suffolk, un comandante navale del XVII secolo, indossava una vistosa uniforme blu con i bottoni d’ottone.
Trotter si alzò, certo che fossero venuti a negoziare con lui. Non restò deluso: gli ospiti andarono dritti verso il suo letto. Cromwell ignorò completamente gli altri, mentre Suffolk annusò l’aria e guardò con curiosità le donne.
«Questo è il duca di Suffolk, comandante delle forze armate del re», esordì Cromwell.
Trotter tese la mano e Suffolk la fissò con aperto disgusto, finché l’altro non la ritrasse.
«Mi è stato detto che siete una spia. Di regola, non mi fido mai delle spie, nemmeno delle mie.»
Trotter lo guardò fisso negli occhi. «Sono al servizio del mio sovrano e del mio Paese. Voi non siete il mio sovrano e questo non è il mio Paese, quindi avete ragione a sospettare di me. Tuttavia, comprendo la natura delle circostanze in cui ci troviamo: potete stare certo che farò ciò che è necessario per garantire la sicurezza e il benessere delle persone sotto la mia responsabilità.»
«Ben detto», esclamò George Lawrence, schiarendosi la gola.
«Vi prego di seguirci», disse Cromwell a Trotter.
«Perché?»
«Voglio mostrarvi una cosa.»
Mentre gli uomini attraversavano la sala, Brenda Mitchell si accorse che Suffolk la guardava con insistenza. Voltò la testa finché non furono usciti.
La maggior parte delle donne aveva tra i venti e i trent’anni. Chris Cowles, viceresponsabile dei magneti del MAAC, aveva superato da poco i cinquant’anni, e ciò bastava a renderla la saggia del gruppo. Nubile, non usava mai trucco né gioielli e portava i capelli tagliati a caschetto. Si alzò dal letto angusto e si sedette accanto a Brenda, che sembrava ancor più turbata degli altri.
«Non hai mangiato», osservò Chris. «La carne è dura, ricorda quella essiccata, ma non sa di niente. Il pane invece non è male.»
«Non ho fame.»
«Devi tenerti in forze.»
«Hai visto come mi fissava quell’uomo?» chiese Brenda.
«Sì. Era inquietante.»
Kelly Jenkins, un’altra giovane donna, osservò: «Sembrava la macchietta di un cattivo dei film di serie B».
Brenda sorrise per la prima volta.
«Dai», la esortò Chris. «Solo un po’ di pane.»
Brenda acconsentì, quindi Chris andò al tavolo dove era stato disposto il cibo e staccò un pezzo di pane duro. Lo portò alla ragazza assieme a una coppa di birra. «Prenditi cura di lei», sussurrò a Kelly.
Lei annuì, poi chiese: «E chi si prenderà cura di me?»
Matthew si avvicinò e portò Chris in un angolo. «Come sta?»
«È spaventata. Come tutte, del resto.»
«Anche gli uomini lo sono», ribatté Matthew.
«Brenda è molto attraente», osservò Chris. «Sa Dio qual è il rapporto numerico tra uomini e donne, quaggiù. Siamo tutte a rischio, ma lei è particolarmente vulnerabile.»
«Farò del mio meglio per proteggerla.»
«Lo so, però tu sei uno scienziato, non certo un supereroe.»
«Perché non mi hai visto con il mantello e la tutina aderente.»
«E spero che non accada mai. Posso chiederti una cosa?»
«Certo.»
«Hai mai raccontato a tua moglie qualcosa di quello che è successo negli ultimi due mesi?»
«No», rispose lui. «Ho preso molto sul serio la faccenda della segretezza, e comunque non volevo che si preoccupasse. E tu?»
«Ho spifferato tutto al mio pesciolino rosso.»
«Immagino che cercheranno di contenere la situazione, ma questa volta il governo non potrà fare finta di nulla», proseguì Matthew. «Non ora che siamo tutti spariti, e non intendo solo noi del MAAC. Ci sono anche quei pezzi grossi laggiù. Mia moglie è una donna in gamba. Sai di nostro figlio, vero?»
Chris sapeva che era autistico.
«Be’, sarà in ansia per me, che le raccontino la verità o qualche balla. E sarà terrorizzata al pensiero di doversi occupare da sola di nostro figlio, in futuro.»
«Torneremo a casa», lo rassicurò Chris.
Il sospiro di Matthew sembrò quasi un gemito. «Emily farà tutto il possibile, ma temo che l’attività del MAAC abbia reso le connessioni troppo instabili. Disattiveranno il collisore in modo definitivo e noi resteremo bloccati qui.»
Per Trotter non aveva importanza, mentre Suffolk comprese alla perfezione il senso del gesto e mostrò il proprio disappunto con un’espressione torva. Cromwell li aveva condotti negli appartamenti reali, dove aveva deciso di trasferirsi. Trotter sprofondò su una poltrona accanto al camino, e Suffolk raggiunse Cromwell vicino alla credenza per riempirsi il calice di vino.
«Suppongo che a sua maestà non farà piacere trovarvi nel suo letto quando tornerà.»
«Qualora il re facesse ritorno, sarebbe preferibile che vi trovasse il più fidato dei suoi servitori.»
«Il Paese ha bisogno di un re», replicò Suffolk. «Voi siete un gran chiacchierone, Cromwell. Se i russi e i tedeschi ci invaderanno, non saranno certo le vostre ciance a ricacciarli in mare. Io sono un militare e dunque sarei un degno sovrano.»
«Un militare come tanti altri, prima che Norfolk morisse ed Enrico decidesse di promuovervi», replicò l’altro in tono acido. «Avrebbe potuto scegliere con la stessa facilità anche Oxford, che di certo vi sta con il fiato sul collo. Ma Enrico ha avuto un solo cancelliere in cinquecento anni. Mi capite? Cinquecento anni. Ebbene, ora questo ciarlatano deve andare a fare due chiacchiere. Voi restate a guardare e godetevi il mio vino.» Cromwell recuperò un fagotto di stoffa, lo mise sul tavolo davanti a Trotter e lo aprì mostrando una pila di libri. «Sono stati portati qui da Hampton Court. Sapete di cosa si tratta?»
Trotter riconobbe i libri che John Camp aveva portato con sé nell’ultimo viaggio all’Inferno.
«La Bibbia o i racconti di quel drammaturgo, Shakespeare, non sono di nessuna utilità», proseguì Cromwell. «Ma questi volumi sono di grande interesse.»
Trotter li sfogliò. Erano libri scritti durante il periodo d’oro della rivoluzione industriale: Altiforni d’America, Caldaie a vapore, motori e turbine, e Acciaio Bessemer: metodologia e lavorazione. Re Enrico aveva intuito la loro importanza, proprio come Cromwell, ma non c’era stato abbastanza tempo per sfruttare le conoscenze racchiuse in essi.
«Perché mi state mostrando questi testi?»
«Ho cercato di leggerli, ma, anche se sono scritti nella mia lingua, non riesco a comprenderne il significato. Li ho fatti esaminare da uomini che provengono da epoche più recenti, ma si tratta per lo più di stolti o di persone d’intelletto che, tuttavia, ignorano come trasformare le parole di una pagina in fornaci o buon acciaio. Abbiamo molti nemici. Ci occorrono armi più potenti. E in fretta.»
«Anch’io gli ho dato un’occhiata», intervenne Suffolk, sprezzante. «Sono tutte sciocchezze, a parer mio.»
«Be’, non posso esservi di nessun aiuto», ammise Trotter. «Non me ne intendo di queste cose.»
Cromwell gli offrì una coppa di vino. Lui lo sorseggiò, ammirandone la qualità. «A quanto ho inteso, gli scienziati del vostro regno non sanno costruire armi. Emily Loughty ce lo ha spiegato bene. Tuttavia il re era convinto, e io concordo con lui, che uno scienziato sia più adatto a fare uso di questi libri di qualsiasi dannato cui io mi possa rivolgere.»
«Cosa vorreste che facessi?» chiese Trotter.
«Mi occorre la vostra collaborazione. È necessario che convinciate i vostri scienziati ad avviare la costruzione di queste grandi fornaci. Non devono svolgere lavori manuali. Ho uomini in abbondanza: muratori, falegnami, fabbri, gente robusta che, se ben guidata, è in grado di realizzare quanto viene loro richiesto. Convinceteli, messer Trotter. È di gran lunga preferibile prestar servizio di propria volontà, che sotto la minaccia di tortura.»
«Di norma preferisco la tortura», esclamò Suffolk con una risata crudele.
Trotter prese dell’altro vino, mentre rimuginava una risposta. «Cosa riceverei in cambio?»
Cromwell sorrise, per far intendere che si sarebbero messi d’accordo. «Cosa volete?»
«Be’, vediamo. Intanto non sono tipo da camerata. Vorrei delle stanze private con un arredo decoroso. E tutto il buon vino che posso bere e lo stesso cibo che mangiate anche voi, signori. Mi piacerebbe avere un paio di servitori che si prendano cura di me e acqua calda per fare il bagno quando più mi aggrada. E, anche se non sono un libertino, non disdegno di avere una donna ogni tanto, una prostituta a mia disposizione. Temo che ci sarebbero delle conseguenze negative, se m’imponessi con la forza su una donna del mio gruppo. Quindi vorrei che sceglieste per me il meglio che potete offrire, anche se dovrò turarmi il naso mentre lo farò.»
«C’è altro?» chiese Cromwell.
«Potrei avere altre richieste in futuro, ma per ora è tutto.»
«Non c’è niente che io non possa concedervi.»
«Allora abbiamo un accordo?» chiese Trotter.
Suffolk li interruppe: «Poiché è giunto il momento di mettere le carte in tavola, ho anch’io una richiesta».
«E quale sarebbe?» chiese Cromwell, fulminandolo con lo sguardo.
«Voglio per me quella graziosa donna bionda.»
«Brenda, mi pare si chiami.»
Suffolk si strinse nelle spalle.
«Be’, devo riconoscere che avete buon occhio», continuò Trotter. «Ma non sarà semplice separarla dagli altri.»
Cromwell osservò che gli interessi carnali del duca non erano di fondamentale importanza, ma Suffolk reiterò la richiesta.
Trotter ci rifletté per un po’, poi disse: «Conosco il modo di farla finire nel vostro letto senza far infuriare i suoi colleghi. Se ci riesco, abbiamo un accordo?»
Suffolk annuì e Cromwell confermò: «Senza dubbio».
Quando Trotter tornò con i libri sotto braccio, gli si strinsero tutti attorno.
«Cosa volevano?» chiese Bates.
«Date un’occhiata a questi libri. Camp li ha portati qui come merce di scambio un mese fa. Mi rendo conto che non rientra nelle vostre competenze, ma, con la vostra intelligenza, forse potete almeno dare l’impressione di saper costruire queste fornaci.»
«E perché dovremmo aiutarli?» chiese Smithwick.
«Semplice, per non essere prima torturati e poi uccisi.»
Matthew prese il libro sulla produzione dell’acciaio e passò gli altri due ai colleghi in attesa. Dopo che la maggior parte degli scienziati ebbe dato un’occhiata, emise il verdetto: «Non credo che riusciremo a fare granché con questa roba. I concetti di base sono chiari, e i libri contengono anche illustrazioni e progetti, ma nessuno di noi è un ingegnere industriale».
Campbell Bates alzò la mano. Siccome nessuno si accorse del suo gesto, si schiarì la gola e aggiunse: «Scusate».
«Cosa c’è?» chiese Trotter.
«Sono laureato in ingegneria.»
«Davvero?» domandò Lawrence.
«Al Massachusetts Institute of Technology. Poi ho scelto di studiare legge invece di cercare lavoro come ingegnere, e in seguito sono finito all’FBI. Definirmi arrugginito come ingegnere sarebbe un eufemismo, ma forse potrei dare un’occhiata.»
«Presto, fategli vedere i libri», ordinò Trotter, eccitato.
Cromwell si preparava per andare a letto. Già in vita si era contraddistinto per la sua austera sobrietà, e adesso ancora di più. Le sue stanze erano disadorne, il cibo semplice, il vino annacquato. Aveva scelto di risiedere negli appartamenti del re solo per il prestigio, ma aveva ordinato ai servitori di portar via tutte le decorazioni e gli oggetti personali di Enrico. Dormiva solo, giacché aveva perso da tempo qualsiasi interesse per il sesso. La sua esistenza era dedita esclusivamente al lavoro. Se avesse potuto porre fine a quella squallida esistenza all’Inferno con il suicidio, lo avrebbe fatto ben volentieri, ma quella possibilità non era concessa né a lui né ai suoi simili. Perciò lavorava. Enrico era sempre stato un padrone esigente, e Cromwell ne era ben contento, perché c’erano sempre molte attività a tenerlo occupato. Ma il sovrano adesso non era più lì, e lui doveva affrontare scelte difficili. Non aveva nessun desiderio di essere re, eppure se non avesse ricoperto lui quella posizione, lasciando il potere a Suffolk, di certo il duca lo avrebbe considerato una minaccia e lo avrebbe spedito a marcire in eterno in una cella di putrefazione. Doveva agire in fretta per impadronirsi della corona e, se Enrico avesse fatto ritorno, lo avrebbe convinto che stava solo tenendo il trono lontano dalle grinfie dei traditori.
Sentì bussare piano alla porta. Il suo valletto lo informò che il conte di Surrey era appena arrivato a Whitehall e chiedeva con urgenza d’incontrarlo. Cromwell ravvivò con un ciocco il fuoco del camino e si sedette lì accanto in attesa.
Il conte non veniva di frequente a corte: preferiva vivere in campagna, andando a caccia e a prostitute, perciò Cromwell non lo conosceva bene come la maggior parte dei nobili. Tuttavia notò subito che era agitato: sudava copiosamente e la calzamaglia era schizzata dal fango sollevato durante una cavalcata al galoppo.
«Dov’è il re?» chiese il conte. «Devo vederlo.»
«Sfortunatamente, è assente.»
«Come sarebbe a dire?»
«Si tratta di una storia lunga e complessa. Farò del mio meglio per spiegarvela, ma prima ditemi per quale ragione siete giunto a Londra.»
«È scomparso in un altro regno non accessibile ai nostri sensi?»
«Come fate a saperlo?» domandò Cromwell, stupito.
«Perché ho visto strane cose. Quasi non credevo ai miei occhi in un primo momento, poi ho capito.»
«Avanti, signore, parlate liberamente.»
«Sono stato chiamato a Leatherhead da alcuni miei soldati. Ho pensato che avessero bevuto troppa birra, ma ho voluto accontentarli. Vicino al villaggio, ho visto molti uomini attirati lì dalla stessa notizia che correva di bocca in bocca, e in un determinato punto li ho visti compiere di proposito un passo in avanti e sparire nel nulla. Quando ho domandato a una megera che cosa stesse accadendo, mi ha risposto che alcune ore prima una banda di erranti si era materializzata dal nulla e aveva annunciato alla popolazione sbigottita che erano tornati nella terra dei vivi. Altri erranti hanno fatto un passo in avanti e si sono dileguati, e poi molti li hanno seguiti. Ho ritenuto che il re dovesse essere informato. Ditemi, messer Cromwell, di che sorta di miracoli o magia si tratta?»
L’altro scrutò le fiamme che ardevano. «Non potete immaginarlo, mio buon conte, non potete immaginarlo.»