30
La mattina presto un asse del carro si ruppe, quindi furono costretti a percorrere a piedi gli ultimi chilometri. Lungo il tragitto, Trevor scrutava con attenzione il bosco, tenendo pronta la balestra. Tutti i ragazzi, compreso Andrew, impugnavano una spada. Angus aveva addirittura raddoppiato le precauzioni: la spada in una mano e la pistola di Bess nell’altra.
Erano vicini a Sevenoaks e alla salvezza. Trevor non voleva perdere nessun altro ragazzo. Per lui era un fallimento non averli salvati tutti. Quattro erano morti. Il destino degli altri sei era nelle sue mani.
A nord scorreva un fiume che sulla mappa di seta corrispondeva al Darent.
«Dai, ce la posso fare», disse tra sé.
Angus accelerò il passo per adeguarlo a quello di Trevor. Camminarono in silenzio, ma era evidente che il ragazzo voleva parlare.
«Tutto bene?» domandò Trevor.
«Sì.»
«Siamo quasi arrivati.»
«Bene.»
«Ascolta, Angus, so che è stata dura. Ci vorrà molto tempo per riprenderti da un’esperienza come questa, ma, se c’è qualcosa che ti tormenta, io so ascoltare.»
Il ragazzo alzò la mano che impugnava la pistola. «È solo che...»
«’Solo’ cosa?»
«Le ho sparato.»
«È stata legittima difesa. Ha ucciso il vostro compagno. Poi sarebbe toccato a te.»
«Le ho sparato in faccia», ripeté il ragazzino come un automa.
«Hai fatto quello che era necessario», lo rassicurò Trevor, in tono fermo ma gentile. «Eri nel giusto al cento per cento. Quando sei arrivato qui eri un ragazzo. Ora sei un uomo. Stai certo che tuo padre saprà quanto sei stato coraggioso.»
«Hai parlato con lui?»
«Sì, poco prima di partire.»
«Era preoccupato?»
«Certo. Non che abbia detto molto, ma era chiaro.»
«In realtà, non lo conosco molto bene. Lo vedo solo durante le vacanze di metà trimestre e d’estate. È sempre via per lavoro.»
«E tua madre?»
«Direi che non conosco troppo bene neanche lei. Mi ha cresciuto la tata.»
«Fratelli e sorelle?»
«Sono figlio unico.»
«Io avevo il problema opposto. Mamma e papà mi sono sempre stati con il fiato sul collo, finché non sono entrato nell’esercito. Ogni volta che parlavo al telefono con una ragazza o uscivo con gli amici, volevano sempre sapere tutti i dettagli.»
«Però sei diventato un tipo in gamba», commentò Angus, timidamente.
Trevor sorrise e gli diede qualche pacca affettuosa sulla schiena. «Due strade diverse verso la gloria.» Voltò la testa in direzione della strada. Di colpo il suo tono divenne pratico ed efficiente: «Porta i ragazzi nel bosco. Da quella parte. Subito».
Più avanti, a qualche centinaio di metri di distanza, un folto gruppo di dannati dava loro le spalle.
Angus spinse i compagni tra gli alberi, mentre Trevor si avvicinava furtivamente ai dannati. Era difficile stabilire quanti fossero: sembravano almeno un centinaio, o forse di più. Alcuni erano sui carri, altri a cavallo. Erano fermi, come se avessero incontrato un posto di blocco.
Trevor tornò dai ragazzi e spiegò loro che dovevano proseguire per il bosco.
Andrew cominciò a tremare dalla paura. «Stiamo per morire?»
Trevor voleva tranquillizzarlo, ma Angus lo anticipò: «Non dire stupidaggini, Andrew. Cammineremo per un po’ in mezzo agli alberi, una cosa da niente, poi incontreremo quelli del SAS, che ci riporteranno a casa».
«Sei sicuro?»
«Sì. Guarda che razza di spada hai!» Poi si rivolse a Danny. «Tu stagli vicino, okay?»
L’altro annuì.
«Perché non io?» domandò Nigel.
Angus sorrise. «Perché tu devi guardare le spalle a me, idiota!»
Si rimisero in marcia e Trevor sussurrò al ragazzo: «Sei un leader nato, lo sai?»
«Dici?»
«Sì.»
Quando si furono avvicinati alla folla di dannati, deviarono a sud per tenersi alla larga, senza però perdere di vista la strada. Dopo un paio di chilometri, Trevor ordinò ai ragazzi di restare accanto a una quercia gigante, mentre lui andava in avanscoperta.
Avanzò furtivo e si accucciò sul ciglio della strada. A ovest studiò l’altro lato dell’assembramento di dannati. Aveva stimato che fossero alcune centinaia, ma probabilmente erano migliaia. A est, però, vide qualcosa che lo rincuorò. Due SAS della truppa di Marsh erano di pattuglia con gli AK-47. Erano loro il posto di blocco.
Trevor ritornò sui propri passi. Avrebbero proseguito attraverso il bosco finché non fossero entrati nel perimetro presidiato dal SAS.
«Cos’è stato?» domandò Kevin.
«Non ho sentito niente», rispose Nigel.
«Eccolo di nuovo.»
«L’ho sentito anch’io», confermò Danny.
Era un grido debole come quello di un bambino, stridulo e acuto.
Kevin, il giovane boy-scout, all’improvviso assunse un’espressione allarmata. «Merda. So io cos’è. Un cucciolo di orso.»
La madre piombò in mezzo a loro e ruggì.
Danny iniziò a mulinare la spada furiosamente, e Kevin gli sussurrò di smetterla. «Restate tutti immobili.»
Sentirono un altro cucciolo piangere dietro la quercia.
L’orsa si alzò sulle zampe posteriori: sfiorava i due metri e mezzo d’altezza.
Andrew iniziò a correre.
Kevin gli gridò di fermarsi.
L’orsa ricadde pesantemente al suolo e iniziò a dargli la caccia. Lo avrebbe di certo raggiunto.
Poi ci fu uno scoppio.
Trevor lo sentì.
I dannati lo sentirono.
I soldati del SAS lo sentirono.
Trevor fu il primo ad arrivare.
L’orsa era a meno di un metro da Andrew: stesa sul fianco, perdeva sangue da una ferita. Angus stringeva la pistola ancora fumante.
Trevor non aveva il tempo di congratularsi con il ragazzo: i dannati stavano attraversando rapidamente la foresta, decisi a catturarli. «Seguitemi, presto!»
Corsero più in fretta che potevano, superando con un balzo radici e rampicanti, schivando tronchi e cespugli. Trevor perse l’orientamento. Non era sicuro di dove fosse la linea di confine della zona presidiata dal SAS. Quando ebbe la sensazione che si fossero allontanati abbastanza, puntò verso nord.
Si ritrovarono sulla strada, all’altezza di una curva. Riconobbe in lontananza la cella di putrefazione di Sevenoaks.
Ci fu uno sparo. Un proiettile si conficcò nel tronco a sinistra della sua testa.
«Cessate il fuoco! Cessate il fuoco, maledizione!» Era la voce del capitano Marsh.
Gli uomini della truppa A, sporchi e con la barba lunga, uscirono dai loro nascondigli tra l’erba alta e i cespugli.
Marsh si mosse verso Trevor, che non lo avrebbe riconosciuto se non fosse stato per la pelata lucida: la faccia era nascosta dalla barba.
«Gesù, Jones», esclamò Marsh. «Li ha trovati!»
«Venite, ragazzi. Loro sono i buoni.»
Si sentirono altri colpi di fucile a ovest.
Il sergente di sentinella sulla strada arrivò di corsa da dietro la curva, gridando: «Stanno sfondando!»
«Create un nuovo perimetro», ordinò Marsh. «Jones, li porti da questa parte!»
Si misero a correre verso la zona di confine.
Marsh si affiancò a Trevor. «Pensavo che fossero dieci.»
«Già.»
«Merda!»
«Come va?» domandò Trevor.
«Abbiamo perso tre uomini. Le munizioni scarseggiano. Ma abbiamo fermato quei bastardi, almeno fino a questo momento.»
Trevor si guardò alle spalle per assicurarsi che i ragazzi tenessero il passo. Andrew e Kevin avevano gettato via le spade e muovevano veloci le braccia avanti e indietro, come se stessero affrontando lo sprint in vista del traguardo.
«Devo riportare quei ragazzi sulla Terra. La zona di confine si è allargata?»
«Direi proprio di sì. Due giorni fa un dannato è riuscito a entrare di nascosto in un’area che credevamo sicura ed è scomparso. Sa quanto tempo ci resta prima che ci richiamino?»
«Non ne ho la minima idea, mi dispiace.»
«Non ci arrenderemo, a costo di usare i fucili come mazze», dichiarò Marsh. «Io resto qui a coprirvi le spalle. Voi proseguite in quella direzione.»
Trevor strinse la mano a Marsh e gli consegnò la balestra e i dardi.
I ragazzi li raggiunsero.
«Questo è il capitano Marsh, del 22º Reggimento SAS, le forze speciali britanniche.»
«Sono contento che ce l’abbiate fatta», disse l’ufficiale.
Ansimando senza fiato, Angus si presentò: «Capitano Marsh, sono Angus Slaine. Mio padre è...»
«So chi è tuo padre. Digli che abbiamo quasi finito le munizioni. Adesso andate!»
Trevor ordinò ai ragazzi di abbandonare le armi. Poi corsero a perdifiato.
Sentivano le grida di Marsh e degli altri soldati che li incitavano a non fermarsi.
D’un tratto, calò il silenzio.
I campi incolti erano spariti e al loro posto c’erano prati ben curati. In lontananza si scorgevano edifici di mattoni rossi con i tetti in ardesia e alcuni campi da calcio.
«È Belmeade», esclamò Kevin. «Siamo tornati!»
Trevor non aveva nessuna intenzione di abbassare la guardia. Si trovavano nella zona di confine, perciò era possibile che ci fossero dei dannati nei dintorni. Inoltre, per quanto ne sapeva, le leggi della fisica potevano essere cambiate: magari rischiavano di essere catapultati di nuovo all’Inferno. «Andiamo, dobbiamo arrivare fino ai posti di blocco delle forze armate. Restate uniti e tenete gli occhi aperti.»
«Mr Jones, il dormitorio è proprio laggiù. Non è che possiamo cambiarci le mutande?» fece Nigel.
Tutti risero per la prima volta dopo tanto tempo.
Il segretario personale di Jeremy Slaine irruppe nell’ufficio nel municipio di Manchester.
Slaine alzò lo sguardo, infastidito dal fatto che non avesse nemmeno bussato.
«Sono tornati!»
«Chi? Chi è tornato?»
«I ragazzi. E Trevor Jones.»
Slaine tolse gli occhiali da lettura e fece un lento respiro profondo. «Tutti?»
«Sei. Trevor Jones li ha appena portati fuori della zona di Sevenoaks.»
«Angus?»
Il segretario chiuse gli occhi e fece un cenno di assenso. «È salvo.»
Slaine si alzò, ma era così frastornato che dovette rimettersi subito a sedere. «Devo chiamare sua madre. Mi procuri subito informazioni dettagliate sugli altri cinque ragazzi e sui quattro che non ce l’hanno fatta. Mi servono i numeri di telefono dei genitori. Non deve trapelare niente alla stampa, così avrò un po’ di tempo. E faccia venire subito Jones e mio figlio qui a Manchester.»
Jeremy Slaine aveva affittato una casa per sé e la moglie nel sobborgo di Hale Barns, a Manchester. Se lui aveva fatto una carriera brillante, Elena proveniva da una famiglia molto facoltosa, così avevano lasciato Londra portandosi dietro anche il personale di servizio. Elena aveva ordinato al cuoco di preparare le lasagne, il piatto preferito del figlio e, avendo ben poco da fare, se ne stava alla finestra del salotto fissando il vasto prato e mordicchiandosi le pellicine delle unghie.
La Jaguar ministeriale del marito apparve in mezzo a un convoglio di SUV neri e moto staffetta della polizia, facendo scricchiolare la ghiaia del vialetto.
«Jeremy, è arrivato!»
Angus e Trevor scesero dalla Jaguar con ancora indosso gli abiti sudici.
«Bel posto», commentò Trevor.
«Un po’ piccolo per i nostri standard», precisò Angus.
«Stai scherzando?»
«Be’, no.»
Trevor si aspettava che i genitori del ragazzo si precipitassero fuori, ma dalla casa uscì solo il segretario personale di Slaine.
«Bentornato, Angus, i tuoi genitori ti aspettano. Mr Jones, congratulazioni per aver portato a termine la missione.»
Né il ragazzo né i genitori si corsero incontro: lui dovette raggiungerli in salotto.
La madre si mise a piangere. «Oh, Angus, come sei ridotto!»
Il ragazzo si guardò allo specchio. «Sono un po’ dimagrito, in effetti.»
Lei gli diede un fugace abbraccio, ma, infastidita dal tanfo che emanava, lo lasciò subito.
«Bentornato a casa, figliolo», lo accolse il padre, tendendogli la mano. «Eravamo molto preoccupati.»
«Quattro non ce l’hanno fatta», lo informò Angus.
«L’ho saputo. Ho preso contatto con i loro genitori. Mi servirà un resoconto di quello che è successo, naturalmente.»
«Forse è ancora troppo presto», intervenne Trevor.
«Certo, quando se la sentirà», convenne Slaine. «Mr Jones, grazie per ciò che ha fatto.»
«Non è stata una passeggiata, ma Angus e i ragazzi se la sono vista peggio. Molto più di quanto lei possa immaginare.»
«Intanto, perché non vai al piano di sopra?» disse Elena, senza celare un certo imbarazzo. «Prima porta a destra. Datti una bella lavata e mettiti dei vestiti puliti. Il cuoco ti ha già preparato il tuo piatto preferito: lasagne al ragù.»
Angus sbatté le palpebre un paio di volte e cominciò a piangere.
«Non devi mangiare per forza le lasagne...» farfugliò lei.
Trevor gli mise un braccio attorno alle spalle. «Andrà tutto bene, Angus. Ci vorrà del tempo. Molto tempo. Sono sicuro che troverai delle persone con cui parlare di quello che è successo.»
Jeremy Slaine restò immobile a guardare, mentre un altro uomo consolava suo figlio.
«Ci rivedremo?» domandò Angus.
«Certo. Ti lascio il mio numero di telefono, così, quando tornerò, potremo sentirci.»
«Torni indietro?»
«Sì, faccio un altro salto laggiù. Francamente, mi manca già il cibo di quelle parti.»
Il pianto si tramutò in una risata. Angus imitò il padre, tendendogli la mano.
«Ma dai!» sbottò Trevor, stringendo il ragazzino in un forte abbraccio.
L’incontro con il primo ministro e Jeremy Slaine volgeva al termine. Trevor si era sentito a disagio: puzzava come un maiale e non riusciva a smettere di divorare stuzzichini squisiti, ma adesso era impaziente di ripartire.
«Quindi ha deciso», affermò Lester. «Sappia che nessuno avrebbe da ridire se volesse ritirarsi e prendersi un periodo di riposo. Non è un singolo individuo a determinare il successo di una missione.»
«Sa com’è, signore, sotto le armi, quando le cose si mettono male, non si pensa tanto alla missione, quanto ai propri compagni. John Camp, Emily Loughty e gli altri sono ancora lì, e sono in pericolo.»
«Be’, è davvero ammirevole», lo elogiò Lester.
«Dunque non sa dirci se la dottoressa Loughty è riuscita a trovare Loomis», intervenne Slaine.
«Non ne ho idea. Come ho detto, l’ultima volta che li ho visti dovevano ancora attraversare la Manica.»
«Non occorre certo che le dica che la situazione qui è molto critica», proseguì Lester. «I dannati continuano ad arrivare, in particolare a Upminster. Londra è una zona off limits posta sotto il controllo militare, la nostra economia è a pezzi e il morale della gente è sotto i tacchi. Se e quando vedrà la dottoressa Loughty e Camp, la prego di riferire loro che la tempestività è un fattore fondamentale.»
Trevor sfruttò le ultime parole del primo ministro come scusa per congedarsi.
«E grazie per aver riportato a casa il figlio di Jeremy», aggiunse Lester.
Slaine sembrò sorpreso da quel commento e disse: «Sì, grazie, Mr Jones. Forse ho trascurato di esprimere a sufficienza la mia gratitudine».
Mentre saliva a bordo dell’elicottero sul tetto del municipio, Trevor chiese a un membro dell’equipaggio se poteva usare il cellulare. Aveva avuto il numero di Arabel dallo staff del primo ministro. Lo digitò con impazienza.
Fu lei a rispondere.
«Ciao, sono io. Trevor.»
«Oddio! Sei salvo.»
«Sì, come stai?»
«Sono ancora a Edimburgo con mamma, papà e i bambini. Sto bene.»
«Loro come stanno?»
«Hanno ancora gli incubi, ma durante il giorno sembrano tranquilli. Dove sei? Emily è con te?»
Le raccontò quello che stava accadendo, anche se avrebbe voluto essere più preciso sulle sorti della sorella. «Torno laggiù attraversando a Dartford. Volevo solo sentire la tua voce prima di partire.»
«Mi manchi.»
«Anche tu.»
«Ti prego, torna da me.»
«È il solo pensiero che mi fa andare avanti.»
Grazie ai venti favorevoli e al mare calmo, il vascello francese era riuscito a compiere la traversata in meno di due giorni.
Il comandante La Rue bussò alla porta della propria cabina. «Siete sveglio?»
John aprì la porta.
«Siamo alla foce.»
«Bene.»
«Potete salire sul ponte non appena sarete pronto.»
«Sono sicuro che sarete impaziente di riavere i vostri alloggi.»
«E la mia nave», puntualizzò La Rue. «Non immaginate quanto, monsieur.»
John era stato contento, ma non sorpreso, di trovare La Rue alla fonda a Calais. Un bugliolo d’oro era una ricompensa troppo allettante perché il bretone vi rinunciasse: lo avrebbe reso uno degli uomini più ricchi di Brest. Gli occhi del comandante si erano illuminati mentre contava le monete, e solo allora si era accorto dell’assenza di Kyle e dei due soldati del SAS.
«Mi rincresce per vostro fratello», aveva detto La Rue. «L’Inferno non perdona.»
Loomis dormiva ancora. John non era stato felice di condividere la cabina con lui, ma non volevano perderlo di vista. «Digli che è ora di andarcene.»
Emily annuì e gli diede dei colpetti sulla spalla. «Paul, siamo quasi arrivati.»
Loomis aprì gli occhi. «Grazie a Dio. L’Inghilterra.»
Il caporale Scarlet fu il primo a scorgere la nave. Corse lungo il perimetro della zona di confine per informare il capitano Yates.
«Sicuro che siano loro?»
«Non ne ho la certezza, tuttavia è un quattro alberi che batte la stessa bandiera.»
«Raduna gli uomini. Se sono loro, avranno bisogno di una scorta.»
Mentre calavano la scialuppa, sentirono uno sparo. John s’irrigidì, poi l’espressione del suo volto si sciolse in un sorriso. «Questo sì che è un bello spettacolo.»
Gli uomini della truppa B presidiavano la riva e avevano sparato un colpo di avvertimento per mettere in fuga alcuni dannati.
I marinai francesi remarono fino alla sponda e, non appena John, Emily e Loomis furono scesi, spinsero la barca di nuovo verso il centro del fiume.
Yates si era accorto che mancavano delle persone.
John anticipò le sue domande: «Mi dispiace, capitano. Culpepper e O’Malley non ce l’hanno fatta».
«E suo fratello?»
«Nemmeno.»
«È lui Loomis?»
«Esatto.»
Emily fu la prima a notarlo. Era nascosto dietro un soldato. «Trevor!»
Trevor sorrise e salutò con la mano, ma subito si rabbuiò. Si avvicinò e domandò preoccupato: «Kyle?»
John scosse la testa.
«Mi dispiace, capo. Mi dispiace davvero.»
«Che ci fai qui?» gli domandò Emily, abbracciandolo.
«Ho trovato i ragazzi della scuola, i sopravvissuti perlomeno, e li ho portati sulla Terra passando da Sevenoaks. Ieri ho fatto un salto a Dartford... ed eccomi qui.»
«Sei un incosciente.»
«Be’, mi mancavi e non rispondevi alle e-mail.»
«Trevor, vorrei presentarti il mio vecchio capo, Paul Loomis.»
Lui fece un cenno con la testa. «Emily mi ha parlato molto di lei.»
«Bene, torniamo tutti al campo», li esortò Yates. «La zona di confine è incustodita.»
John camminava accanto a Trevor e al comandante della truppa B. «Mi sembra che non abbiate perso nessuno dei vostri, capitano.»
«Siamo stati fortunati. Solo due feriti non gravi. Però non ci restano molte munizioni.»
«Vi hanno attaccato?»
«All’inizio, sì. Si ammassavano e cercavano di sfondare in punti diversi. Abbiamo neutralizzato quelli che avevano le armi da fuoco, anche se poi archi e frecce sono stati un bel problema. Le balestre sono le più pericolose. Comunque ce la siamo cavata bene con una soluzione antica. Scudi di legno.»
«Le avevo anticipato che avreste dovuto improvvisare.»
«Allora, quando possiamo fare i bagagli e tornare a casa?»
«Spero presto. Non appena Loomis le avrà spiegato i dettagli tecnici, Emily ci dirà cosa fare.»
«Quindi non le ha ancora detto niente?» domandò Trevor.
«È una specie di ricatto.»
Emily si affiancò allo scienziato. «Eccoci.»
Lui si guardò attorno. «È stato da queste parti che sono stato catturato dagli spazzini. Sono finito nelle mani di quell’uomo spregevole, Solomon Wisdom, che mi ha venduto all’ambasciatore russo.»
«Sì, be’, mi farebbe piacere rivangare vecchi ricordi con te, Paul, ma è ora che tu mi dica tutto.»
«Ci ho riflettuto, Emily.»
«Su cosa? Abbiamo mantenuto la promessa di portarti in Britannia, quindi adesso...»
«Non ti dirò niente.»
«Cosa?» Emily non riuscì a trattenersi e la sua esclamazione indusse John a voltarsi per capire cosa stesse succedendo.
«Per ora», concluse Loomis. «Vi aiuterò, ma non adesso.»
Lei fece cenno a John che andava tutto bene e proseguì in tono pacato: «Ascolta, Paul, devo attraversare oggi. Bisogna chiudere questa faccenda».
«Vengo con te.»
«Oh, no.»
«Invece temo di sì. Voglio rivedere i miei figli un’ultima volta. Il giorno in cui ho ucciso la loro madre e mi sono tolto la vita, li ho resi orfani. Ora sono abbastanza grandi, vorrei parlare con loro. Scusarmi. E sapere come se la cavano.»
Emily era rossa in viso per la collera. «Ti capisco, davvero, ma è semplicemente inaccettabile. Avevamo un accordo.»
«L’accordo è cambiato.»
«Almeno sai davvero come chiudere i portali?» domandò lei. «O le tue sono solo stronzate?»
«So esattamente cosa bisogna fare e ti aiuterò non appena saremo sulla Terra. Altrimenti potrete rispedirmi subito indietro.»
«Paul...»
«Mi dispiace, Emily. Ho il coltello dalla parte del manico.»
«Vorrei che venissi anche tu.»
John ed Emily si erano allontanati dal resto del gruppo.
«Sarai così occupata che nemmeno sentirai la mia mancanza», scherzò John.
«Perlomeno qui con te c’è Trevor. Sono più tranquilla sapendo che ti guarderà le spalle.»
«Il piano è di passare a prendere il professor Nightingale a Richmond e scoprire che fine hanno fatto i tecnici del MAAC, poi attraverseremo con o senza di loro.»
«Mi dispiace tantissimo per Matthew, David e tutta quella gente, ma sappiamo entrambi che potrebbero essere già morti. Ti prego, non perdere troppo tempo. Se e quando saremo in grado di chiudere i portali, ci costringeranno ad agire in fretta. I dannati resteranno intrappolati sulla Terra e i viventi qui. Non posso perderti.»
«Mi darò una mossa, promesso. Loomis ti ha detto quanto tempo richiederà il suo misterioso processo?»
«Una settimana, forse un po’ di più, ammesso che dica la verità. Ormai non lo considero più affidabile.»
«Se fa qualche stronzata, prendilo a calci in culo da parte mia.»
«Puoi starne certo.»
Si baciarono teneramente.
«Tanto sei un fenomeno a picchiare la gente», ironizzò John, sciogliendosi dall’abbraccio.
Yates e i suoi uomini li accompagnarono il più vicino possibile al perimetro, prima di lasciarli proseguire da soli.
Emily e John incrociarono gli sguardi per l’ultima volta, poi lei e Loomis si avviarono verso il villaggio di Dartford. Quando scomparvero, John emise un profondo sospiro ed esortò Trevor a mettersi in marcia.