1953 L’Innominabile
Che cosa è rimasto, dell’eroe romanzesco, nell’Innominabile? Meno dell’ombra di quell’uomo, sopra un muro d’Hiroshima. Senza più sesso, senza più braccia, gambe, occhi, orecchie, di lui udiamo solo un ronzio di parole distrutte nell’atto stesso della pronunzia e che tuttavia colano senza principio né fine, come la babele di voci che suscitiamo a caso sul quadrante notturno d’una radio. Strano, però: dietro tanta alluvione si sospetta, e s’attende, l’afasia. Non di uno, di tutti. Poiché l’Innominabile è tutti. E il suo silenzio, quando accadrà, sarà il silenzio innumerevole della terra. Ma lui non tace, per ora. Lui, essi, contro ogni senso e speranza, continuano.
E adesso dove? Quando? Chi? Senza chiedermelo. Dire io. Senza pensarlo. Chiamarle domande, ipotesi. Procedere innanzi, e, questo, definirlo andare, definirlo procedere. Può darsi che un giorno, fatto il primo passo, io ci sia semplicemente rimasto: rimasto, dove, invece di uscire, com’era mia vecchia consuetudine, per trascorrere giorno e notte il più lontano possibile da casa mia, ma non era poi tanto lontano. Può essere cominciato così. Non mi rivolgerò più domande. Si ritiene soltanto di riposarsi, per potere agire meglio in seguito, o senza riposti pensieri, ed ecco come in pochissimo tempo ci si trova nell’impossibilità di fare più nulla. Poco importa in qual modo questo sia accaduto. Questo, dire questo, senza sapere che cosa. Forse ho soltanto ratificato un vecchio stato di fatto. Ho l’aria di parlare, non sono io, di me, non è di me. Alcune generalizzazioni, tanto per cominciare. Come fare, come farò, che cosa devo fare, nella situazione in cui mi trovo, e in qual modo procedere? Per pura aporia ovvero per affermazioni e negazioni che saranno man mano infirmate, o presto o tardi. Questo in linea generale. Ma devono esserci altri espedienti. Se no ci sarebbe da disperare di tutto. Ma c’è, da disperare di tutto. C’è da osservare, prima di proseguire, che io dico aporia senza sapere che cosa voglia dire. Ma si può essere efetici non a propria insaputa? Non so. I sì e i no, è diverso, mi torneranno in mente a mano a mano che progredirò, e anche il modo di defecarci sopra, o presto o tardi, presto o tardi, come un uccello, senza dimenticarne uno solo. Lo si dice. Il fatto sembra essere, se nella situazione in cui mi trovo si può ancora parlare di fatti, non soltanto che avrò da parlare di cose delle quali non posso parlare, ma anche, e questo è più interessante, che io, e questo è ancora più interessante, che io, non so più, non importa. Comunque, sono costretto a parlare. Non tacerò mai. Mai.
[...]
[...] debbo essere estremamente vecchio, o è la memoria ch’è cattiva, se sapessi se sono vissuto, se vivo, se vivrò, allora tutto sarebbe semplificato, impossibile il saperlo, è questa l’astuzia, io non mi sono mosso, è tutto quello che so, no, so dell’altro, non sono io, me ne dimentico sempre, riprendo, bisogna riprendere, non mi sono mosso di qui, non ho cessato di raccontarmi delle storie, ascoltandole appena, ascoltando altre cose, spiando altro, chiedendomi di tanto in tanto come ho fatto per impararle, sono stato forse tra i vivi, o loro sono venuti da me, e dove, dov’è che le tengo, nella mia testa, non mi sento una testa; e allora con che cosa le dico, con la mia bocca, uguale osservazione, e con che cosa le sento, e via di questo passo, non posso essere io, o è che io non faccio attenzione, ho talmente l’abitudine, faccio questo senza prestare attenzione, o essendo come altrove, eccomi lontano, eccomi l’assente, è il suo turno, colui che non parla, né ascolta, che non ha né corpo né anima, è altro che ha, deve avere qualcosa, dev’essere in qualche posto, è fatto di silenzio, ecco una graziosa analisi, è nel silenzio, è lui che bisogna cercare, lui che bisogna essere, di lui bisogna parlare, ma lui non può parlare, allora mi potrò fermare, sarò lui, sarò il silenzio, sarò nel silenzio, saremo riuniti, è la sua storia che bisogna raccontare, ma lui non ha storia* non è stato nella storia, la cosa non è certa, è nella sua storia personale, immaginabile, indicibile, non importa, bisogna provare, nelle mie vecchie storie venute non si sa da dove, di trovare la sua, dev’esserci, deve essere stata la mia, prima di essere la sua, la riconoscerò, finirò per riconoscerla, la storia del silenzio che lui non ha mai lasciato, che io non avrei mai dovuto abbandonare, che forse non ritroverò mai, che forse ritroverò, allora sarà lui, sarò io, sarà il posto, il silenzio, la fine, il principio, il riprincipiare, come dire, sono parole, io non ho che questo, e inoltre si fanno rare, la voce si altera, oh, finalmente, conosco tutto ciò, devo conoscerlo, sarà il silenzio, in mancanza di parole, pieno di mormorii, di grida lontane, quello previsto, quello che si sta ad ascoltare, quello dell’attesa, l’attesa della voce, quelle grida si placano, come tutte, ossia tacciono, i mormorii cessano, o ammutoliscono, la voce riprende, si rimette a tentare, non bisogna aspettare che non ce ne sia più, più voce, che ne rimanga solo il nucleo di mormorii, di grida lontane, bisogna fare in fretta a tentare, con le parole che rimangono, tentare cosa, non so più, non importa, non l’ho mai saputo, tentare che mi portino nella mia storia, le parole che restano, la mia vecchia storia, che ho dimenticato, lontano di qui, attraverso il rumore, attraverso la porta, nel silenzio, dev’essere così, è troppo tardi, forse è troppo tardi, forse è già fatto, come si fa a saperlo, non lo saprò mai, nel silenzio non si sa, forse è la porta, forse io sono davanti alla porta, mi stupirebbe, forse sono io, questo è stato me, in qualche posto è stato me, posso andare, durante tutto questo tempo ho viaggiato, senza saperlo, sono io davanti alla porta, quale porta, non è più un altro, che ci sta a fare qui una porta, sono le ultime parole, proprio le ultime, oppure sono i mormorii, devono essere i mormorii, me ne intendo, ma neppure questo, si parla di mormorii, di grida lontane, sin che si può parlare, se ne parla prima, se ne parla dopo, sono menzogne, sarà il silenzio, ma che non dura, dove si sta in ascolto, dove si attende, che si rompa, che la voce lo rompa, è forse l’unico, non so, non vale niente, è tutto quello che so, non sono io, è tutto quello che so, non è il mio, è l’unico ch’io abbia avuto, non è vero, devo aver avuto l’altro, quello che dura, ma non ha durato, non capisco, o meglio dura sempre, io ci sono sempre, mi ci sono abbandonato, e mi aspetto, no, non ci si aspetta nulla, non si ascolta, non so, è un sogno, forse è un sogno, la cosa mi stupirebbe, mi risveglierò, nel silenzio, non addormentarmi più, sarò io, o sognare ancora, sognare un silenzio, un silenzio di sogno, colmo di mormorii, non so, sono parole, non svegliarmi mai, sono parole, non c’è che questo, bisogna continuare, è tutto quello che so, desisteranno, anche questo lo so, li sento che mi abbandonano, sarà il silenzio, un istante, un lungo istante, o sarà il mio, quello che dura, che non è durato, che dura sempre, sarò io, bisogna continuare, non posso continuare, bisogna continuare, e allora continuerò, bisogna dire delle parole, sin che ce ne sono, bisogna dirle, sino a quando esse mi trovino, sino a quando mi dicano, curiosa pena, curiosa colpa, bisogna continuare, forse è già fatto, forse mi hanno già detto, mi hanno forse portato sino alle soglie della mia storia, davanti alla porta che s’apre sulla mia storia, mi stupirebbe, se si aprisse, sarò io, sarà il silenzio, lì dove sono, non so, non lo saprò mai, nel silenzio non si sa, bisogna continuare, e io continuo.
SAMUEL BECKETT, L’Innominabile, Milano, Sugar 1960.