1920 II soldato Sc’vèik
Un Ruzante o Baldus a cui hanno mandato la cartolina precetto? Un Belikov, il cecoviano uomo nell’astuccio, che ha messo al servizio del suo istinto di sopravvivenza il nativo ossequio alla legge e fanatismo per l’ordine? Charlot soldato, Josef K. al fronte? Più semplicemente un fintosciocco tosatore di cani, alle prese con l’astruso e orbo schiacciasassi della storia. Al quale opponendosi in forma di semplice festuca e granello d’ingombro, intona sulla giallonera bandiera d’Asburgo un ilare De Profundis e conquista per sé una finale redenzione e rivincita d’uomo.
«Sicché ci hanno ammazzato Ferdinando», disse la fantesca al signor Sc’vèik, che avendo lasciato da qualche anno il servizio nell’esercito per essere stato dichiarato idiota dalla commissione medica militare, ora viveva vendendo degli orribili cani, ibridi mostri pei quali compilava delle fittizie genealogie.
Come se questa occupazione non bastasse, era affetto da reumatismi, e proprio in quel momento si stava frizionando i ginocchi con l’unguento.
«Quale Ferdinando, signora Müller?» domandò Sc’vèik senza cessare di massaggiarsi i ginocchi. «Io conosco due Ferdinandi: il primo è commesso dal droghiere Prusy, e una volta si bevve per isbaglio una bottiglia di lozione per capelli; e poi conosco anche Ferdinando Kókoška, che raccoglie lo sterco di cane. Per tutti e due non sarebbe un gran male.»
«Ma nossignore: l’arciduca Ferdinando, quello così grosso e così religioso...»
«Gesummaria!» esclamò Sc’vèik. «Questa sì che è bella! E dov’è che gli è capitata questa faccenda, all’arciduca?» «Gli hanno sparato addosso a Sarajevo, con la rivoltella, signor mio, mentre se n’andava in automobile con l’arciduchessa.»
«Guarda un po’, in automobile, signora Müller. Un tale si permette l’automobile e non va certo a pensare che una girata in automobile vada a finir così male. E come se non bastasse ciò va a capitargli a Sarajevo, che è in Bosnia, signora Müller. La colpa non può essere che dei turchi. Noi abbiamo fatto proprio male a prender loro la Bosnia–Erzegovina. Chi la fa l’aspetti, signora Müller. Così ora il signor arciduca se la riposa nella pace di Dio. Ma ha sofferto molto?»
«Il signor arciduca è morto sul colpo, signor mio. Si sa bene che una rivoltellata non è un balocco. Non è mica molto che un signore su da noi al quartiere di Nusle si è messo a scherzare con una rivoltella ed ha ammazzato tutta la famiglia, più il portiere che era salito a vedere chi era che sparava al terzo piano.»
«Ci son delle rivoltelle, signora Müller, che non vi fanno male neppure se s’impazza perché sparino. Di tali sistemi ce n’è un subisso. Ma si vede che per l’arciduca si son procurati qualcosa di meglio, e ci scommetterei, signora Müller, che l’uomo che ha fatto il colpo s’era vestito bene apposta. Si sa che sparare addosso a un arciduca è una faccenda piuttosto difficoltosa, e che si tratta di ben altra cosa di quando un bracconiere tira ad una guardia campestre. E poi ad un signore come quello non ci si può mica presentare vestiti da straccioni; bisogna portare il cilindro, altrimenti un poliziotto vi porta via.»
«Pare che fossero in parecchi, signor mio.»
«Questo si capisce da sé, signora Müller», disse Sc’vèik quand’ebbe finito le sue frizioni ai ginocchi. «Anche voi, se vi venisse la voglia d’ammazzare un arciduca o un imperatore, la prima cosa che fareste sarebbe d’andare a chieder consiglio a qualcuno. Più sono le persone, più è il giudizio. Chi propone una cosa, chi un’altra e allora “l’opera riesce”, come dice il nostro inno nazionale. La cosa più importante è di cogliere il momento giusto, quando un simile personaggio vi passa davanti. Vi rammentate per esempio di quel signor Luccheni che trafisse la nostra defunta Elisabetta a colpi di lima? Era andato a fare una passeggiata con lei. Fidatevi della gente, signora Müller. D’allora in poi non c’è più un’imperatrice che si permetta una passeggiata. E la faccenda capiterà ancora a molte persone. Vedrete, signora Müller, che raggiungeranno anche lo zar e la zarina, e può darsi, che Dio ci salvi, anche il nostro grazioso sovrano, visto che hanno cominciato con suo zio. Il nostro vecchio sovrano ha molti nemici, molti più dello stesso Ferdinando. È quello che diceva pochi giorni or sono un signore all’osteria, che verrà un bel giorno che tutti questi imperatori capitomboleranno l’uno dietro l’altro e che non ci potrà far nulla nemmeno il procuratore generale. Poi non aveva da pagare il conto, e allora l’oste ha dovuto farlo arrestare, ma lui ha dato uno schiaffo al padrone e due all’agente. Allora l’hanno portato in gattabuia perché riacquistasse la memoria. Sicuro, signora Müller, ne succedono delle belle oggigiorno! Tutte perdite per l’Austria. [...] Oggigiorno c’è poca gente per bene, signora Müller. Io mi figuro che anche al signor arciduca a Sarajevo è successo d’ingannarsi a proposito dell’uomo che gli ha sparato. Ha visto una persona e s’è detto: “Costui è certo un buon uomo che vuol gridarmi evviva”. E invece quell’uomo l’ha abbattuto. Gli ha tirato un colpo solo o più d’uno?»
«I giornali dicono, signor mio, che l’arciduca è rimasto bucato come un crivello. Quel tale gli ha sparato addosso tutte le sue cartucce.»
«Oh, son cose che si fanno alla svelta, signora Müller, terribilmente alla svelta. Io in un caso simile mi comprerei una browning. Ha l’aria d’un balocco: eppure con quel balocco voi potete ammazzare in un paio di minuti una ventina d’arciduchi, grassi e magri. Quantunque, sia detto fra noi, signora Müller, sia più facile cogliere un arciduca grasso che uno magro. Come se per esempio vi ricordate quando ammazzarono il loro re in Portogallo, ch’era altrettanto grosso del nostro arciduca. Ma purtroppo un re come fa ad essere magro? Beh: io me ne vo all’Osteria del Calice; e se venisse qualcuno a ritirare quel cucciolo per il quale ho già riscosso un acconto, ditegli che lo tengo nel mio canile in campagna, che gli ho tagliato da poco gli orecchi e che non è in grado di viaggiare perché non gli sono ancora guariti, e gli prenderebbero freddo. La chiave consegnatela alla portinaia.»
HAŠEK, Il buon soldato Sc’vèik, Firenze, Nuova Italia 1968