1840 Nell
Poco più che una bambina, Nell, un giglio innocente e minacciato. Eppure, quando marcia con la mano nella mano del vecchio, minuscola Cordelia ed Antigone, lungo le allegoriche tappe di una notte senza– fine, o percorre un cimitero abitato da burattini, o s’acquatta in una nicchia scorgendo contro la luna il profilo del demone nano, o angelicamente si spegne, Neil fa più che intimare al lettore il dileggiato ricatto delle lacrime; ma insinua nel cuore d’un universo di orridi freaks e fuligginose solitudini il tremito d’ala d’un’allodola dietro i vetri. Dostoevskij se ne ricorderà.
La fanciulla, rimasta sola, non si senti rassicurata. Continuava a pensare all’ombra che s’era dileguata nel corridoio da basso; e ciò che la ragazza le aveva detto non contribuiva a calmarla. Gli uomini da lei veduti avevano un brutto aspetto. Chi sa se non campavano la vita col derubare e assassinare i viaggiatori. Chi sa!
Cercando di persuadersi che le sue paure erano vane e di non pensarci per un po’, eccola assalita dall’ambascia generata dalle avventure della sera. La vecchia passione del giuoco s’era ridestata nel petto del nonno, e dove altro egli poteva esser tratto, il cielo soltanto sapeva! A quali timori la loro assenza aveva potuto dar luogo? Delle persone potevano essersi mosse in cerca di loro anche allora. Sarebbero stati perdonati la mattina, o travolti di nuovo alla deriva? Ah! perché si erano fermati in quel triste luogo? Sarebbe stato meglio se avessero continuato ad andare a qualunque costo. Infine, gradatamente, il sonno la vinse – un sonno interrotto e a sbalzi, turbato da sogni in cui ella precipitava da alte torri, e dal quale si svegliava di scatto atterrita. Seguì poi un sonno più profondo... e quindi... Che! Un’ombra nella camera!
C’era una persona. Sì, essa aveva sollevato la persiana perché all’alba entrasse la luce, e lì, fra il piede del letto e il vano buio della finestra, era rannicchiato qualcuno che veniva innanzi a tentoni sulle mani e girava intorno al letto. Ella non ebbe voce per chiamare aiuto, nessuna forza per muoversi, ma giacque ferma a osservare.
Veniva avanti... avanti, furtiva e tacita, a capo al letto. Il respiro era già accanto al guanciale, ed ella si trasse indietro, per téma che quelle mani erranti dovessero toccarle il viso. L’ombra tornò pian piano di nuovo alla finestra, poi volse la testa verso di lei.
L’oscura forma era una semplice macchia nel buio più tenue della camera, ma ella vide la testa che si voltava, e sentì e seppe che gli occhi guardavano e le orecchie ascoltavano. E continuava, l’ombra, a rimanere immobile come lei. Infine, sempre con la faccia verso di lei, agitò le mani in qualche cosa, ed ella sentì un tintinnio di monete.
Allora l’ombra si spinse di nuovo innanzi, furtiva e silenziosa come prima, e rimettendo accanto al letto le vesti che aveva prese, ricadde sulle mani e sulle ginocchia, e se n’andò via carponi. Con quanta lentezza sembrava strisciasse sul pavimento, ora che la fanciulla udiva soltanto e non vedeva! Finalmente l’ombra raggiunse la porta e si levò in piedi. I gradini scricchiolarono sotto un cauto passo, e non si udì più nulla.
Il primo impulso della fanciulla fu di fuggire per il terrore di trovarsi in quella camera – per avere qualcuno vicino –per non essere sola – e allora le sarebbe tornata la virtù della favella. Senza nemmeno accorgersene, saltò fino alla porta. C’era la terribile ombra, che s’era fermata in fondo ai gradini. Ella non poteva rasentarla; forse, al buio, avrebbe potuto farlo senza essere presa, ma il sangue le si agghiacciò a questo semplice pensiero. L’ombra se ne stava ferma, e ferma rimase anche lei; non per coraggio, ma per necessità; perché ritornare nella camera era appena meno terribile che spingersi innanzi.
Fuori la pioggia picchiava rapida e furiosa, e scorreva a torrenti fragorosi dal tetto di paglia. Qualche insetto estivo, rimasto imprigionato, volava alla cieca da una parte all’altra, picchiando il corpo contro le pareti e il soffitto, e riempiendo del suo ronzìo il luogo silenzioso. L’ombra si mosse di nuovo. La fanciulla involontariamente la imitò. Una volta giunta nella camera del nonno, ella si sarebbe sentita al sicuro.
L’ombra andò innanzi per il corridoio finché non giunse proprio innanzi alla porta che la fanciulla desiderava tanto di raggiungere. La fanciulla, nella sua estrema ansia di riparare nel suo rifugio, era quasi balzata innanzi col proposito di irrompere nella camera del nonno e chiudersela alle spalle, quando l’ombra si fermò di nuovo.
Improvvisamente le lampeggiò un’idea – e se la persona sconosciuta fosse entrata col proposito di trucidare il vecchio? Si sentì venir meno. Sì, quella entrava. C’era una candela dentro. L’ombra era in quell’istante nella camera, e lei, ancora muta – assolutamente muta, e quasi fuor dei sensi – stava a guardare.
La porta era socchiusa. Non sapendo che fare, ma con lo scopo di difendere il nonno o farsi uccidere, ella avanzò barcollando e guardò nell’interno.
Quale spettacolo le si presentò!
Il letto non era stato disfatto, ma era bene rimboccato e intatto. E al tavolino sedeva lo stesso nonno, l’unico essere vivo nella camera; la pallida faccia aguzza e affilata dall’avidità che gli faceva fiammeggiare gli occhi – nell’atto di contare il denaro di cui le sue mani avevano derubato la nipote.
CHARLES DICKENS, La bottega dell’antiquario, Roma, Casini 1954.