1605         Sancio Panza

Santificazione del servo di commedia da spalla buffa ad accolito e apostolo del suo signore, Sancio fa più che accompagnarne col suo controcanto in prosa le vertiginose sublimità; bensì lui stesso, com’è stato detto, si «chisciottizza» tanto quanto l’altro si «sancifica», generando in sua complice compagnia quell’esemplare ircocervo errante che solo scioglierà la morte.

In quello stesso tempo Don Chisciotte si mise a circuire un contadino del vicinato; un uomo dabbene ( se pure si può dare questo nome a un povero) ma con molto poco sale nella zucca. In conclusione tanto disse, tanto lo persuase e tante promesse gli fece, che il pover’uomo si decise a partire con lui e a fargli da scudiero. Gli diceva tra l’altro Don Chisciotte che lo seguisse volentieri, perché poteva capitargli qualche avventura da guadagnarsi in quattro e quattr’otto un’isola, di cui allora l’avrebbe nominato governatore. Con queste ed altre simili promesse, Sancio Panza, così si chiamava il contadino, lasciò la moglie e i figliuoli, e si collocò come scudiero presso il suo vicino; poi Don Chisciotte si mise a far quattrini, e vendendo una cosa, impegnandone un’altra, ma tutte con molto scapito, mise insieme una discreta sommetta. Si provvide anche d’uno scudo rotondo che chiese in prestito ad un amico, e rabberciata meglio che potè la celata rotta, avvisò il suo scudiero Sancio del giorno e dell’ora che pensava di mettersi in cammino, perché anche lui si provvedesse del necessario, e gli disse di portar delle bisacce. Il contadino rispose che l’avrebbe portate, e che pensava anche di menare con sé un suo asino bravissimo, perché lui di camminar a piedi non era buono. Su questo affare dell’asino Don Chisciotte stette un po’ perplesso, cercando di ricordarsi se c’era stato mai un cavaliere errante che si fosse menato dietro uno scudiero montato all’asinesca, e non gliene venne in mente punti; tuttavia gli disse di menarlo, col proposito di sistemar poi il suo scudiero su una più onorevole cavalcatura alla prima occasione in cui potesse togliere il cavallo a qualche discortese cavaliere in cui s’imbattesse. Si provvide di camicie e di quante altre cose potè, conforme al consiglio che gli aveva dato l’oste, e fatti tutti questi preparativi, una bella notte, senza nemmeno dire addio, Sancio alla moglie e ai figliuoli, Don Chisciotte alla nipote e alla governante, uscirono dal paese senza esser visti da nessuno, e camminaron tanto che all’alba si tennero sicuri che, se anche li cercassero, non li troverebbero.

Andava Sancio Panza sulla sua cavalcatura come un patriarca, con le bisacce, con l’otre e con una gran voglia di vedersi governatore dell’isola che il suo padrone gli aveva promessa. Don Chisciotte prese la medesima direzione e la medesima strada che aveva preso nel primo viaggio, cioè attraverso la pianura di Montiel, ma procedeva con minore oppressione della prima volta, perché era di mattina presto, e i raggi del sole, venendo di traverso, non davano tanta noia. Sancio Panza intanto a un certo punto disse: «Guardi bene, signor cavaliere errante, di non dimenticarsi dell’isola che mi ha promesso, perché io la saprò governar benissimo, per quanto grande possa essere».

«Amico Sancio» gli rispose Don Chisciotte «tu devi sapere che fu un uso malto comune tra gli antichi cavalieri erranti quello di nominare i loro scudieri governatori delle isole e dei regni che conquistavano, ed io sono deciso a impedire che un uso così lodevole vada perduto per colpa mia. Anzi penso di andar più in là, perché gli antichi molte volte, e forse le più, aspettavano che i loro scudieri fossero vecchi, e quando erano stanchi di servire e di passare giorni cattivi e peggiori notti, davan loro qualche titolo di conte, o tutt’al più di marchese, di qualche valle o provincia più o meno importante; ma se Dio ci dà vita, potrebbe essere benissimo che prima di sei giorni io conquistassi un regno, da cui ne dipendessero degli altri, in modo che l’occasione si prestasse proprio bene per darne uno a te. E non credere che questa sia cosa straordinaria, perché accadono ai cavalieri erranti cose e casi mai visti e così impensati, che facilmente ti potrei dare anche di più di quel che ti prometto.»

«Allora» rispose Sancio Panza «se per qualche miracolo di quelli che dice lei, io diventassi re, la mia donna, Giannina Gutierrez, verrebbe per lo meno ad essere regina, e i miei figliuoli principi ereditari.»

«E chi lo mette in dubbio?» rispose Don Chisciotte.

«Io, lo metto in dubbio» replicò Sancio Panza «perché io credo che se anche Iddio facesse piovere regni sulla terra, in capo a Maria Gutierrez non ce ne starebbe punti. Lei deve sapere che come regina non costa due soldi; contessa andrebbe un po’ meglio, e magari volesse Iddio!»

«Lascia fare a Dio, Sancio» rispose Don Chisciotte «e Lui le darà quel che conviene di più, ma non ti umiliare tanto da contentarti d’essere meno che governatore.»

«Oh, no! non dubiti» rispose Sancio «tanto più che lei è un padrone così buono e così potente, che mi saprà dare tutto quello che mi starà bene a mano, e che sarò capace di reggere.»

MIGUEL DE CERVANTES, Don Chisciotte della Mancia, Milano, Mondadori 1950.

Dizionario dei personaggi di romanzo
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