26. IL PALAZZO INCANTATO (II)

 

 

Il palazzo incantato di Ariosto è un labirinto che si estende nello spazio: i cavalieri si smarriscono per scale, corridoi, giardini, stanze; ma il palazzo della Sinfonia n.3 di Federico Tardello è un labirinto di altro genere: come sappiamo, la sua dimensione è il tempo.

Fin dall’adolescenza il mio amico è stato ossessionato dalla fine. Si può dire che lo sforzo della sua intera esistenza sia consistito nel tenere in sospeso il più possibile quell'ultima nota affacciata sul silenzio.

Se il tema delle Canzoni senza parole è l'inconfessabile, quello della Sinfonia n.3 è l'inevitabile.

In uno sforzo titanico il compositore sottrae la sua musica allo sviluppo temporale, facendola implodere in quell'unico, spaventoso, accordo che contiene in sé tutta la musica.

Ma attenzione: non la storia della musica, come erroneamente hanno indicato i critici.

Districando la matassa di suoni che aggredisce l'ascoltatore impreparato, si cominciano a distinguere una linea melodica, oppure un movimento, o un'idea musicale, o ancora un ritmo – ognuno riconducibile a un'opera del passato.

Ho questa impressione fin dal primo ascolto, ma solo quando mi siedo al piano nella penombra della mia sala prove su MoreLand e comincio a trasportare sulla tastiera quella partitura incomprensibile mi si precisa l'idea che sarà la chiave di volta per comprendere la Sinfonia n.3.

Per prima identifico una melodia mahleriana, l'incipit dell'Andante Moderato dalla Sinfonia n.6.

Siamo di nuovo noi tre, i primi giorni dell'estate che avrebbe consacrato la nostra amicizia; ci conosciamo ancora da poco, ma avvertiamo un'inebriante affinità tra di noi.

Non ricordo di chi è stata l'idea della gita in montagna, immagino di Clara, è lei che dà una direzione alle nostre vite. All'eccitazione per lo stare insieme si aggiunge quella per il nostro primo viaggio da soli, anche se ci siamo allontanati solo di pochi chilometri da casa con l'obbligo di tornare prima di cena.

A dispetto dei nostri buoni propositi, ci siamo allontanati pochissimo dal centro abitato, le montagne sono più che altro uno sfondo alle nostre discussioni animate. Ci pare di respirare un'aria più rarefatta, che stimola le nostre intelligenze e ci porta su sentieri inesplorati. Il mondo deve prepararsi a qualcosa di grande, lo sappiamo con certezza, anche se il contenuto di questa grandezza è ancora nebuloso.

Stiamo ancora raccogliendo i resti del pic-nic quando veniamo sorpresi dal temporale: tra queste montagne il tempo cambia senza preavviso, un attimo prima sonnecchiamo sul prato facendoci riscaldare dal sole estivo, un attimo dopo siamo zuppi e in cerca di un riparo. O almeno io cerco un riparo: quando mi volto assisto alla scena di Federico che guarda incantato Clara danzare sotto la pioggia.

Non so se la fitta che avverto appartiene a quel giorno o l'ho sovrapposta nel ricordo; ma so di essere innamorato di Clara, anche se passeranno cinque anni prima che possa solo dar forma a questo pensiero.

Finalmente riesco a trascinare i miei amici sotto una parete di roccia sporgente, non proprio un riparo impenetrabile, ma almeno, se il vento non soffia nella nostra direzione, possiamo avere un po' di tregua dall'acqua.

Lo scroscio della pioggia copre le nostre voci, per cui rinunciamo a parlare. Durante il viaggio d'andata abbiamo sintonizzato i nostri impianti auricolari e a turno abbiamo scelto la musica da ascoltare; siamo arrivati prima del turno di Federico, e lui decide di ricominciare proprio in mezzo a quel finimondo: invia alle nostre orecchie assordate dall'acqua l'Andante Moderato dalla Sinfonia n.6 di Mahler, poi si stringe accanto a Clara. Seduto a poco meno di un metro da loro due, ho voglia di piangere.

E piango, ora, mentre accenno al pianoforte poche note dell'Andante Moderato.

Capisco: l'ultima opera di Federico racchiude in un'unico momento privo di sviluppo tutta la nostra storia.