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Volevo te prima ancora di conoscerti

In cuffia Muse

con Madness

Lunedì 25 settembre 2015

Sono le tre del pomeriggio, e io e Mary siamo in macchina, nei pressi di piazza Venezia. Le ho chiesto di vederci, anche solo per un saluto. Anche solo per un abbraccio. Ne avevo troppo bisogno.

Le parole che ci scambiamo mi si imprimono dentro, le ricordo una per una. La verità è che ricordo ogni singola parola scambiata con Mary fin dal giorno in cui l’ho incontrata, anche quelle non pronunciate, soprattutto quelle.

Ci accompagna il rumore della pioggia. E il vuoto, i silenzi, quello spazio fatto di attimi sospesi intorno a noi, e non di mancanze, quel vuoto che rende tutto più magico e romantico... Ma anche più malinconico. Comunque speciale. Perché in quel momento, in quell’istante, fra i pensieri e il rumore della pioggia, ci sei di mezzo tu, Mary. Perché ci sono dei vuoti, che possono essere colmati solo da certi pensieri preziosi, altrimenti restano spazi, spazi vuoti. Quelli fra il rumore della pioggia e i sospiri, fra il sonno e la veglia, fra un battito e quello successivo. Tu sei il mio pensiero più bello, perché sei bella. Sei una cosa bella. E incontrarti è stato una cosa bella. E baciarti è stato una cosa bella. E fare l’amore... è stato una cosa bella. Ecco, ecco perché con te gli spazi, i momenti di vuoto, si trasformano in meravigliose attese, sono vigilie di un piacere irripetibile. Anche quando le sorprese non sono quelle desiderate, quelle che vorremmo...

Siamo nella sua macchina, suonano gli Against Me! con Sink, Florida, Sink...

«Oggi pensavo a come certe persone siano sempre state nella nostra vita pur non essendoci mai state... Forse le anime sono legate fra di loro, in un modo che noi non conosciamo, da una o più vite passate...»

Lei mi guarda per un attimo e poi sospira. «Oggi pensavo... Ecco... Luca...»

La interrompo: «Aspetta, Mary, aspetta...» e le metto delicatamente il palmo della mano davanti alla bocca. So cosa stava per dire. Lei tace e mi guarda con l’aria di chi non sa davvero più come diavolo portare avanti la propria vita. «Vedi, Mary... Io volevo te ancora prima di conoscerti, ancora prima di capire che volevo davvero qualcosa, e questo non può succedere così, per caso. Le nostre anime già si conoscevano, già si amavano, sennò come si spiega?»

Lei si limita a fare no con la testa, senza dire una parola, in modo poco convinto. E poco convincente...

Io vado avanti: «Volevo te ancora prima di capire che sei libero solo quando hai il coraggio di scegliere invece che essere scelto dagli eventi, dalle cose, dalle parole, dal vento...». Lei ora guarda fuori. «Ma io volevo te da sempre Mary, ed è così perché lo sento dentro, è così perché non può essere in un altro modo, in nessun altro modo.» Continuo a fissarla, e lei continua a guardare fuori. Piove.

«Sì, certo...» Sorride sarcasticamente: ecco Mary che esce dalla zona pericolo col suo solito sarcasmo, con la sua solita ironia. «Io ti consiglio davvero di rimetterti a scrivere, saresti un ottimo romanziere, cazzo...» ride ancora, nervosa, e guarda fuori.

«Questo non è un romanzo, questa è la mia vita. E la tua. E il mio cuore. E il tuo. Ed è tutta la verità...»

Do un colpetto col pugno sulla plastica interna del mio sportello, più simbolico che reale.

«Quindi volevi me da sempre e blablabla, eh? E, sentiamo, perché? Perché, galletto? Sono tutta orecchi...»

«Volevo te perché guardandoti è palese che il bene e il male, spesso, sono solo un modo diverso di misurare la stessa emozione, la stessa quantità di rabbia e di gioia, di condivisione e ostilità, di violenza e dolcezza, sono un modo per dissimulare la paura che a volte ci prende e che trasforma un ti amo in un ti odio, un abbraccio in una spinta, una carezza in uno schiaffo...» Mi interrompo solo un attimo, lei finge quasi di non essere interessata, ma io sento che lo è da morire. «La fottuta paura, Mary, che trasforma la genesi di una singola storia nella deriva emozionale di milioni di anime che forse non si toccheranno mai per via di quella paura, capisci?» Le metto una mano sul ginocchio... «Un po’ come una maschera trasforma un guerriero in un pagliaccio... ecco, questo per dire che tu non sei né bene né male, né bianco né nero, tu non sei giusta, e non sei sbagliata, tu sei solo quello che voglio, tu sei tutto quello che voglio, tutto quello che cerco, tutto quello di cui ho davvero bisogno... Ed è molto meno banale di quello che può sembrare, Mary...»

«Non penso sia banale, ma difficile, quello sì... Difficile, cazzo!»

«Se è difficile ci impegneremo di più» e le sorrido dolcemente.

«Ora devo andare, romanziere... Alla prossima puntata!»

«Forse dovresti iniziare a prendermi sul serio, invece che in giro...»

«Sto solo scherzando, non offenderti! La prossima volta che ci vedremo ti insegnerò a prenderti meno sul serio, così nel tuo romanzo metterai un po’ d’ironia!»

«Ok, ok...»

«Anche se, Luca, ecco... In genere sono risoluta nelle scelte, e non faccio cazzate, non questo tipo di cazzate in cui coinvolgo altri... Con te ho ceduto, ma, come ti ho già detto più volte, questo viaggio che abbiamo intrapreso... Hai capito, lo sai... Non so quanto ancora possa durare, io non lo so proprio... È un viaggio appena iniziato, me ne rendo conto, ma io non posso andare avanti...»

«Non lasciare la mia mano, Mary...» Nel frattempo suona Give Me Novacaine dei Green Day...

«In questo viaggio io non posso proseguire...» Fa un grosso respiro, come a ricaricare ossigeno, come le mancasse l’aria...

Io la guardo e non rispondo. Poi lei prosegue: «Anche se tu sei spesso nei miei pensieri, lo ammetto...». Abbassa lo sguardo per un attimo. «Ora scappo, davvero, ci sentiamo!»

Quello che vorrei, ora? Mary, vorrei Mary. Vorrei la sua mano sulla mia. E poi...

E poi vorrei che qualcuno avesse voglia di andare fino in fondo, sì, fino in fondo, lì dove si raschia il barile, dove si respira male e l’aria è pesante, fino in fondo, fra silenzio e affanni, dove gocce di sudore risuonano su pozzanghere di pensieri liquidi come il mare, come la pioggia, come le lacrime...

Fino in fondo, dove le parole si defilano in favore degli sguardi. Dove gli occhi cercano le tue mani e parlano di me. In fondo, dopo la maschera, in fondo, oltre il pagliaccio. In fondo a un abbraccio, e oltre tutte le stronzate. In fondo, dopo tutte le parole, e i vestiti, e le cene, e le sbroccate. In fondo, oltre il “ciao” e il “come stai”. Il “ti penso” e il “mi manchi”. Oltre le descrizioni e gli aggettivi. In fondo, in fondo fino all’anima. Ché ci sono dei viaggi che proprio non li puoi fare da solo, soprattutto quelli di ritorno, quelli che eri partito insieme, mano nella mano, quelli che ci si sente abbandonati, non preferiti, non scelti, superati... Ma insomma, che modi sono? Ma qualche volta lo devi fare, anche se non lo volevi, anche se non dipende da te. E allora, per il ritorno, conviene mantenere un po’ d’amore nel cuore, pure se ti sembra impossibile, pure se a guardarci dentro ti pare di vedere solo rabbia e disperazione. L’amore ti tornerà utile in quei momenti in cui non ci sarà nessuno a tenerti la mano su quella salita tanto ripida, lì ti ricorderai di dare un senso alle tue parole, soprattutto a quelle che non sei riuscito a dire, a quelle che sono rimaste dentro. Forse un giorno arriverà qualcuno che vorrà prenderle e farle sue, quelle parole che hai nel cuore, ma prima devi fare quel pezzo di strada da solo, quello in salita.

E poi vorrei che qualcuno avesse voglia di andare fino in fondo, sì, fino in fondo, lì dove si raschia il barile, dove si respira male e l’aria è pesante, fino in fondo, fra silenzio e respiri affannati, dove gocce di sudore risuonano su pozzanghere di pensieri liquidi come il mare, come la pioggia, come le lacrime...

Quando torno a casa, scrivo:

La semplicità è una magia straordinaria che fa cadere tutte le strutture e le costruzioni, mostrando ogni cosa per quello che è: semplice.

In macchina, oggi pomeriggio, mentre andava Give Me Novacaine dei Green Day, volevo scattarti una foto, ma poi non l’ho fatto e ho continuato solo a guardarti... Perché non serve, è inutile. Quello che ho nel cuore non potrà mai essere riprodotto in una foto.

E tutte le volte che ti vedo è sempre la stessa storia. Si blocca il cuore e il respiro. E il mondo gira e gira, e il cuore urla e trema, e il mondo crolla e poi rinasce, e il vento disegna nuove forme e geometrie, colori mai visti, musiche mai ascoltate, canzoni che ti fanno ballare sulle nuvole e il cuore a ventimila metri d’altezza, e tutto gira gira e poi si ferma e poi riparte. E poi scintille. E poi fumo blu. E poi tu. Tu... che sei il mio cortocircuito d’amore!