16

Il male è male e basta

In cuffia suona Archive

con Again

Giovedì 30 novembre 2015

Lavorare per conto tuo ha come vantaggio quello di poter puntare la sveglia a un orario da privilegiati. Io per esempio ce l’ho quasi tutti i giorni alle otto e trenta – salvo il caso di appuntamenti presi (non per mia iniziativa) in orari che impongano di anticiparla. Roba di lusso per la stragrande maggioranza della gente che conosco, e ne sono consapevole, ma, nonostante questo, tutte le mattine, quando suona con quell’odioso beep elettronico, ripetuto all’infinito come la goccia nella tortura cinese, ecco, mi pare sempre un’ingiusta crudeltà che non meriterebbe nessuno.

Oggi, per esempio, è particolarmente dura. Devo aver calcato troppo la mano con la sessione di running, ieri. In effetti ho raggiunto un ritmo niente male per essere un principiante; è vero quello che dicono: la corsa è una droga, procura dipendenza. Quando entri nel mood non ne puoi più fare a meno, e vuoi andare sempre oltre.

Doccia rapida, come tutte le mattine. Mi vesto con giacca e cravatta, incontrerò due clienti per i quali è opportuno un look classico e formale. Sì, c’è ancora molta gente su cui la cravatta ha un certo appeal e per cui fa la differenza, assurdo... Tazza di yogurt e cereali; cucchiaio di Nutella, acqua a canna dalla bottiglia di vetro; notizie su Ansa.it. Dopo circa quaranta minuti sono pronto.

Chiuso il notebook, incastrata l’ennesima tazza sporca sull’ennesimo piatto sporco, infilato fra le ennesime pentole sporche, il tutto adagiato su un letto di posate e cucchiaini sporchi, nel lavandino sporco, esco di casa per affrontare quella che si prefigura come una giornata lavorativa davvero di merda... Devo fare mille giri, e tutto entro le 15, ché poi le direzioni amministrative delle compagnie chiudono, e oggi è il giorno mensile di rimessa, cioè il giorno in cui devo girare gli incassi del mese alle compagnie trattenendo le mie provvigioni. Devo incassare soldi per coprire il rosso in banca, ritirare polizze, consegnare polizze, telefonare a clienti, trovare nuovi clienti, parlare con la gente, fingermi figo e vincente, col sole in tasca e sicuro di me.

Ho appena chiuso la porta di casa, nemmeno il tempo di entrare in macchina che squilla il telefono, non conosco il numero.

«Marini, salve, sono Lucchi, Banca Gerre, filiale 42, piazza Irnerio...»

Cazzo... Il numero non l’ho riconosciuto perché si sono trasferiti pochi giorni fa nella nuova sede.

«Salve, Lucchi, sì, mi dica!»

«No, scusi, la disturbo perché... Vede, ci sarebbe uno sforamento del fido... di seicento euro... sul conto 32466654...»

«Sì, certo, sarei passato in mattinata, infatti!»

«Senza fretta, anche lunedì, era mio dovere avvertirla, sa, gli interessi così schizzano alle stelle...»

«Ha ragione, e la ringrazio!»

È uno stress. Un continuo correre per coprire in banca, per pagare bollette, multe e tasse. Corro come un pazzo per la sopravvivenza. E la mia vita, la mia vita dov’è? Cazzo.

Incontrati un paio di clienti che hanno lo studio a un chilometro di distanza, un notaio e un avvocato, e incassati un po’ di soldi, mi ritrovo di nuovo in macchina. In zona Eur. Ne incontro un altro davanti al Palazzo dei Congressi.

«Filippo, allora ti mando la quotazione questa sera via email, ti divido tutte le voci e i relativi importi, così puoi farti un’idea più chiara!»

«Va benissimo! Allora l’aspetto. Grazie Luca!»

Filippo è un agente immobiliare di case di lusso, uno di quelli che la sanno lunga, lo conosco da anni, ci presentò Carla, mi affidò alcune polizze, poi col tempo siamo entrati in una buona confidenza, ha bisogno di un preventivo per la casa che sta acquistando, è un attico in centro, proprio su corso Vittorio. È un tipo davvero strano, sui trentacinque anni, veste sempre alla moda, è alto e ha i baffi lunghi, folti e neri, e mentre parla fa continue citazioni di scrittori o cantanti famosi, facendo sembrare siano sue. Oppure fa battute e ride da solo, e mentre ride ti dà delle grandi pacche sulla spalla. Insomma, sembra davvero sciroccato, a volte. Non ho mai capito se ci fa o ci è, però lo trovo un sacco simpatico. Sciroccato, ma simpatico...

«Figurati, grazie a te! Ora mi tocca correre da un altro cliente, non so più nemmeno dove sto correndo, certe volte me lo chiedo, sai?»

«Solo chi non sa dove sta andando può arrivare lontano.»

Lo guardo divertito e sto per dirgli “è una meravigliosa citazione di Oscar Wilde, quella che hai appena fatto!”, ma poi evito, in fondo non è mica un mio amico, è un cliente con cui ho, sì, un buon rapporto, ma non al punto di poter prendermi tanta confidenza. Quindi sorrido, annuisco, e lo saluto. E poi scappo.

Questa zona mi mette sempre una certa serenità, sarà il verde, i colori, gli spazi... Roba inedita per una città come Roma. Ma appena imbocco la Cristoforo Colombo la serenità sparisce, ancora traffico e delirio.

Mentre guido e penso alla cena di questa sera con Franco, e a come sarà Daniela, squilla il telefono, per l’ennesima volta.

È Carlo, un cliente molto importante, lui sì, lui lo considero anche un buon amico: «Luca, un dramma... Ho subito una rapina... Una cosa tragica, mi hanno rubato tutto, hanno ucciso una donna, una cliente, sono disperato...»

Lo sento piangere, singhiozzare, entro nel panico.

«Ma quando?»

«Due ore fa, l’ho vista morire davanti ai miei occhi, mi fissava mentre moriva...»

E si dispera, la sua voce cambia di continuo frequenza e timbro, fino a diventare un filo quasi inesistente. Poi prosegue: «Luca, devi venire... Luigi, il mio avvocato, è già qui. Ho perso tutto».

«Certo, vengo subito... Non so che dirti, Carlo, cerca di stare tranquillo, per quanto puoi, sotto il profilo assicurativo non c’è problema, recupererai i tuoi soldi, so che non è tutto, ma, ecco, ehm...»

E mi interrompe con un tono basso e apparentemente sicuro di sé: «Ok, ok, va bene, grazie, ma vieni qui, per favore». Poi ricomincia, quasi implorante: «Luca, Luca...».

Esito pochi secondi, in silenzio. «Mi dispiace...»

Carlo lo conosco da dieci anni. Ci siamo incontrati in palestra, seguivamo lo stesso corso di kick boxing. Ne è nata una bella amicizia, una di quelle che non sono legate a stereotipi e regole prestabilite, cose del tipo: ci si deve vedere ogni settimana, sentire ogni tre... Quelle nelle quali, per considerarsi amici, è sufficiente l’amicizia, tutto qui. Ha una gioielleria in centro. L’ha ereditata dal padre, insieme a un cognome piuttosto importante nel giro dei preziosi. Un negozio antico, storico, ed è mio cliente da almeno cinque anni. Un ottimo cliente.

Il mio lavoro non è solo quello di individuare la migliore copertura sul mercato e rappresentare il mio cliente nei confronti dell’intero panorama assicurativo nazionale ed estero al momento della sottoscrizione del contratto; l’aspetto più importante e delicato del mio lavoro è la gestione dei sinistri: è lì che ti guadagni la fiducia del tuo cliente, perché è in quella occasione che lui ha davvero bisogno di te. In quel momento potrai dimostrare di avergli venduto una polizza ben fatta, completa, senza falle o clausole vessatorie. Senza la fregatura, quella che tutti si aspettano dalle assicurazioni.

Fare in modo che tutto scorra liscio, sotto il profilo delle formalità e della preparazione delle pratiche, per ottenere il giusto risarcimento, è il mio obiettivo. Nel caso di grossi sinistri, tanto grandi da mettere in ginocchio la vita personale e lavorativa del cliente e di molte famiglie, ecco, in quel caso il mio obiettivo coincide con la sua sopravvivenza. Sono momenti drammatici, non è uno scherzo. Poi qui c’è pure un morto, davvero una brutta storia. Povero Carlo.

Quando arrivo da lui, mi pare di essere sul set di un thriller. Polizia dappertutto, transenne, giornalisti con microfoni in mano e telecamere. La persona uccisa è una giovane donna: qualcosa di orrendo e terribile.

«Eccoti, Luca, sono sconvolto. Tutte le mie certezze, tutta la mia vita, la mia serenità, è tutto in frantumi.»

«Carlo, vedrai che supererai questo momento» gli dico appoggiandogli una mano sulla spalla mentre lui, disperato, resta a testa bassa a fissare i sanpietrini, poi proseguo: «Ma ora devo andare al dunque: dimmi, il sistema d’allarme, le varie aperture e chiusure, il Time-Lock della cassaforte, ecco, ha funzionato tutto, vero? Le procedure di apertura e chiusura delle porte sono state rispettate? Il video della rapina è al sicuro, è su un server esterno, giusto?».

In questi casi è fondamentale che tutto sia in regola, che non ci siano negligenze gravi nella condotta degli assicurati, tipo il mancato inserimento di un sistema d’allarme, o distrazioni serie come lasciare la cassaforte aperta o priva del sistema Time-Lock, o non rispettare i tempi di apertura della doppia porta all’ingresso... Capita che i clienti che non hanno mai subito un furto o una rapina ritengano così basso il rischio che iniziano, pian piano, a non badare più a certe procedure di sicurezza, che però sono contrattualizzate, previste in polizza come raccomandazioni vincolanti, e richieste in caso di sinistro. La manutenzione dei sistemi di videosorveglianza è fondamentale. Il video è la prima cosa da chiedere, la prima che mi chiederanno i periti liquidatori, è un elemento basilare. Per far sì che un sinistro importante e grosso come questo venga pagato, e in tempi accettabili, non si deve dare nulla per scontato.

«Era tutto attivo, Luca, tutte le procedure sono state rispettate... Il video è al sicuro, nelle mani della questura e dei magistrati, non sarà disponibile prima di un mese o due... Non lo so, guarda, è tutto sotto sequestro, ho solo una copia autenticata della denuncia parziale presentata poco fa in comando, andrà integrata con tutti i dettagli: la lista degli oggetti rubati, la somma precisa di contanti, i danni al locale, l’ammontare della somma globale sottratta e tutto il resto...»

«Certo. Per attivare il sinistro, intanto, quella va più che bene, Carlo...»

Me ne dà una copia e la leggo velocemente davanti a lui, in modo trasversale.

Io sottoscritto Carlo Ancestri, dichiaro sotto la mia (...) che il giorno (...) con l’uso di armi da fuoco di cui non saprei (...) circa quattro milioni di euro (...) circa duecentomila euro in contanti (...) dichiaro che i locali sono sottoposti a videosorveglianza a circuito chiuso con trasmissione delle immagini su server remoto il cui hard disk si trova (...) che i rapinatori erano tre e muniti di passamontagna (...) corporatura robusta, statura circa (...) erano presenti cinque clienti, fra cui un uomo di cui conosco le generalità in quanto cliente abituale (...) mentre la donna cercava di divincolarsi dalla presa (...) non conoscevo la vittima e le sue generalità (...) dichiaro di aver sottoscritto polizza assicurativa col seguente numero di certificato assicurativo (...) dichiaro di essere a disposizione per qualunque (...) in fede (...) Carlo Ancestri (...) L’appuntato incaricato di (...) il presente verbale di denuncia (...) Roma, 30 Novembre (...).

Non ho ancora terminato la rapida prima lettura della denuncia che lo sento ancora parlare, e in modo ancora più agitato: «C’è un’indagine in corso, hanno una pista... C’è un morto, Luca, un morto!».

Lo guardo addolorato, e chiedo: «Come è successo?».

«Erano vestiti da carabinieri e li ho fatti entrare, c’erano già quattro clienti dentro, a un certo punto hanno detto che era in corso una rapina, di rimanere calmi, che nessuno si sarebbe fatto male... Hanno prima preso tutto quello che c’era nelle vetrine, nei cassetti, sul bancone, poi mi hanno detto di aprire la cassaforte... Quando gli ho detto che la cassaforte aveva una chiusura a tempo e che non potevo aprirla nemmeno io prima di una certa ora, hanno cominciato ad agitarsi... Avrebbero dovuto aspettare circa dieci minuti, non mi credevano, hanno dato di matto, uno di loro ha preso una cliente sotto il collo, quella donna, le ha puntato la pistola alla testa e mi ha detto di sbrigarmi ad aprire la cassaforte, l’altro mi ha colpito in modo violento col calcio della pistola in testa, e io... Ecco... lui... Vedi, quella maledetta cassaforte non si apriva e lui a un certo punto ha cominciato a urlare e stringere il collo di quella donna, e urlava: “Apri quella cazzo di cassaforte o le faccio saltare il cervello!” e le stringeva sempre più il collo sotto il braccio... Lei ha cominciato a divincolarsi, a lottare con quel bastardo, ed è riuscita a sottrarsi alla presa, l’ha colpito con una gomitata al fianco, io le dicevo di stare calma ma lei era...» Carlo è in uno stato psicofisico precario. Credo sia nel pieno di una crisi di panico, e come biasimarlo? Parla veloce, si mangia le parole, balbetta e suda... «E vedi, Luca, a un certo punto, non lo so, non ricordo, ho sentito un botto assordante, e lei era a terra, in una pozza di sangue che si allargava terribilmente in fretta, capisci, Luca? Capisci? Capisci? Poi si è finalmente aperta quella troia puttana di cassaforte, e... ecco.. hanno preso tutto e sono andati...»

È sconvolto, e lo sono anche io, non ho più saliva in bocca e sento il sangue gelato. Racconta senza prendere fiato, senza sentire quello che sta dicendo, o forse sentendolo troppo, fino al midollo, fino alle ossa, è in un bagno di sudore...

Lo abbraccio. «Cristo, Carlo, Cristo, non so che dire, mi dispiace... Sono sconvolto, è allucinante, ma che succede... Io non so davvero dove andremo a finire...»

«Devono bruciare lentamente all’inferno, maledetti schifosi bastardi!»

Davanti a certe cose tutto perde di senso, e mi domando cosa cerchiamo davvero, dove corriamo. Dove andiamo. Sembriamo ossessionati dai fantasmi, dalle nostre costruzioni mentali, fasulle e alterate, leggere e frivole e inutili. E allora cerchiamo motivi nei dettagli, nelle cose insensate o in quelle che non vogliono averlo, un senso, cerchiamo risposte nell’indifferenza, simboli nelle immagini, parole e suoni nel non detto, nel silenzio. Perché ciò che vediamo, per come si palesa, non ci basta quasi mai. Ottusi, mediocri visionari... Arranchiamo fra perversi teatrini dell’assurdo, come le mosche nel bicchiere, in trappola, ma convinti di avere grande visuale e tutto il mondo in mano, per via del vetro trasparente. E, presuntuosi e un po’ patetici, diamo all’ossessione il nome di amore, e all’amore il nome di ossessione. Schiviamo i colpi dei nostri aguzzini al solo scopo di restare abbastanza vivi da infliggere colpi alle nostre vittime. La maggior parte di noi parla di cose nelle quali non crede, e crede in cose delle quali non parla. Te ne accorgi perché c’è un momento in cui ti senti costretto a partecipare a questo comico perverso gioco al massacro, per sopravvivere, per non morire. Te ne accorgi quando fai già parte del gioco. Un gioco ridicolo, a perdere. Noi siamo quelli che con le spalle al muro meniamo di brutto, meniamo forte, ma solo perché siamo con le spalle al muro, ci diciamo, solo per quello, ci raccontiamo, non per altro, perché in realtà siamo buoni, noi, siamo gente per bene, noi, veniamo in pace, noi. Un po’ come il rapinatore, che era con le spalle al muro, ed è così – ne sono certo – che se la racconta.

Noi abbiamo dato un senso al concetto di odio, anche se c’è chi dice che “l’odio è amore stanco, perso, non corrisposto, scaduto”... Forse... Ma io dico che è odio e basta, odio che ha generato altro odio, che si alimenta con l’odio, che si uccide con l’odio, che uccide per odio, che odia se stesso e tutti i suoi simili, questo dico io, questo diciamo noi. Il male è male e basta, non ha alibi, non ha scuse e non si scusa, se non per ragioni utilitaristiche, strumentali.

E quando ci consigliano di stare calmi non capiamo, Cristo, calmi? Ché sembra quasi, in quel modo, deponendo le armi, abbassando la guardia, di dover delegittimare la schizofrenica inquietudine quotidiana, quella frenesia dal retrogusto amaro e un po’ commovente che ci fa sentire vivi, quella che ci dà la forza di non soccombere all’abitudine, alla noia, quella che ci fa essere abbastanza maledetti da offendere il bene e i gesti più puri, i gesti più sinceri, al solo fine di non dover guardare quello che non vogliamo vedere, al solo fine di non dover tendere una mano e dire: “Basta, perdonami, pace, è tutto passato”. Altro che la roba... solo quell’insana inquietudine ci dà l’energia che serve, ci fa essere tanto sballati e su di giri per recitare il ruolo del pagliaccio, prima, e del duro, dopo, o viceversa, in base ai casi e alle circostanze: quando viene a mancare si forma la crepa, iniziano i dubbi e le insicurezze, e le crisi di identità, e i tremori dell’anima. E il senso di vuoto.

Noi lo sappiamo bene, sappiamo come tenere in piedi il nostro artefatto show, perché siamo consapevoli del fatto che se cala il sipario, e si spengono le luci di scena, ci ritroviamo nudi davanti al mondo, e il mondo può osservarci per quello che siamo: umani, solo umani.

Lasciato Carlo, entro in macchina e appena vedo un bar accosto. Consumo un tramezzino e una pizzetta col prosciutto e la mozzarella, al bancone. Ho voglia di alcol. Butto giù un Amaro del Capo ghiacciato. E a seguire un altro. E poi ancora un altro. Passerò in ufficio giusto per dare a Nicola le istruzioni per inviare i report delle coperture alle compagnie, e poi andrò a casa. Finisse lui, io ho bisogno di riposare, e di staccare.

WhatsApp:

Valeria: “Ciao scemo! Ti pensavo! Sai che ho prenotato il mio viaggio in Brasile? Vado sola! Un viaggio solo per me!”.

Valeria: “Parto il 20 dicembre! Spettacolo, vero!?”.

Valeria: “Marco non ne era molto contento, credo sia geloso, ma io ho prenotato lo stesso...”.

Luca: “Dài! Bello!”.

Luca: “Marco geloso? Ma come, lui sta sempre in giro per il suo lavoro!? Non era quello con la ‘mente aperta’?”.

Luca: “Mah... hai fatto bene a prenotare, Vale... :)”.

Luca: “Sai, è successa una brutta cosa a un amico, un cliente amico, un brutto momento, che cazzo di mondo schifoso...”.

Valeria: “Mi spiace, cosa è successo?”.

Luca: “Una rapina. E un morto, una donna...”.

Valeria: “Cazzo!”.

Luca: “Sì. Cazzo!”.

Valeria: “Questa sera vedi Franco, Angela e la sua amica, giusto?”.

Luca: “Sì, ma adesso non sono nemmeno più in vena, guarda! Vorrei solo Mary e un suo abbraccio, solo quello vorrei...”.

Valeria: “Lo so, ma vai! Approfittane per staccare, Luca”.

Valeria: “Ti farà bene”.

Luca. “...”

Valeria: “Fidati di me!”.

Luca: “Sì, forse hai ragione... Ora scappo. A dopo. Bacio”.

Valeria: “Ti voglio bene”.

Luca: “Anche io. Tantissimo”.