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Uscendo dalla DRO, Ballard tornò alla Sezione Speciale Aggressioni, in fondo al corridoio. Stavolta Amy Dodd non era nel suo cubicolo ma la postazione accanto sembrava ancora libera. Ballard si sedette e inserì la password per entrare nella rete del dipartimento. Fece un respiro profondo e provò a rilassarsi, ora che era lontana dal suo persecutore. Aveva fatto ciò che doveva fare, ma era in ansia come tutte le volte che vedeva Olivas. Perciò, dopo aver abbandonato un caso, decise di dedicarsi all’altro. Per non fermarsi.

Davanti al computer aprì il suo taccuino alla pagina dove aveva annotato le informazioni su Elvin Kidd. Aveva i numeri del cellulare e del fisso associati alla sua ditta e si collegò alla banca dati LexisNexis per sapere chi erano i provider di servizi per quei numeri. Era un dato cruciale per le richieste di intercettazioni. Poi aprì un modulo per richiedere un mandato di perquisizione e la sorveglianza audio su entrambi i numeri.

Farsi approvare le intercettazioni era un processo complicato, perché ascoltare telefonate private era in conflitto con il Quarto Emendamento, che prevedeva restrizioni contro perquisizioni e sequestri illegittimi. La necessità doveva essere comprovata, sicura e disperata, e bisognava dimostrarlo. Per i primi due requisiti il richiedente doveva spiegare che la soglia dell’attività criminale da parte della persona da sorvegliare era stata ampiamente superata. Per il terzo, doveva argomentare in modo convincente che le intercettazioni rappresentavano l’unica alternativa per poter far avanzare il caso contro la persona in oggetto. Le intercettazioni telefoniche, insomma, dovevano essere utilizzate solo come misura estrema, e proprio per questo c’era bisogno di ottenere l’approvazione scritta del dipartimento, firmata da un supervisore di grado elevato, possibilmente da capitano in su.

Ballard ci mise un’ora per scrivere un documento che illustrava dettagliatamente i fondati motivi per l’intercettazione, sette pagine costituite per metà da formule giuridiche e per metà da un sommario del caso contro Kidd. Le argomentazioni si basavano soprattutto sulle parole di un informatore ufficiale del LAPD di nome Dennard Dorsey e concludevano che l’intercettazione era una misura estrema perché il caso risaliva a ventinove anni prima e i testimoni erano deceduti, non ricordavano più i fatti, o non potevano essere localizzati. Il documento non specificava che Dorsey non era più attivo come informatore da più di dieci anni, né che Kidd non aveva più un ruolo attivo nella gang dei Rolling ’60 da un periodo ancora più lungo.

Mentre Ballard rileggeva il tutto per le ultime correzioni, rientrò Amy Dodd.

«Ehi, sta diventando un’abitudine» disse.

Ballard alzò gli occhi a guardarla. Dodd sembrava stanca, come se avesse lavorato anche lei tutta la notte. Ballard provò di nuovo una fitta di preoccupazione. «Giusto in tempo» disse. «Qual è il codice di questa unità per la stampante?»

Dodd non lo ricordava a memoria. Si sedette al suo computer, fece il login e le lesse il codice. Ballard mandò in stampa il documento.

«Allora» chiese Dodd dall’altro lato del divisorio. «Ti trasferisci qui?»

«Stavo chiedendo un mandato di perquisizione. Devo portarlo dal giudice Thornton prima che inizi la giornata in tribunale.»

«Intercettazioni?»

«Già. Su due linee.»

Billy Thornton era il giudice di corte d’appello delegato alle intercettazioni, quindi tutti i mandati di perquisizione che richiedevano anche sorveglianza audio dovevano essere approvati da lui. Era sempre molto impegnato in tribunale, le sue udienze generalmente cominciavano ogni mattina alle dieci.

Seguendo le istruzioni di Dodd, Ballard si recò nell’area pausa dietro la sala detective per ritirare il documento dalla stampante. Poi tornò alla scrivania e prese dallo zainetto il fascicolo che aveva mostrato a Olivas. Staccò la pagina con la firma di Olivas e l’attaccò al modulo da presentare al giudice.

«Vado via» annunciò. «Se ti va di vederci qualche volta dopo il lavoro io ci sono, Amy. Almeno fin quando inizia l’ultimo spettacolo.»

«Grazie» rispose Dodd. Sembrava aver notato la sua preoccupazione. «Lo tengo presente.»

Ballard scese in ascensore e attraversò la piazza verso la sua auto. Non trovò una multa sul parabrezza e decise di tentare ancora la sorte. Lasciò lì la macchina e andò in tribunale a piedi. Era a un solo isolato di distanza, su Temple, e se tutto fosse andato bene sarebbe tornata in meno di mezz’ora. Affrettò il passo.

Il giudice Billy Thornton era una colonna del sistema di giustizia locale. Agli inizi della carriera era stato difensore d’ufficio e viceprocuratore, poi era salito sullo scranno e manteneva quella posizione al dipartimento 107 della corte d’appello di Los Angeles da più di un quarto di secolo. I modi rustici che mostrava in aula nascondevano un’acuta mente legale, e questo era uno dei motivi per cui il presidente della corte aveva assegnato a lui l’approvazione delle intercettazioni. Il nome completo era Clarence William Thornton ma preferiva Billy, ed era così che lo annunciava il suo ufficiale giudiziario quando entrava in aula: «Presiede l’onorevole giudice Billy Thornton».

A causa degli incredibili tempi d’attesa per l’ascensore, in quel tribunale vecchio di cinquant’anni, Ballard arrivò alle dieci meno dieci, quando la corte stava già per riunirsi. Un uomo con la tuta blu del carcere della contea era seduto al tavolo della difesa, accanto al suo avvocato. All’altro tavolo c’era un pubblico ministero che le sembrò di riconoscere, senza ricordarne il nome. Mancava solo il giudice sullo scranno. Ballard tirò indietro la giacca del completo perché il commesso giudiziario vedesse il distintivo alla cintura e attraversò il cancelletto. Si diresse alla postazione dell’impiegato a destra dello scranno del giudice. Un uomo con il colletto della camicia consunto alzò gli occhi a guardarla. Il nome sulla targhetta sopra la scrivania era Adam Trainor.

«Buongiorno» disse Ballard, fingendo di essere senza fiato. Voleva fargli pensare di essersi fatta di corsa le nove rampe di scale, per impietosirlo. «Ho una possibilità di vedere il giudice prima che cominci il processo? Si tratta di un mandato per un’intercettazione.»

«Ah, stiamo aspettando l’ultimo giurato, poi s’inizia» replicò Trainor. «Mi sa che deve tornare per la pausa pranzo.»

«Non può provare a chiedere? Il mandato è solo sette pagine, quasi tutte in gergo legale che lui ha letto un milione di volte. Ci metterà pochissimo.»

«Vado a vedere. Nome e dipartimento?»

«Renée Ballard, LAPD. Sto lavorando a un caso freddo di omicidio. E il fattore tempo è importante.»

Trainor alzò il telefono, premette un bottone e ruotò sulla sedia in modo da darle le spalle. Lei non udì cosa diceva ma poiché la conversazione durò venti secondi si aspettava una risposta negativa.

Si sbagliava.

«Può entrare» disse l’impiegato, ruotando di nuovo la sedia. «Lo trova nel suo studio. Può dedicarle una decina di minuti. Il giurato mancante ha appena chiamato dal garage.»

«Con quegli ascensori ci metterà molto di più» commentò Ballard.

Trainor aprì lo sportello che consentiva l’accesso alla porta posteriore dell’aula. Ballard percorse una stanza piena di schedari e un corridoio. Conosceva i tribunali e sapeva che quel corridoio portava a una fila di uffici assegnati ai giudici penali. Non sapeva se andare a destra o a sinistra, ma una voce disse: «Da questa parte».

Era a sinistra. Dalla porta aperta vide il giudice Thornton in piedi accanto a una scrivania. Stava indossando la toga nera.

«Venga pure» disse il giudice.

Ballard entrò. Lo studio era come molti altri in cui era stata. Una scrivania e una zona salotto circondata su tre lati da scaffali pieni di testi legali rilegati in pelle. Doveva essere solo per fare effetto, visto che ormai tutto era digitalizzato.

«Un caso freddo, eh?» disse Thornton. «Quanto freddo?»

«1990» rispose Ballard, aprendo lo zainetto per prendere il fascicolo. «Abbiamo un indiziato e vogliamo mettergli una pulce nell’orecchio e stimolarlo perché parli del caso al telefono.»

Consegnò il fascicolo al giudice, che si sedette alla scrivania per leggerlo, senza estrarre le pagine dalla cartellina.

«Il mio impiegato ha detto che c’è un fattore tempo, giusto?»

Ballard non se l’aspettava. «Ecco, è membro di una gang e abbiamo parlato del caso ad alcuni altri membri della stessa gang» rispose, improvvisando. «Vorremmo andare da lui ad agitare le acque, perché faccia qualche telefonata, prima che venga informato da altri.»

Thornton proseguì la lettura. Ballard notò la foto in bianco e nero di un musicista jazz, sul muro accanto all’attaccapanni con sopra una toga di ricambio. Mentre leggeva la terza pagina del documento, il giudice disse: «Io prendo molto sul serio le richieste di intercettazioni. Ascoltare le conversazioni private è un’intrusione estrema».

Ballard non capì se dovesse rispondere. Forse si trattava di un’affermazione retorica. Ma disse, in tono nervoso: «Anche noi le prendiamo sul serio. Crediamo davvero di avere la possibilità di risolvere il caso seguendo questa strategia: se riusciremo a mettere in allarme l’indiziato, forse chiamerà i suoi amici della gang e potrebbe fare un’ammissione di colpevolezza».

Aveva citato quasi letteralmente il documento che Thornton stava leggendo. Il giudice annuì, senza alzare gli occhi dalla pagina. «E vuole anche poter controllare gli sms sul cellulare.»

«Sì, giudice.»

Arrivato alla sesta pagina, lo vide scuotere la testa e pensò che avrebbe rifiutato di approvare la richiesta.

«Dice che quest’uomo aveva una posizione importante nella gang» disse Thornton. «E l’aveva anche all’epoca dell’omicidio. Crede che sia stato lui a commetterlo?»

«Ehm, sì, è ciò che pensiamo» rispose Ballard. «La sua posizione gli permetteva di ordinare ad altri di uccidere Hilton, ma pensiamo che l’abbia fatto di persona per via del possibile imbarazzo che la situazione avrebbe potuto creargli.»

Sperava che il giudice non chiedesse chi intendeva con “pensiamo”, visto che lavorava al caso da sola. Bosch non contava, perché era fuori dal dipartimento.

La settima pagina era dove si era arrampicata sugli specchi per sostenere i “fondati motivi”.

«Il quaderno di schizzi menzionato qui» disse il giudice. «L’ha portato con sé?»

«Sì.»

«Mi faccia dare un’occhiata.»

Ballard lo tirò fuori dallo zainetto e glielo passò sopra la scrivania.

Aveva segnato con un post-it solo uno dei due disegni, perché nel secondo Kidd non era ben riconoscibile. Thornton comunque sfogliò tutte le pagine, invece di andare direttamente a quella del ritratto. Quando ci arrivò, studiò lo schizzo per un lungo momento.

«E lei dice che questo è Kidd?»

«Sì, vostro onore. Ho delle sue foto dell’epoca. Foto segnaletiche. Se vuol vederle…»

«Sì, vorrei vederle.»

Ballard tornò a infilare una mano nello zainetto, e il giudice proseguì. «Non vorrei che lei avesse raggiunto una conclusione soggettiva riguardo a due punti: primo, che il soggetto di questo disegno sia Kidd, e secondo, che lo schizzo implichi una relazione romantica di qualche tipo.»

Ballard accese il suo laptop, aprì le foto di Kidd scattate a Corcoran e voltò il monitor verso il giudice, il quale si chinò in avanti per guardarle meglio.

«Vuole che le ingrandisca?»

«Non è necessario. Riconosco che si tratta del signor Kidd. Ma cosa mi dice della relazione con la vittima? Non ha nessuna prova al riguardo, il fatto che si possa intuire dal disegno non basta. Hilton poteva semplicemente essere un bravo artista.»

«Io credo proprio che si possa intuire dal disegno» disse Ballard, tenendo il punto. «Inoltre, il coinquilino della vittima conferma che Hilton era gay e che aveva una fissazione per un uomo conosciuto in carcere. Infine, Hilton è stato ucciso in un vicolo controllato da Kidd, dopo che lo stesso Kidd aveva allontanato tutti gli altri membri della gang. Credo che Hilton fosse innamorato di lui, mentre Kidd era dell’idea che ciò che succede in prigione debba restare tra quelle mura. Non poteva rischiare che la relazione che aveva avuto con Hilton diventasse di dominio pubblico: avrebbe indebolito la sua autorità nella gang. Io penso che sia un motivo fondato, vostro onore.»

«Questo lo decido io, no?»

«Certo, vostro onore.»

«La sua teoria è scritta qui. In parte è sostenuta da fondati motivi, in parte è basata su congetture.»

Ballard non disse nulla. Si sentiva una scolaretta sgridata dal maestro. Thornton le avrebbe detto che ciò che aveva in mano non bastava, e di tornare con basi più solide. Lo osservò girare l’ultima pagina, quella con la firma di Olivas.

«Lavora a questo caso con il capitano Olivas?»

«C’è lui al comando dei casi freddi.»

«E le ha firmato questa richiesta?»

«Sì, signore.»

Ballard provò una stretta allo stomaco. Si rese conto all’improvviso di cosa stava facendo: mentire a un giudice della corte d’appello. La sua avversione per Olivas l’aveva portata a usare un sotterfugio con una persona che invece rispettava. Rimpianse di aver accettato quel quaderno dell’omicidio da Bosch.

«Be’» disse Thornton. «Devo presumere che Olivas sappia quello che fa. Ho lavorato ad alcuni casi con lui, quando ero pubblico ministero, venticinque anni fa. Era in gamba.»

«Sì, signore.»

«Tuttavia ho sentito delle voci su di lui. Riguardo alla sua gestione, diciamo così.» Ballard non disse nulla e il giudice si rese conto che non aveva abboccato all’esca. «Qui chiede che le approvi sette giorni di intercettazioni, ma gliene do tre. Settantadue ore. Se a quel punto non ha in mano nulla, chiuda tutto. Sono stato chiaro, detective?»

«Sì, signore. Settantadue ore. Grazie.»

Thornton tirò fuori i fogli da firmare e consegnare ai provider dei telefoni di Kidd. Ballard voleva solo che facesse in fretta, prima di ripensarci. Fissava la foto del musicista sul muro ma senza vederla realmente, pensando alle prossime mosse da fare.

«Sa chi è quello?» chiese il giudice.

Ballard emerse dai suoi pensieri.

«The Brute and the Beautiful, lo chiamavano così» disse Thornton. «Ben Webster. Poteva farti piangere quando suonava il sax tenore, ma quando beveva diventava cattivo. Violento. È una storia che vedo di continuo nella mia aula.»

Ballard si limitò ad annuire.

Lui le allungò i documenti. «Ecco il suo mandato» disse.