7
BALLARD
La tenda era calda e accogliente e Ballard si sentiva al sicuro. Ma a un tratto vapori di kerosene le entrarono in bocca, nel naso, nei polmoni, l’aria si fece bollente e la tenda cominciò a bruciare, fondendosi intorno al suo corpo.
Si svegliò all’improvviso. Aveva ancora i capelli umidi. Guardò l’orologio e scoprì di aver dormito solo tre ore. Pensò di provare a riaddormentarsi, ma quel sogno le alitava ancora addosso, un tanfo acre di kerosene. Avvicinò al naso una ciocca di capelli e sentì soltanto il profumo dello shampoo alla mela che aveva usato dopo il paddleboarding in mare.
«Lola.»
Il cane entrò di corsa dall’apertura della tenda e le si accucciò accanto. Lola era mezza boxer e mezza pitbull. Ballard le accarezzò la testa larga e dura e l’orrore del sogno si allontanò. Chissà se l’uomo dell’incendio nella tenda si era svegliato, alla fine. Sperava di no. Sperava che fosse così fatto o ubriaco da non aver sentito dolore e da non essersi reso conto di morire.
Passò una mano su un lato della tenda. Immaginò il nylon che si fondeva per il calore e le cadeva addosso come un sudario. Sveglio o no, quell’uomo aveva fatto una morte orribile.
Prese il telefono dallo zaino e controllò se c’erano chiamate o messaggi: niente, solo una mail di Nuccio, l’investigatore degli incendi dolosi. Diceva di aver ricevuto i suoi rapporti e prometteva di mandarle il risultato alla fine dell’indagine. Lui e il suo partner avevano appurato che la morte era stata accidentale. La vittima restava non identificata, perché qualsiasi documento avesse con sé era bruciato.
Ballard mise via il telefono.
«Facciamo una passeggiata, ragazza mia.»
Uscì dalla tenda con lo zaino e si guardò intorno. A una trentina di metri c’era la torre di guardia di Rose Avenue, ma sembrava deserta. E in acqua non c’era nessuno: faceva troppo freddo.
«Aaron?» chiamò.
La testa ricciuta del bagnino si affacciò dal parapetto della torretta. Doveva essersi steso a dormire sulla panca. Ballard indicò la tenda e la tavola da SUP sulla sabbia.
«Daresti un’occhiata alla mia roba? Vado a prendere un caffè.»
Il bagnino alzò il pollice.
«Tu vuoi qualcosa?»
Il pollice si girò verso il basso. Ballard prese un guinzaglio da una tasca dello zaino e lo agganciò al collare di Lola, quindi con lo zaino in spalla si diresse verso la fila di ristoranti e negozi per turisti sul lungomare, a un centinaio di metri dall’oceano.
Andò da Groundwork su Westminster, prese un latte macchiato e si sedette a un tavolo in fondo, dove poteva lavorare senza attirare l’attenzione degli altri clienti. Lola si trovò un posto comodo sotto il tavolo. Ballard aprì lo zaino ed estrasse il computer e il quaderno dell’omicidio che le aveva lasciato Bosch.
Decise di non saltare qua e là nella lettura. La prima sezione, quella cronologica, era la più importante. In pratica era un diario del caso, dove i detective incaricati descrivevano tutte le mosse e i passi fatti durante l’indagine.
Prima di iniziare a leggere, aprì il laptop e cercò sul database del personale del LAPD i nomi di George Hunter e del suo partner, Maxwell Talis. Erano tutti e due ex poliziotti da molto tempo, Hunter dal 1996 e Talis dall’anno dopo. Hunter era morto, mentre Talis prendeva ancora la pensione. Era un’informazione importante perché, se avesse deciso di riesaminare l’omicidio Hilton, avrebbe dovuto parlare con lui, sperando che ricordasse qualcosa di quell’indagine.
Chiuse il laptop e aprì il raccoglitore. Cominciò dall’inizio: dalla chiamata. Hunter e Talis erano alle loro scrivanie un venerdì mattina, alla centrale di Hollywood, quando due agenti di pattuglia avevano trovato un’auto in un vicolo dietro una fila di negozi, tra Melrose Avenue e il cavalcavia della 101. I detective si erano recati sul posto, insieme alla Scientifica e agli uomini del coroner.
La vittima era un maschio bianco. La patente di guida nel portafoglio trovato sul pavimento della Toyota Corolla del 1988 lo identificava come John Hilton. La foto corrispondeva al viso dell’uomo riverso sul fianco destro sopra i sedili dell’auto.
Un rapido controllo al computer rivelò che Hilton non era un rampollo dei magnati dell’industria alberghiera, ma un ex carcerato uscito di prigione un anno prima, dopo trenta mesi scontati per possesso di droga e furto con scasso.
Le prime voci della cronologia erano state inserite da Hunter, il detective principale, che le aveva firmate con le proprie iniziali. Ballard riuscì a farsi un’idea di come era stata condotta l’indagine nelle fasi iniziali. Naturalmente, si era partiti dai precedenti della vittima per droga e reati minori. Hunter e Talis sembravano convinti che Hilton fosse stato ucciso per rubargli i pochi soldi di una dose di eroina.
Ballard ora si occupava dei casi che richiedevano la presenza di un detective durante il turno di notte, ma in precedenza aveva lavorato per la Omicidi al quartier generale della polizia in centro, seguendo i casi speciali. La tendenza del dipartimento a chiudere un occhio sulle molestie e la misoginia diffusa nei ranghi aveva causato il suo trasferimento all’ultimo spettacolo, ma le sue capacità investigative non ne avevano risentito. Bosch se n’era accorto e se n’era servito, quando le loro strade si erano incrociate l’anno prima. Avevano deciso di lavorare ancora insieme a dei casi, in modo non ufficiale e tenendosi al di sotto del radar del dipartimento. Bosch era in pensione e ormai un esterno, non più tenuto a rispettare regole e procedure. Ballard non era in pensione, ma il turno di notte la rendeva quasi invisibile. Tutta la sua esperienza alla Omicidi le diceva che quello era un caso impossibile: una rapina per ottanta dollari, quasi trent’anni prima, finita con un proiettile. Forse qualcosa aveva stimolato l’attenzione di John Jack Thompson, accendendo il suo fuoco interiore, ma qualsiasi cosa fosse, ormai doveva essere scomparsa da tempo.
Per prima cosa, Ballard sospettò che Hilton fosse un informatore. Forse lavorava per Thompson e per questo il detective si era interessato a un caso non suo. Estrasse dallo zaino il suo taccuino e scrisse una domanda da fare a Bosch. Quanti altri quaderni di omicidi ha rubato JJT?
Era una questione importante, che le avrebbe permesso di capire il livello di dedizione di Thompson al caso. Se fosse riuscita a comprendere perché si era portato a casa quel raccoglitore, avrebbe potuto ricavarne un movente e quindi un indiziato. Ma, come si capiva dalla cronologia, si trattava di un omicidio quasi impossibile da risolvere all’epoca, figuriamoci ventinove anni più tardi.
«Merda» disse a bassa voce.
Lola alzò gli occhi a guardarla. Ballard le accarezzò la testa. «Va tutto bene, ragazza.»
Si rimise a leggere la cronologia e a prendere appunti.
Il cambio manuale dell’auto di Hilton era in folle, ma la chiavetta era inserita e in posizione di accensione. Il motore era spento perché era rimasto senza benzina. Era stato ipotizzato che Hilton fosse passato dal vicolo per acquistare una dose e ripartire subito, ma appena si era fermato e aveva messo il cambio in folle gli avevano sparato. Non era stato possibile determinare quanta benzina ci fosse nel serbatoio al momento in cui Hilton era entrato nel vicolo, ma il coroner aveva stimato l’ora della morte tra mezzanotte e le quattro del mattino, cioè da quattro a otto ore prima che il cadavere fosse scoperto da un negoziante che era andato a parcheggiare dietro il negozio.
I finestrini anteriori dell’auto erano aperti. Hilton era stato ucciso da un colpo a bruciapelo dietro l’orecchio destro e per questo gli investigatori avevano ipotizzato due colpevoli: uno che si era avvicinato al finestrino del conducente, distraendo l’attenzione di Hilton, e un altro che aveva infilato il braccio con la pistola dal finestrino del passeggero, sparando a Hilton mentre era voltato a parlare. Il bossolo espulso dall’arma del delitto sembrava confermare questa teoria: era stato trovato sul tappetino dalla parte del passeggero, quindi il colpo era stato sparato da quel lato. Hilton probabilmente si era accasciato contro la portiera, ma il suo assassino lo aveva steso tra i sedili per vuotargli le tasche. Nelle foto della scena del crimine tutte e due le tasche anteriori dei pantaloni della vittima erano rovesciate.
Per Ballard, la teoria dei due complici e il modo in cui avevano ucciso Hilton non quadrava del tutto con la rapina. Sembrava un’azione fredda, calcolata, pianificata. Anche una rapina per droga richiedeva una certa progettazione, ma di solito non si svolgeva con una precisione simile. Cominciò a chiedersi se i due detective non si fossero concentrati fin dall’inizio sul movente sbagliato. La loro convinzione iniziale poteva aver condotto Hunter e Talis a ignorare ogni indizio che non si adattava a quella prima ipotesi.
Non era nemmeno convinta che l’omicidio fosse stato commesso da due persone, una che distraeva Hilton da sinistra e l’altra che gli sparava da destra. Un uomo solo avrebbe potuto farlo benissimo, Hilton poteva essere stato indotto a guardare a sinistra da una cosa qualsiasi.
Si fece un altro appunto per ricordarsi di parlarne con Bosch e tornò alla cronologia.
Hunter e Talis avevano limitato la ricerca di indiziati al quartiere in cui era stato trovato il corpo e tra gli spacciatori che vendevano in quel vicolo. Si erano relazionati con un sergente a capo di un’unità antidroga che lavorava sulla strada, a volte anche sotto copertura. L’uomo aveva detto che quella zona era un noto centro di spaccio, per via della prossimità dell’autostrada 101. I clienti arrivavano a Hollywood prendendo l’uscita di Melrose, acquistavano la droga e tornavano sull’autostrada, allontanandosi in fretta. Inoltre il posto era vicino a diversi studi cinematografici, i cui impiegati compravano droga mentre andavano o tornavano dal lavoro, a meno che non fossero dei creativi di alto livello, i quali in genere se la facevano consegnare a domicilio.
La cronologia riportava che la clientela in zona era in maggioranza bianca, mentre gli spacciatori erano tutti maschi neri, che si rifornivano da una gang di strada di South Los Angeles, i Rolling ’60 Crips. La gang si era conquistata quella parte di Hollywood e ne manteneva il possesso con la violenza. L’omicidio di John Hilton non faceva bene agli affari, per via di tutta la polizia che circolava in zona. Una nota riportava che secondo un informatore i membri dei Rolling ’60 stavano cercando attivamente di identificare l’omicida per eliminarlo e mandare un chiaro avvertimento. Gli affari venivano sempre prima della lealtà di strada.
Quell’appunto portò Ballard a chiedersi se non stesse dando la caccia a un fantasma. La gang poteva aver catturato e ucciso l’assassino (o gli assassini) di John Hilton senza che il LAPD facesse un collegamento tra i due casi.
Quella possibilità non sembrava preoccupare Hunter e Talis, i quali avevano fatto una lista di spacciatori noti che operavano in zona, cominciando a interrogarli. Nessun colloquio aveva rivelato indiziati o piste utili, ma Ballard notò che la lista era incompleta. Alcune persone non erano mai state trovate o interrogate. Tra loro, un certo Elvin Kidd, un capozona dei Rolling ’60 che gestiva il territorio dove era avvenuto l’omicidio.
I due si erano tenuti alla larga anche da un altro spacciatore, Dennard Dorsey, dopo aver saputo che si trattava di un valido informatore. Di interrogarlo se n’era occupato il suo supervisore, un detective della Narcotici di nome Brendan Sloan, il quale aveva poi riferito che il suo uomo non sapeva nulla di utile riguardo al caso Hilton.
Ballard si appuntò tutti i nomi. La disturbava il fatto che i detective non avessero interrogato tutti gli spacciatori e avessero delegato a un’altra persona il colloquio con l’informatore. Per lei, significava che quel lato dell’indagine non era completo. Non sapeva se il motivo fosse la pigrizia o qualche altro ostacolo. Il numero di omicidi a Los Angeles tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta era il più alto nella storia della città. Era probabile che Hunter e Talis avessero già altri casi di cui occuparsi, e nuovi omicidi in arrivo a ritmo costante.
Ci volle un’altra ora e un altro latte macchiato prima che finisse di leggere la cronologia. Il documento si concludeva con una nota di Talis, a un anno esatto dall’omicidio: «Ancora nessun nuovo indizio o indiziato. Il caso rimane aperto e attivo».
E basta. Nessuna spiegazione di come andava ancora avanti l’indagine.
Ballard sapeva che l’appunto era un pro forma. Il caso era arrivato al capolinea per mancanza di piste da seguire. I detective aspettavano quella che in gergo si chiamava una “cura miracolosa”: qualcuno che rivelasse il nome dell’assassino. Di solito si trattava di personaggi del sottobosco criminale, un arrestato che rischiava una condanna seria e offriva quell’informazione in cambio di uno sconto di pena. Solo così Hunter e Talis avrebbero avuto una pista da seguire. Perciò il caso restava “aperto e attivo”, ma loro si dedicavano ad altro.
Un’altra cosa curiosa era che mancava del tutto il lavoro fatto da John Jack Thompson. In tutti gli anni in cui si era tenuto quel quaderno dell’omicidio, non aveva aggiunto nulla. Non c’era nemmeno una nota di suo pugno nella cronologia. Sembrava che non avesse fatto nessuna mossa, condotto nessun colloquio o seguito nessuna pista. Ballard si domandò se John Jack non avesse tenuto separati gli appunti sulla sua indagine privata, per non pasticciare con il fascicolo originale. Avrebbe dovuto parlare con Bosch anche di questo e chiedergli di tornare a casa di Thompson per cercare un eventuale altro quaderno dell’omicidio o almeno degli appunti sul caso in oggetto.
Dalla cronologia passò ai rapporti completi dei due detective, basati sulle prove raccolte e sui colloqui con i testimoni. Nella sezione dedicata alla vittima, trovò una biografia stilata da Talis, ricavata da interrogatori e documenti ufficiali. La madre e il patrigno di John Hilton erano vivi all’epoca dell’omicidio. Sandra Hilton non aveva manifestato sorpresa per la morte del figlio, dicendo che da quando era uscito dal carcere statale di Corcoran era molto cambiato. Quell’esperienza lo aveva segnato e voleva solo passare tutto il tempo possibile sotto l’effetto di stupefacenti. Lei e il marito lo avevano cacciato di casa, quando si erano resi conto che non stava facendo alcuno sforzo per reintegrarsi nella società. Diceva che voleva essere un artista, ma non stava muovendo un dito per provare a lavorare nel campo dell’arte e rubava in casa per poter comprare la droga.
Donald Hilton non era pentito della decisione di buttare John fuori dalla loro abitazione nella zona del lago di Toluca. Quando aveva conosciuto e sposato Sandra, John aveva già undici anni, il padre biologico non era mai stato parte della sua vita e secondo Donald il bambino aveva già forti problemi di comportamento. Il fatto che non avessero una relazione di sangue probabilmente gli aveva permesso di cacciarlo di casa, anni dopo, senza sentirsi in colpa.
Una parte del rapporto era stata censurata con un pennarello nero. Due righe erano completamente coperte. Era strano, pensò Ballard, perché un quaderno dell’omicidio era già un documento confidenziale. Certo, in caso di processo, il quaderno, insieme al resto del materiale relativo al delitto, veniva girato alla difesa. Quando ciò accadeva, a volte si censurava qualche frase per proteggere i nomi degli informatori o di altre persone. Ma per quel caso non era mai stato imputato nessuno. Inoltre, era strano che un colloquio con i genitori della vittima contenesse informazioni che fosse necessario nascondere. Ballard aprì gli anelli del raccoglitore e tolse la pagina, per provare a leggere le parole dal retro. Non ci riuscì e reinserì la pagina all’inizio del quaderno, per ricordarsi di quell’anomalia ogni volta che lo apriva. Quali informazioni erano state cancellate? E da chi?
La lettura dei riassunti dei colloqui con gli altri testimoni produsse una sola domanda importante. Hilton condivideva un appartamento a North Hollywood con un uomo di nome Nathan Brazil, un assistente di produzione della Archway Studios di Hollywood. Ballard sapeva che lo studio cinematografico si trovava su Melrose Avenue, vicino alla Paramount e al luogo in cui Hilton era stato ucciso. Brazil aveva detto agli investigatori che la notte dell’omicidio lavorava alla produzione di un film e Hilton si era presentato alla porta a chiedere di lui alla guardia giurata, ma Brazil aveva ricevuto il messaggio varie ore dopo, quando Hilton era già morto. Probabilmente quando si era allontanato dallo studio aveva proseguito su Melrose fino al vicolo in cui era stato ucciso. Secondo Brazil non era mai successo prima che Hilton andasse a cercarlo sul posto di lavoro, e non sapeva perché l’avesse fatto o cosa volesse.
Era un altro mistero nel mistero che Hunter e Talis non avevano risolto.
Ballard guardò i propri appunti. Si era scritta i nomi di parecchie persone da cercare e intervistare, se erano ancora vive.
Maxwell Talis
Donald Hilton
Sandra Hilton
Thompson, vedova
Vincent Pilkey, spacciatore
Dennard Dorsey, spacciatore/informatore-protetto
Brendan Sloan, squadra Narcotici
Elvin Kidd
Nathan Brazil, coinquilino
Ballard sapeva che la vedova di John Jack Thompson era viva, come anche Maxwell Talis. Brendan Sloan era ancora in pista, e di fatto lei lo conosceva: nei ventinove anni trascorsi dall’omicidio Hilton aveva fatto carriera e al momento era vicecapo, al comando del West Bureau. Ballard non lo aveva mai incontrato di persona, ma poiché la Divisione Hollywood dipendeva dal West Bureau, tecnicamente Sloan era il suo capo.
Cominciava a sentire la schiena rigida, tra l’uscita in mare della mattina con vento forte, la mancanza di sonno e la sedia di legno su cui sedeva da due ore. Chiuse il quaderno dell’omicidio, lasciando per dopo le pagine rimanenti. Allungò una mano a scompigliare il pelo di Lola.
«Andiamo a trovare Double!»
Il cane agitò forte la coda. Double era un suo amico, un bulldog francese che frequentava il centro per animali dove Lola trascorreva quasi tutte le notti e a volte alcuni giorni, mentre la padrona era al lavoro.
Ballard aveva bisogno di lasciarla lì, per poter continuare a lavorare a quel caso.