41

BALLARD

Ballard aveva gli auricolari e ascoltava una playlist stimolante. Era schiacciata tra due agenti delle operazioni speciali, nel retro di un SUV nero, sull’autostrada 10. Erano le sette del mattino e stavano andando a Rialto per arrestare Elvin Kidd.

Due SUV, nove agenti, più uno già in osservazione sul posto, davanti alla casa di Kidd. Il piano era effettuare l’arresto quando Kidd fosse uscito per recarsi al lavoro. Entrare in casa di un ex gangster non era mai una buona idea: molto meglio aspettare che fosse lui a uscire. L’ultimo aggiornamento dall’agente appostato fuori diceva che il pickup e il rimorchio con gli attrezzi erano nel vialetto. Dentro la casa non si notavano luci o movimenti.

Il piano per l’arresto era stato approvato dal tenente delle operazioni speciali, che viaggiava nel SUV di testa. Ballard doveva solo osservare e poi formalizzare l’arresto e leggere a Kidd i suoi diritti, una volta che fosse stato preso in custodia.

Nel secondo SUV, gli agenti conversavano come se lei non ci fosse. Si scambiavano opinioni senza nemmeno un “cosa ne pensi?” o “da dove vieni?”. Era solo un sintomo di nervosismo, Ballard sapeva che ognuno aveva modi diversi di prepararsi all’azione. Lei si era messa gli auricolari e ascoltava i Muse, i Black Pumas, i Death Cab For Cutie e altri. Brani diversi, che l’aiutavano a trovare e mantenere la concentrazione.

Vide il conducente dire qualcosa al rover e si tolse gli auricolari. «Cosa c’è, Griffin?»

«Luci in casa.»

«Quanto manca all’arrivo?»

«Circa venti minuti.»

«Dobbiamo arrivare prima. Kidd potrebbe essere pronto a ballare. Possiamo andare in codice tre sull’autostrada?»

Griffin riferì la richiesta via radio al tenente Gonzalez, nel SUV di testa, e poco dopo accelerarono a centocinquanta all’ora, con lampeggianti e sirene.

Ballard si rimise gli auricolari e ascoltò le parole e il ritmo di Dig Down, dei Muse.

We must find a way

We have entered the fray

Dobbiamo trovare un modo, ormai siamo in pista. Dodici minuti dopo erano a tre isolati dalla casa di Kidd, nel punto d’incontro con due agenti di pattuglia di Rialto, chiamati per una questione di cortesia e rispetto delle procedure. Gonzalez e la squadra del suo SUV erano già in posizione, a un isolato dalla casa dell’indiziato. Appena l’agente di sorveglianza li avesse avvisati che Kidd stava uscendo di casa, si sarebbero mossi.

Ballard si era tolta gli auricolari a metà di Dark Side, di Bishop Briggs, ed era pronta a ballare. Si mise all’orecchio un auricolare wireless collegato al suo rover e si sintonizzò sul canale usato dalla squadra.

Tre minuti più tardi arrivò la chiamata dall’agente appostato. Ballard non sapeva se l’uomo si trovasse in un veicolo, sopra un albero o sul tetto di una casa vicina, comunque riferì che un maschio nero corrispondente alla descrizione di Elvin Kidd era all’esterno della casa e stava sistemando una cassetta degli attrezzi nel rimorchio del pickup. Si preparava ad andare al lavoro.

Il secondo avviso via radio disse che Kidd era davanti alla portiera e stava per salire a bordo. Gonzalez diede l’ordine di muoversi. Il SUV di Ballard scattò in avanti, schiacciandola contro il sedile. Affrontò la curva con uno stridio di gomme e accelerò, come l’adrenalina nelle vene di Ballard.

Il fuoristrada del tenente arrivò per primo sulla scena, bloccando l’uscita dal vialetto al pickup. Un attimo dopo il secondo SUV si piazzò sul prato, tagliando l’altra possibile via di fuga.

«Polizia! Mani in alto! Fammi vedere le mani!»

Seguendo gli ordini del tenente, Ballard restò a bordo, in attesa del via libera. Dalla portiera aperta non riusciva a vedere bene l’abitacolo del pickup. Quello era il momento in cui tutto poteva accadere. Bastava un movimento furtivo o improvviso, un suono, persino il gracchiare di una radio, e poteva scatenarsi una tempesta di fuoco. Ballard decise di non aspettare la chiamata di Gonzalez, anche perché aveva obiettato fin dall’inizio al fatto di restare a bordo del SUV. Scese, estrasse la pistola e fece il giro del veicolo. Sopra i vestiti indossava un giubbotto antiproiettile.

Si fermò quando ebbe una chiara visuale della parte anteriore del pickup. Kidd era all’interno, le mani sul bordo superiore del volante, le dita sollevate. Sembrava si fosse arreso.

Nella cacofonia di voci emerse quella di Gonzalez, che ordinò a Kidd di scendere e camminare all’indietro verso gli agenti. Ci vollero solo pochi secondi, ma sembrarono minuti. Kidd fu afferrato da due agenti, gettato a terra e ammanettato. Poi lo fecero alzare di nuovo, lo spinsero in avanti sul cofano del pickup e lo perquisirono.

«Che succede?» protestò Kidd. «Venite a casa mia e fate un numero del genere?»

Ballard udì il proprio nome all’auricolare della radio. Era il momento di muoversi. Rinfoderò la pistola e andò verso il pickup. Quando parlò fu sorpresa dal tono acuto della propria voce, dovuto all’adrenalina che le irrigidiva le corde vocali. Le sembrò la voce di un ragazzino.

«Elvin Kidd, è in arresto per omicidio e complotto per omicidio. Ha il diritto di restare in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale. Ha il diritto all’assistenza di un avvocato. Se non può permetterselo, gliene sarà fornito uno. Comprende questi diritti così come glieli ho spiegati?»

Kidd voltò la testa per guardarla in faccia. «Omicidio? Chi avrei ucciso?»

«Comprende i suoi diritti, signor Kidd?» ripeté Ballard. «Non posso parlare finché non mi risponde.»

«Sì, sì, comprendo i miei diritti, cazzo. Ora posso sapere chi avrei ucciso, secondo voi?»

«John Hilton. Si ricorda di lui?»

«Non so di che cazzo parla.»

Ballard se l’aspettava. E sapeva che quello era forse l’unico momento in cui poteva affrontare direttamente Kidd. Quando avesse chiesto un avvocato, non sarebbe più riuscita ad avvicinarlo. E poi il caso le sarebbe stato tolto di mano perché l’arresto avrebbe messo in luce tutte le sue azioni non esattamente da manuale. Quello forse non era il posto giusto, ma doveva farlo adesso o mai più. Prese di tasca il miniregistratore e schiacciò play. L’intercettazione della telefonata tra Kidd e Dupree era già impostata al momento giusto. Kidd udì la propria voce dire: «Un lavoro che ho fatto all’epoca. Un ragazzo bianco con un debito troppo grosso».

Ballard spense il registratore e osservò la reazione di Kidd. Le sembrava quasi di veder girare gli ingranaggi nella sua testa, che si fermarono di botto nell’attimo in cui udì la registrazione: aveva capito di aver appena trascorso i suoi ultimi istanti di libertà.

«Ora la porteremo a Los Angeles» disse Ballard. «E avrà la possibilità di parlare con me se…»

Fu interrotta da una voce all’orecchio. L’uomo al posto di sorveglianza. «Sta uscendo qualcuno. Femmina nera, accappatoio bianco. Ha in mano… mi sembra… una pistola! Una pistola!»

Tutti reagirono all’istante, estraendo le armi e voltandosi verso la porta di casa. Nello stretto spazio tra i due SUV apparve una donna, che s’incamminò sul vialetto di pietra. Indossava un accappatoio molto grande, probabilmente del marito, che le permetteva di nascondere la pistola nella manica.

«Non potete portarlo via!» urlò.

In quel momento vide Ballard, un bersaglio libero tra i due SUV e il pickup, con in mano il registratore invece di un’arma.

La donna alzò il braccio, in un movimento che a Ballard sembrò al rallentatore. Ma prima che riuscisse a fare fuoco un lato della sua testa esplose in una pioggia di sangue e cervello. Solo un attimo dopo Ballard udì lo sparo da lontano. Sapeva che era stato l’uomo appostato a colpirla.

La donna piegò le ginocchia e cadde di schiena sul vialetto di pietra che probabilmente il marito aveva costruito di persona.

Gli agenti corsero a mettere in sicurezza la pistola e a controllare la donna. Ballard fece anche lei un passo in quella direzione, poi ricordò Kidd. Si voltò verso di lui, ma non c’era più.

Si precipitò in strada e lo vide correre, ammanettato. Partì all’inseguimento, urlando agli altri: «Sta scappando!».

Kidd era veloce, per un uomo della sua età con scarponi da lavoro e mani dietro la schiena. Ma Ballard lo raggiunse prima che arrivasse in fondo all’isolato e afferrò la catena che univa le manette, riuscendo a fermarlo.

Estrasse la pistola e la tenne contro la coscia.

«L’avete uccisa?» chiede Kidd, senza fiato. «L’avete uccisa, figli di puttana?»

Ballard fece un respiro profondo prima di poter rispondere. Il sudore le scendeva sul collo. Uno dei SUV veniva verso di loro a tutta velocità. Quelli erano i suoi ultimi momenti con Kidd.

«Se l’abbiamo uccisa, è colpa tua, Elvin» disse. «È tutta colpa tua.»