XXIV.

Il cadavere fu rinvenuto all’alba da un pescatore.

-    Era su quello scoglio lì con la sua lenza, - disse Frese ad Amaldi. - È un pensionato, non un vero pescatore. Dice di averla vista da subito. Pensava che prendesse il sole.

-    All’alba? - domandò Amaldi.

-    Quando un’ora dopo ha cominciato a piovere e ha deciso di andarsene ha notato che la donna... il cadavere. .. non si muoveva...

-    Che spirito d’osservazione.

-    È un vecchio, Giacomo. Ed è molto sottosopra. È venuto fin qui per chiederle se aveva bisogno d’aiuto e l’ha vista così.

Amaldi guardò di nuovo il cadavere. La donna era seduta su una sdraio. Occhiali da sole, un fazzoletto sui capelli, camicia legata sopra l’ombelico. Indossava un paio di pantaloncini corti. Due bastoni conficcati nella sabbia reggevano in aria le gambe divaricate. Nelle intenzioni la posa doveva essere sessuale. Un invito alla penetrazione. In realtà, forse per via dei due bastoni, ad Amaldi era venuta in mente la posizione che le donne dovevano assumere durante le visite ginecologiche. L’innesto delle gambe di legno all’altezza dell’inguine non si vedeva ma Amaldi era già stato informato che un perno metallico le teneva insieme attraversando tutto l’addome della vittima. I lembi di pelle, la carne, i tendini e le ossa erano state tagliate con cura e precisione e poi ricucite.

-    Gambe di legno, snodi di metallo. Immagino appartengano allo stesso pupazzo che ha usato per l’antiquaria, - disse Frese.

-    Sembrerebbe. Facciamo comunque un confronto in laboratorio.

-    Sì... certo.

-    Possibile che nessuno abbia ancora scoperto da dove vengono questi pezzi?

-    Da un pupazzo.

-    E il pupazzo? Da dove viene?

-    Non è facile trovare un pupazzo. Anche se antico. Non c’è un solo antiquario in tutta la città che l’abbia trattato.

Amaldi girò intorno al cadavere, in silenzio.

-    Prendeva il sole in questa posizione? - disse poi.

-    Te l’ho detto, Giacomo, è un vecchio. Sono incazzato anch’io ma non prendiamocela con lui. Se anche ci avesse avvertito un’ora prima cosa sarebbe cambiato? È morta da almeno tre o quattro giorni.

Amaldi ciondolò il capo in segno di assenso. Il cadavere era gonfio. Le orde di batteri e microorganismi che corrompevano e trasformavano la carne avevano già iniziato da tempo la loro opera. Si chinò a controllare la sabbia sotto la sdraio.

-    Niente, neanche una goccia di sangue. Non l’ha ammazzata qui, - disse Frese.

-    É cianotica. Potrebbe essere la decomposizione...o un veleno.

-    Sì, il medico sospetta che l’abbia avvelenata. Ci dirà qualcosa di preciso dopo l’autopsia.

-    È quello dell’altra volta? - domandò Amaldi.

-    Chi?

-    Il medico.

-    Sì.

-    Quello giovane?

-    Sì, lui.

-    Un inizio di carriera incoraggiante... Dov’è?

-    Si è dovuto assentare un attimo.

-    Quando avrà finito di vomitare digli che devo parlargli. Non adesso. Domani. Dopo l’autopsia.

-    D’accordo.

-    Foto, impronte, tutto fatto?

-    Sì. Ma niente impronte.

-    Fai rimuovere il cadavere, - disse Amaldi avvistando oltre la scogliera un gruppo di curiosi armati di binocoli. - Hai chiamato il proprietario dello stabilimento?

-    Sta arrivando. D’inverno fa il maestro di nuoto in una piscina. Ma per telefono già m’ha detto che non metteva piede qui dalla fine della stagione buona.

-    E la sdraio?

-    L’assassino ha forzato una cabina. C’è un lucchetto rotto.

-    Conosceva questo posto. Non gli piace improvvisare. Avrà lavorato di notte. Cerca di scoprire se qualcuno ha notato una macchina parcheggiata qui tre o quattro notti fa. Anche se dubito.

-    Ho già mandato due ragazzi nelle ville della zona. Appena abbiamo finito pensavo di fare un salto a villa Cascarino, non è lontana da qui... e magari scambio due parole con la vecchia per quella questione dell’incendio...

Amaldi non rispose.

-    Cosa sta cercando di fare? - si domandò ad alta voce. - Stesso nastrino al collo? Stessi segni di matita? - chiese poi a Frese.

-    Identico velluto, identico colore... stessi segni di matita grassa.

-    Che cosa sta cercando di fare? - si domandò di nuovo Amaldi. - Prende delle braccia, poi delle gambe e le sostituisce in entrambi i casi con braccia e gambe di un pupazzo. Usa del refe, il che ci fa supporre che possa essere un impagliatore. C’è la ragionevole certezza che conservi le braccia e le gambe...

-    ... per costruirsi un nuovo pupazzo, - concluse Frese.

-    Esatto. Ma c’è qualcosa che non quadra. E forse non lo sa nemmeno lui. Devo pensarci su. Ma c’è qualcosa che non quadra.

Frese non intervenne. Sapeva che non bisognava interrompere i pensieri di un investigatore. Spesso le parole facevano venire a galla le sensazioni più nascoste.

-    A una prima indagine mancano due cose. La notifica e le foglie. Dico bene? - prosegui Amaldi.

Frese gli fece segno di sì.

-    Dobbiamo scoprire chi è questa poveretta. Forse l’ha uccisa a casa sua o in negozio, se anche lei ha un negozio. La notifica e le foglie allora dovrebbero essere lì. Ti pare?

-    Come procediamo per l’identificazione?

-    Avete fatto progressi con quelle sedici lettere della notifica precedente?

-    Stanno controllando.

-    Forse qualcuno ne ha denunciato la scomparsa. Per prima cosa cerchiamo di far coincidere i nomi che avete tirato fuori con le denunce di scomparsa di quest’ultima settimana. Non saranno molte. Se siamo fortunati è lì... - si interruppe. Guardò Frese. - Ho detto proprio «fortunati», vero?

-    Facciamo un mestiere del cazzo, Giacomo. Questa ne è la prova più lampante.

Amaldi si allontanò senza rispondere. I piedi gli affondavano nella sabbia. All’improvviso si girò verso Frese.

-    Non ha lasciato neanche un’impronta? - gli urlò per farsi sentire.

-    No. Ha ripulito tutto, - e Frese indicò un rastrello abbandonato alla base delle scale di cemento che portavano alla strada.

Amaldi riprese ad allontanarsi pensando all’assassino. Dovevano identificare la vittima al più presto per stabilire se c’erano legami con l’antiquaria. Bisognava capire come sceglieva le prede per poter anticipare le sue mosse. Decifrare il disegno prima che l’avesse completato. Giunto al rastrello usato dal mostro per nascondere le proprie tracce si fermò di nuovo e guardò in alto. L’assassino aveva fatto circa cento scalini con Il cadavere in spalla, poi una ventina di metri sulla sabbia, aveva forzato il lucchetto di una cabina, preso la sdraio e allestito lo spettacolo. E poi aveva trovato il rastrello e si era messo a ripulire la spiaggia. Alla fine doveva essere esausto. Poiché era logico supporre che l’avesse fatto in piena notte era altrettanto plausibile ipotizzare che avesse una torcia. Possibile che anche questa volta nessuno l’avesse notato?

Amaldi richiamò l’attenzione dell’agente che gli faceva da autista e si fece accompagnare in città. Aveva bisogno di riflettere.

Quando fu nel suo ufficio sgomberò il tavolo di ogni cosa finché fu una superficie desolata. Immaginò che la sua mente fosse il ripiano della scrivania. Notò una macchia. Prese un fazzoletto e la pulì. Giuditta. Un pensiero che non lo lasciava. Si sforzò di concentrarsi sul ripiano. Lo lucidò. Quando si sentì pronto cercò di richiamare gli elementi in loro possesso in ordine cronologico. Innanzitutto la «Strage delle Risaie». Prese il fascicolo che riguardava quel primo, casuale incidente e lo depositò sul tavolo. Ripercorse rapidamente le informazioni che conteneva. Due uomini e una donna. Su uno dei maschi, il vecchio guardóne, aveva infierito rabbiosamente. L’altro era morto quasi immediatamente per un colpo ravvicinato allo stomaco. Presumibilmente l’assassino non si era neanche accorto di lui. L’aveva spazzato via come fosse un cespuglio che gli intralciava il percorso. E poi la donna. xdLe aveva fracassato il cranio dopo averle messo a posto il seno mutilato. In quell’occasione aveva commesso un’incredibile serie di errori. Grossolani. Le sue impronte erano dovunque, soprattutto sul corpo della ragazza. Impronte di mani insanguinate. Impronte che non risultavano da nessun archivio. Impronte di un incensurato. E questo confermava l’ipotesi non solo del raptus ma anche della posizione sociale dell’assassino. Una natura così feroce doveva avere tutta una serie di protezioni e inibizioni culturali. Se fosse stato un poveraccio ignorante la sua malattia si sarebbe rivelata molto prima. E soprattutto non avrebbe avuto strumenti per contrastarla. Invece il loro uomo l’aveva sedata per anni. Aveva ritardato l’inevitabile. Forse aveva trovato un surrogato nella caccia agli animali. Il fucile era caricato a pailettoni micidiali, nati per sventrare e non semplicemente abbattere. Ma le impronte avevano un’altra particolarità. Secondo i periti l’uomo aveva una mutilazione al mignolo della mano sinistra. C’era una sola impronta che lo provasse ma era abbastanza evidente. Il sangue era un ottimo inchiostro e non mentiva.

Il secondo errore che aveva commesso era stato dimenticare la sua attrezzatura poco distante dal luogo del triplice delitto. A dimostrazione che era sconvolto e non padrone di sé. Testimonianza che era la sua prima volta. Tra quelle risaie aveva perso la sua «verginità». Le cose che aveva lasciato non permettevano ancora di risalire a lui ma il refe era un materiale abbastanza raro e questa poteva essere una pista. Sui barattoli di vetro gli esperti avevano rilevato altre impronte chiare che combaciavano con quelle lasciate sulla ragazza. Impronte di quasi tutte le dita, sia della mano destra che della sinistra. Nove in tutto. Mancava l’impronta del mignolo sinistro. La qual cosa confermava senza ombra di dubbio la mutilazione. Un’ispezione più accurata aveva anche rivelato la presenza di una resina sul ceppo di un albero lì vicino. Dunque, rifletté Amaldi, quest’uomo praticava due tipi di caccia. Uno efferato, col fucile, per il puro gusto d’uccidere e quasi certamente per palpare il sangue. L’altro più raffinato, per conservare integre le sue prede. Probabilmente connesso col suo lavoro di impagliatore d’animali. Ma le ricerche in questo senso non avevano dato risultati. Né nella giurisdizione della «Strage delle Risaie» né lì in città. I tassidermisti erano pochi, quasi tutti vecchi e con alibi inattaccabili. Perciò doveva essere un dilettante. Ovvero, dedusse arbitrariamente Amaldi, un sadico.

Chiuse l’incartamento e tornò a figurarsi la sequenza degli avvenimenti. In ordine cronologico veniva l’assassinio dell'antiquaria. Prese il fascicolo del caso e lo depositò accanto all’altro sulla scrivania lucida. Viviana Justic.

-    No! - disse ad alta voce. - No... prima Ajaccio. Prima ha scritto la notifica sul petto di Ajaccio.

Prese il foglio sul quale Ajaccio aveva trascritto il proprio nome e cognome seguendo lo schema delle maiuscole dell’assassino. Lo pose tra la «Strage delle Risaie» e l’omicidio dell’antiquaria. Poi rimase immobile a riflettere. Perché Ajaccio? Ajaccio era una nota stonata. Cercò di ricostruire sommariamente la vita dell’agente: abbandonato e trovato nell’immondizia da uno spazzino; spazzino ossessionato; figlio dello spazzino geloso; Ajaccio affidato a un orfanotrofio; l’orfanotrofio brucia; Ajaccio ustionato; Ajaccio vede l’autore del crimine... Credibile? Lo vede anche a villa Cascarino, sede del nuovo orfanotrofio. Credibile? Ajaccio cresce e va in seminario. Poi si arruola nella polizia. Fine.

«No», pensò Amaldi, «Ajaccio si ammala di cancro e viene ricoverato in ospedale. Non è un personaggio popolare. Non è una notizia che compare sui giornali. Perciò chiunque gli abbia scritto sul petto la notifica per l’antiquaria frequenta regolarmente l’ospedale e l’ha scelto a caso, oppure lo conosceva già da prima e sapeva cosa ne era stato di lui e dove si trovava, oppure entrambe le cose: frequenta regolarmente l’ospedale e lo conosceva già da prima. La casualità è improbabile... questo assassino non fa nulla per caso. Neanche la “Strage delle Risaie”, per quanto non sia stata premeditata e frutto di un raptus, ha una sua logica... un suo disegno. Non fa nulla per caso... quindi... conosceva Ajaccio già da prima. L’ha scelto perché rappresenta qualcosa... Quindi... » Amaldi fissò a lungo il foglio su cui Ajaccio aveva scritto il proprio nome e cognome.

-    Quindi... - disse ad alta voce, - cronologicamente Ajaccio precede la « Strage delle Risaie» ! - e sistemò il foglio all’inizio del tavolo, in prima posizione.

Ajaccio, la «Strage delle Risaie», Viviana Justic e la sconosciuta sulla spiaggia. Ma anche così c’era qualcosa che non quadrava. Amaldi tornò a sgombrare la scrivania e di nuovo la lucidò. Ricominciò daccapo. Considerò solo i due omicidi che erano più chiaramente collegati fra loro. L’antiquaria e la sconosciuta. Braccia e gambe. Stava costruendo un pupazzo umano? Sembrava logico. Ma se fosse stato solo questo allora avrebbe potuto scegliere le sue vittime seguendo semplice-mente un criterio estetico. Belle braccia, belle gambe. Perlomeno secondo i suoi criteri estetici. Questo avrebbe complicato la possibilità della polizia di svelare il suo disegno e di individuare prima di lui la vittima seguente. Bisognava sperare, invece, che le due donne fossero legate da qualcos’altro. Ajaccio? Bisognava scoprire se avevano avuto rapporti con Ajaccio.

Amaldi segnò su un foglio bianco questo primo punto. «Perché Ajaccio? Legami con le vittime?»

Ma continuava a mancare qualcosa al quadro generale. Amaldi chiuse gli occhi e cercò di visualizzare i due cadaveri. Braccia, gambe, posizioni di invito dettate dagli arti di legno, l’antiquaria fissata in un abbraccio, la sconosciuta in una profferta più chiaramente sessuale. Teatro. Rappresentazione. La prima uccisa con un’alabarda, la seconda probabilmente avvelenata. La prima rappresentazione più elaborata. Ma forse questo dipendeva dal fatto che aveva potuto fare la sua regia in un ambiente protetto e non a rischio. Tutto il rischio l’aveva corso con la notifica, il V.I.T.R.I.O.L. degli alchimisti di cui aveva parlato l’odioso professor Avildsen. Nel secondo caso invece si era dovuto sbrigare, era all’aperto, facilmente individuabile se, come era logico aspettarsi, aveva usato una torcia. E forse, a mano a mano che s’avvicinava alla meta, si stancava del teatro. Ma qual era la meta?

Se avesse voluto costruire un pupazzo, quali altri pezzi gli mancavano? Un tronco e una testa. Amaldi non riusciva a immaginare altri snodi. In tutto quattro pezzi. Le due braccia si potevano considerare un pezzo, le due gambe un altro e poi un tronco e una testa. Quattro pezzi, quattro interventi. Quattro interventi, quattro notifiche. La prima lasciata su Ajaccio, la seconda sulla porta dell’antiquaria, la terza, quando avessero identificato il cadavere, probabilmente l’avrebbero trovata nel luogo dove era avvenuto l’omicidio. Da quella sarebbero potuti risalire in tempo alla terza donna? Amaldi era ragionevolmente certo che se la sarebbe presa con delle donne. Ogni delitto di quel genere aveva radici sessuali. Era un atto di sesso e di potere.

«A meno che il suo cacciatore s’accontenti di altri... tre maiali soltanto», aveva detto il professor Avildsen azzardando un’interpretazione del messaggio che l’assassino voleva lasciare con le foglie secche. I conti tornavano. Il primo maiale era Viviana Justic. Il secondo la sconosciuta sulla spiaggia. Il terzo il tronco e il quarto la testa, anche se questi ultimi due non necessariamente nell’ordine. In questo modo il disegno appariva più chiaro. Ed era evidente che l’assassino fosse un cacciatore colto. Chi poteva conoscere le usanze di un popolo selvaggio? Uno studioso. Quante altre persone, oltre al professor Avildsen, avrebbero potuto conoscere quell’informazione e trarne spunto per inscenare tutta la rappresentazione?

«Interpellare Avildsen», scrisse Amaldi come secondo punto sul foglio, con un moto di fastidio all’idea di incontrare nuovamente il docente.

Poi tornò a concentrarsi sulle immagini dei due cadaveri. Braccia uguale gambe, non c’era differenza sostanziale. Pezzi. Scena organizzata. Simbologie: disponibilità, lascivia, invito, probabilmente erotico. Stimoli sessuali esibiti ma sistemati, messi a posto. Disattivati dalla morte. Resi meno pericolosi?

«E che altro?» si domandò.

Allora rivide il nastrino di velluto e il segno della matita grassa.

«Ecco che cosa non quadra!»

Sentì che il battito cardiaco accelerava per l’eccitazione. Era vicino, lo sapeva. Ma vicino a che?

«Vicino al suo modo di vedere le cose», si disse.

Aveva segnato lo snodo della testa, di un pezzo del suo pupazzo di carne umana, ma non quello delle gambe o del tronco, nella sua prima vittima. Eppure gli mancavano anche quelli. Né aveva segnato il tronco nella seconda vittima, che ancora gli mancava. Aveva segnato solo la testa e poi aveva nascosto il segno sotto un nastrino di velluto. Un materiale sessuale, seducente. Un materiale femminile. Ma perché segnare solo la testa?

«Vicino al suo modo di sentire le cose», si corresse Amaldi. «Di... pensarle».

«Due disegni in uno», si appuntò sul foglio.

L’assassino perseguiva due disegni in uno. Il primo era quello del pupazzo umano. Una motivazione sessuale, forse edipica. Una storia di comune violenza alle spalle. Di repressione. Un alto concetto di Bene e Male in lotta fra loro, probabilmente. La necessità di controllare. Di stabilire una volta per tutte chi avesse il potere. Ma il secondo disegno, quello che nella mente dell’assassino era più nebuloso, magari sconosciuto, ma forte a livello inconscio, addirittura il primario motore delle sue azioni, era collegato alla testa. La testa separata dal resto del corpo, dal resto del pupazzo. Una testa cui voleva impedire di pensare? Di ascoltare i messaggi del corpo? La sua testa?

-    Perché una testa che pensa... - disse ancora a voce alta, scandendo le parole, - ... pensa morte.

Il messaggio doveva essere inequivocabilmente doppio. La sua testa pensava morte. Ma ciò che era peggio, la testa di qualcun altro pensava morte. E bisognava porre fine a quei pensieri. Bisognava uccidere la morte.

-    Eleonora Cerusico! - disse Frese affannato entrando nell’ufficio di Amaldi. - Dottoressa Eleonora Cerusico. Dipendente dell’ospedale comunale. Non si presentava al lavoro da cinque giorni e il direttore sanitario aveva sporto una denuncia di scomparsa. Sedici lettere. Coincidono con quelle della notifica. Avevi ragione. Hai fatto centro.

-    Lo stesso ospedale di Ajaccio?

-    Sì...

-    È Ajaccio la pista.