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Gli ebrei
Dopo la vittoria Abu Sufyan, il comandante in capo della Mecca, decise di invadere Medina e di conquistarla. Ma ben presto gli giunse la notizia che Muhammad non era morto e che il suo esercito era schierato sotto la guida di Omar davanti alle porte della città. Inoltre i capi tribù avevano dato ordine alla popolazione di mettersi ai comandi di Uthman e di difendere la città all'interno delle mura. Gli uomini presidiavano gli incroci con la spada in mano, mentre le donne e i bambini erano saliti sui tetti con archi, frecce e pietre per bersagliare i soldati dell'esercito nemico. La Mecca non avrebbe mai sottomesso Medina.
Abu Sufyan rifletté sul a sua decisione e temette di perdere una guerra dentro le mura della città. Non era meglio lasciar perdere e tornare un’altra volta con un esercito più grande?
Medina attendeva l’assalto, ma con grande stupore di tutti Abu Sufyan ordinò la ritirata.
Io, Zayd, ne ho parlato con tutti, ma non sono riuscito a capire il motivo della sua scelta.
Sapeva dai suoi complici che Muhammad era ferito e temporaneamente fuori battaglia. Aveva inflitto gravi perdite al nostro esercito, perché quindi non aveva portato a termine il suo assalto?
Davvero temeva di perdere miseramente lo scontro dentro le mura di Medina?
È possibile: la paura di una sconfitta totale può aver spinto Abu Sufyan a rinunciare all'idea di invadere la città. Sarebbe stata un’umiliazione assoluta per La Mecca se la popolazione di Medina lo avesse annientato con il suo esercito e neanche un soldato fosse riuscito a fuggire per portare alla Mecca la notizia della sconfitta.
Fu così che Abu Sufyan batté in ritirata con il suo esercito.
Per alcuni mesi regnò la pace finché Muhammad guarì dalla sua ferita. Sapeva che La Mecca meditava segretamente un piano per invadere Medina. Ne era al corrente, ma sapeva anche che ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo perché si realizzasse.
E prima di quel giorno doveva sbrigare un’altra faccenda: quella degli ebrei.
Muhammad, che detestava gli ebrei da quando avevano congiurato con l’esercito della Mecca, si rendeva conto che la loro presenza gli avrebbe impedito di vincere qualunque guerra.
Così aspettò l’occasione propizia per risolvere definitivamente la questione.
Suo zio Abbas l’aveva già aspramente criticato per il suo accordo con loro: “Hai fatto una sciocchezza, Muhammad. Gli ebrei ti hanno preso in giro. Perché hai scelto di pregare rivolto a Gerusalemme? Se vuoi il sostegno dei grandi mercanti della Mecca devi pregare rivolto alla Ka’bah, non alla moschea degli ebrei. Non devi voltare le spalle alla Mecca. La Mecca significa grandi commerci e la Ka’bah significa potere. Torna sui tuoi passi! Prega rivolto alla Ka’bah!” Era giunto il momento di rompere la promessa fatta agli ebrei.
“Gli ebrei ci hanno tradito”, dicevano tutti a Medina. “Hanno passato alla Mecca informazioni segrete sul nostro esercito.” Scoppiarono le prime liti e arabi ed ebrei iniziarono a discutere ferocemente e ad azzuffarsi giorno e notte.
Un giorno al bazar un ebreo fece un complimento a una donna araba. Lei non gradì e chiese a degli uomini arabi di difendere il suo onore. Arabi ed ebrei vennero alle mani. Lo scontro degenerò e gli uomini si picchiarono a sangue, finché un arabo morì.
Allah reagì prontamente con una rivelazione in cui dava a Muhammad l’ordine di cui aveva bisogno: “Muhammad! Rompi l’accordo con gli ebrei! Non sei tenuto a mantenere la parola!
Sono traditori. L’ebreo è traditore.” Muhammad ruppe l’accordo e fece pressione sugli ebrei affinché consegnassero il colpevole.
Quelli si rifiutarono, ma il capo della tribù di Bani Nasir lo invitò a discutere della questione.
Muhammad accettò l’invito e andò. Ma gli ebrei avevano architettato un piano per ucciderlo. Lui lo scoprì e riuscì a mettersi in salvo.
La sua pazienza era finita e Muhammad prese la decisione che voleva prendere già da tempo. Diede agli ebrei ventiquattr’ore per lasciare la città. Ogni famiglia poteva portare via i beni che riusciva a caricare su un cammello, ma né oro né denaro.
Gli ebrei ignorarono l’ordine, si ritirarono dentro le mura del loro quartiere e chiusero le porte. Muhammad aspettò un’intera settimana, ma gli ebrei rimasero nelle loro case, rifiutando di andarsene.
“Più vi ribellerete e più dura sarà la vostra punizione. Ora saranno tre le famiglie a dover caricare i loro beni su un unico cammello.” Ma gli ebrei non lo ascoltarono neanche questa volta e riuscirono a resistere altre due settimane.
A quel punto Muhammad fece una cosa che non avrebbe dovuto fare: diede fuoco alle loro palme da dattero, distruggendo le loro piantagioni. Questo ferì gli ebrei e spezzò la loro resistenza.
“Andatevene o darò fuoco anche alle vostre case. E in più adesso non potrete portare via nulla: è il nuovo ordine di Allah.” Gli ebrei non erano più in grado di resistere: demolirono personalmente le loro case, strappando le finestre dai muri, e distrussero i loro averi per non lasciare niente ai seguaci di Muhammad. Poi abbandonarono la città a mani vuote.
Ma mentre si ritiravano le loro donne, battevano con forza i tamburi ed esultavano, per dimostrare a Muhammad che non avrebbe mai potuto annientare il loro spirito.
Ora Muhammad era il signore incontrastato di Medina. E decise di sbarazzarsi anche degli ebrei che vivevano nei villaggi vicini. Ma prima di farlo modificò per sempre due decisioni che aveva preso in precedenza: La Mecca è più importante di Gerusalemme: d’ora in poi pregheremo rivolti alla Ka’bah.
Non digiuneremo più insieme agli ebrei.
Poi esortò gli abitanti arabi della città a unirsi sotto la sua bandiera verde.
La città esultò. I commercianti chiusero i negozi e si schierarono tutti dietro Muhammad.