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Abu Naim

 

Dopo la mia visita a Sayyid, presi un po’ di pane, qualche dattero e dell'acqua e andai a piedi sul monte Hira. Volevo provare cosa significasse passare una notte in quella  grotta come Muhammad.

Più mi al ontanavo dalla Mecca e proseguivo in direzione delle montagne, più si allargava la vista sul a città. all'inizio ne sentivo ancora i rumori, poi anche quelli svanirono. Adesso ero l’unico a trovarmi fuori dalle mura.

Al calare della sera iniziai la salita.

Di notte il monte Hira aveva un’aura meravigliosa. Mentre salivi, eri circondato da un blu infinito, con le stelle che ti facevano l’occhiolino e una luna radiosa.

Per buona parte la montagna è facilmente accessibile, ma le ultime tre balze di roccia che portano alla vetta sono difficili da scalare. Bisogna sapere esattamente da che parte arrampicarsi. nella grotta accesi una candela. I ragni avevano tessuto molte tele e c’erano penne di uccelli per terra. Le spazzai via e mi sedetti.

Cercai di leggere un libro che avevo portato con me, ma non riuscivo a concentrarmi. La montagna e la notte mi tenevano nella loro presa.

Qui per un intero lustro, Muhammad aveva trascorso molte notti e qui aveva sentito le voci.

E non poteva essere altrimenti: chiunque avrebbe finito per sentire voci in quella  grotta.

Dopo un po’ spensi la candela e mi coricai su un fianco, infilando le mani a mo’ di cuscino sotto la testa.

Mi vennero in mente ricordi sparsi della mia infanzia, poi, a poco a poco, diventai una cosa sola con la notte e mi sentii fluttuare insieme alle stelle dell'universo.

“Zayd!” disse una voce. “Ti abbiamo visto!” Mi vennero le lacrime agli occhi pensando alla solitudine di Muhammad in tutti quegli anni.

Voleva salvare da solo il suo popolo dal declino e cercava aiuto in cielo.

Inspirai profondamente, come se potessi sentire ancora il suo odore.

Il suo odore era svanito, ma in alto, negli interstizi delle pietre sopra il mio capo, si vedevano ancora le tracce del fumo della sua lanterna, che ardeva d’olio d’oliva.

Non resistevo più in quella  grotta. Uscii e ripresi a salire. Arrivato in cima alla montagna vidi, sul versante opposto, uno spettacolo che non mi aspettavo, uno spettacolo che mi fece bene. Vidi decine di animali riposare sparsi sui pendii immersi nell'oscurità e piccoli falò attorno ai quali erano radunati i pastori.

C’era silenzio, non si muoveva nessuno ed era come se le greggi, i pastori e i loro falò fossero parte dell'universo.

Ecco cosa vedeva Muhammad ogni notte.

Da piccolo anche lui portava le greggi a pascolare su quei monti.

Avrà sicuramente avuto dei contatti con i pastori. Avrà chiesto loro del latte. Avrà mangiato con loro.

Andai da un gregge all'altro a parlare con i pastori. Erano tutti giovani, non sapevano niente dell'epoca in cui Muhammad viveva nella caverna. Mi indirizzarono verso i loro colleghi più anziani. alle prime luci dell'alba feci ritorno alla Mecca.

La sera dopo andai alla ricerca dei pastori di un tempo, ma erano tutti morti o rimbambiti o straparlavano. Negli anni il sole cocente aveva danneggiato la loro memoria. I loro ricordi erano come tralci di datteri rinsecchiti. A parte un vecchio pastore che trovai sul letto di morte. Si chiamava Abu Naim e sosteneva di avere visto spesso Muhammad in montagna.

Mi inginocchiai accanto a lui e, tenendogli una mano tra le mie, accostai l’orecchio alle sue labbra.

“Lo incontravo di frequente di notte su in montagna. Dormiva in quella  piccola grotta. Ogni tanto, passando, mi fermavo a fare due chiacchiere. E a chiedergli se aveva bisogno di qualcosa. Tutti i pastori lo conoscevano.” “Siete riuscito a vedere che cosa faceva in quella  grotta?” Il pastore chiuse gli occhi e rifletté alcuni istanti.

“Una sera lo vidi coricato per terra. La grotta era piccola. Aveva i piedi appoggiati alla parete e le braccia intrecciate sotto la testa.” Abu Naim era molto debole, non riusciva a parlare a lungo. Sciolsi un pezzetto di zucchero candito in un bicchiere di tè e lo aiutai a berne un sorso.

“Che cos’altro potete dirmi di lui?” “Usciva spesso a fare una passeggiata nel cuore della notte. Andava a parlare con i pastori.

A volte, invece, se ne stava seduto come un lupo in cima alla montagna. Vedevamo la sua figura da lontano. Era diventata un’immagine famigliare per noi. Non capivamo perché lo facesse, ma allora capitava spesso di vedere altre persone farlo. Erano i dotti.” “Era sempre solo o andava a trovarlo qualcuno?” “Non l’ho mai visto in compagnia di nessuno. Veniva solo a sedersi ogni tanto con noi pastori.

Restavamo lassù per mesi e a volte quando veniva dalla città ci portava della frutta fresca. E noi gli davamo latte, yogurt e formaggio.” Non potevo approfittare oltre di Abu Naim. Gli misi in mano due monete d’oro. Sapevo di renderlo felice, perché, quando tra poco sarebbe morto, avrebbe avuto qualcosa da lasciare ai suoi eredi.