Capitolo sessantasette
Avevano avuto il permesso di assistere all’operazione attraverso le videocamere dei droni americani e dei caschi. La sala operativa era gremita, Cate e gli altri stavano osservando le riprese mentre due elicotteri con a bordo dodici uomini delle forze speciali sorvolavano a bassa quota e a grande velocità le quiete vallate alpine.
A due chilometri dalla fattoria, sei uomini si calarono dal primo elicottero come ragni dalla tela, e proseguirono a piedi.
Dopo un breve giro di ricognizione, il responsabile dell’operazione diede il segnale. Granate stordenti furono lanciate attraverso le finestre della fattoria, mentre gli uomini facevano irruzione dal tetto, dalle finestre più alte e dalle porte. Ci fu una breve sparatoria confusa, le pallottole simili a macchioline bianche nella ripresa a visione notturna. Uno dopo l’altro, nel conciso gergo operativo delle forze speciali, gli uomini confermarono che i nemici erano morti.
Ma ancora nessuna notizia di Mia. Nella sala operativa sembravano stare tutti con il fiato sospeso.
Poi un soldato si avvicinò a una grande scatola di legno e alzò il coperchio. Dentro c’era una figura incappucciata e inguantata. Le tolsero il cappuccio, e sugli schermi apparve il volto di Mia, frastornata dalle granate stordenti ma viva, gli occhi argentei come quelli di un gatto nell’alone verde della ripresa.
Nella sala operativa si levarono grida festanti. Cate abbracciò la prima persona che le capitò a tiro, che il caso volle essere Panicucci. Da sopra la sua spalla, vide Aldo Piola affondare la testa tra le mani per il sollievo. Il generale Saito tirò un pugno in aria, per poi venire trascinato in un nutrito gruppo di ufficiali che ballavano, abbracciati, come i cosacchi nella prisyadka. In ogni angolo dalla sala c’erano uomini che si asciugavano le lacrime.