Capitolo ventisette

 

 

Cate tornò a Venezia, ma invece di andare al quartier generale dei carabinieri, si diresse a Palazzo Balbi nel sestiere di Dorsoduro.

Nel vecchio palazzo affacciato sul Canal Grande, che ospitava la giunta regionale, cercò l’ufficio di Vivaldo Moretti e domandò di incontrarlo alla segretaria dalle curve impressionanti.

Finalmente dallo studio uscirono i membri di una troupe televisiva, impegnati a parlare animatamente tra loro. Poco dopo, comparve il politico in persona con alcune carte, per poi sparire di nuovo. Tuttavia, doveva aver comunicato con la segretaria via email perché, pochi minuti più tardi, la donna le disse: «Può entrare adesso».

L’ufficio di Moretti era piccolo e confortevole, con dei fiori freschi su un tavolino tra due eleganti divani B&B Italia. Nel vederlo alzarsi per farla accomodare, le tornò in mente l’intervista a un giornale in cui il politico aveva detto di preferire fare affari sul divano e sesso alla scrivania, al contrario di molti suoi colleghi. La battuta aveva rafforzato la sua immagine pubblica di incorreggibile vecchio sporcaccione. Ma anche la sua reputazione di uomo che stringeva alleanze e agiva, invece di pensare alle scartoffie.

Era più basso di quanto apparisse in televisione. Il lifting al viso era evidente, ma in qualche modo la pelle tirata intorno agli occhi enfatizzava l’espressione di sfavillante divertimento invece di nasconderla, mentre il reticolo di capelli sullo scalpo le ricordò un vigneto curato. Con l’aggiunta del naso a patata e del mento sporgente, di certo non si poteva definire un bell’uomo. Ciononostante, Cate avvertì la forza straordinaria del suo fascino.

«Dunque», esordì lui. «Credo di sapere cosa l’ha spinta a farmi visita, capitano».

«Giù l’ha chiamata».

Moretti fece spallucce, come a dire che la lealtà di uomini come Giù era inevitabile. «Quello che mi è meno chiaro è come pensa che io possa esserle utile».

«Giù mi ha detto che al Club Libero le piace un tavolo in particolare, accanto alla pista, da dove vedere cosa succede. Ho pensato che, sedendo in quel posto, lei possa aver visto qualcosa di utile».

«Ah. È vero, sì, ero al locale sabato scorso. Ma purtroppo», fece un sospiro teatrale, «il tempo per stare seduti a guardarsi intorno è sempre così poco. Anche se alla mia età l’attrattiva di un’ombra di prosecco e di qualche chiacchiera è più che sufficiente, sabato le mie compagne erano più energiche di me e mi hanno trascinato nella mischia. Temo di non aver visto nulla se non dei giovani che si divertivano».

«Ha per caso incrociato uno di questi due?». Gli mostrò le foto del ragazzo con i dreadlock e della sua amica tatuata.

Lui tirò fuori un paio di occhiali e scrutò le immagini, poi scosse il capo. «No, mi rincresce».

«Con quale frequenza va in quel club?».

L’uomo rifletté. «Qualche volta all’anno, non di più».

«Non ha paura che possa finire sui giornali?»

«È un rischio, certo», disse, con le spalle alzate e un sorriso disinvolto. «Ma dopotutto, che vita sarebbe senza rischi? Non c’è niente di peggio che evitare il piacere nella speranza di appagare l’opinione pubblica. È venuta per ricattarmi? In tal caso, la avviso che resterà delusa».

La domanda la colse alla sprovvista. «Certo che no. Vuole chiedermi di mantenere il segreto sulla sua presenza al club?».

Lui parve ugualmente sorpreso. «Certo che no. Anche se spero che non la renda di pubblico dominio a meno che sia necessario ai fini dell’indagine».

«Non vedo perché debba esserlo».

«Eccellente. Dato che ci stiamo così simpatici, capitano, mi chiedo come potremmo proseguire questa conversazione. Verrebbe a cena con me?».

Cate scoppiò a ridere e Moretti si finse offeso. «Ho forse detto qualcosa di divertente? Pensavo che magari potremmo andare al Metropole, che di recente ha ottenuto una seconda stella Michelin. Ma non al ristorante; la gente è così cordiale che verrebbe apposta al nostro tavolo per parlare di politica, mentre io vorrei piuttosto entrare in confidenza con lei. C’è una suite incantevole al secondo piano con una splendida vista su San Giorgio. Ed è proprio a due passi dal quartier generale dei carabinieri».

Lei scosse il capo. «Non ho intenzione di venire a letto con lei, signor Moretti».

«Vivaldo, la prego. E sebbene mi rincresca molto per la sua risposta, capisco. Forse potremmo comunque bere qualcosa insieme. Mi circondo di gente interessante, capitano, e credo che lei mi interesserebbe molto».

Cate avrebbe voluto mandarlo affanculo, ce l’aveva sulla punta della lingua. «Magari un giorno», si ritrovò invece a dire. Dato che si era offeso così poco per il rifiuto, era difficile prendersela per le sue avances. Forse, pensò, era proprio quello il segreto del suo successo con le donne: buone maniere, perseveranza e un elemento di sorpresa. «Tornando ai filmati… Quello che mi lascia perplessa sul Club Libero è come mai qualcuno abbia sentito il bisogno di buttarci una molotov. All’inizio ho pensato che potesse essere qualcuno come lei, che aveva sentito dell’indagine e voleva assicurarsi di non venire smascherato come cliente. Ma dopo averle parlato, sono abbastanza sicura che lei non farebbe una cosa del genere».

Moretti chinò il capo. «Grazie».

«Allora chi?».

L’uomo rifletté. «Sa, in fin dei conti un criminale non è così diverso da un politico. Entrambi, a volte, prendono decisioni non tanto per i loro effetti, ma per il messaggio che danno».

«Cosa intende?»

«Forse qualcuno vuole attirare l’attenzione sul ruolo del locale nel rapimento. Forse fa tutto parte del piano perché questa faccenda diventi uno dei grandi misteri italiani».

Cate rimase in silenzio, per ragionare sull’ipotesi.

«L’intervista che ho appena fatto…», disse con un cenno alla porta. «Il giornalista voleva sapere se sono d’accordo con la chiusura di questo sito, Carnivia. A quanto sembra, la gente dice già che negando ai rapitori quella piattaforma, Mia verrebbe liberata».

«Lei non è d’accordo?»

«Credo sia una risposta semplicistica. Però mi pare che in questo caso l’opinione pubblica sia tutto. E in momenti del genere la gente vuole l’azione, non la prudenza».

«Il sito non ha fatto nulla di illegale».

Il politico alzò le spalle. «Troveranno un modo per chiuderlo. È sempre così. E con le elezioni alle porte, può star certa che si parlerà molto più delle solite sciocchezze». Si alzò. «Arrivederci, capitano Taddei. Spero che la nostra amicizia continui a sbocciare».

«Lo spero anch’io», gli rispose, sorpresa di scoprire che lo pensava sul serio.

«Al nostro prossimo incontro, allora». Le tese una mano, e quando lei vi appoggiò sopra la propria la portò alle labbra e la baciò sulle dita.

Mentre usciva dall’ufficio, avrebbe giurato che la prosperosa segretaria le facesse l’occhiolino.

Profanato
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