Capitolo cinquantadue

 

 

«Gli stessi nomi continuano a ripresentarsi», rifletté Piola. «Dal Molin. Le forze armate statunitensi. E ora Conterno».

«Ma la società di Conterno ha tratto profitto dai contratti americani. È comprensibile che ora voglia aiutarli», obiettò Cate.

La camera di Piola allo Stucky era diventata la loro sala operativa temporanea. Ora che, proprio come aveva previsto Piola, la centrale era sommersa da chiamate di persone che affermavano di aver visto Mia ovunque – nel proprio paesino appena un’ora prima, in sogno, o seduta in quell’esatto momento in un bar a leggere una guida turistica – era meglio evitare campo San Zaccaria.

«Comunque, è stato strano vedere quanto poco senso di potere emanasse», disse Piola. «Quasi fosse soltanto una figura di rappresentanza».

«Credo che una volta arrivate alla terza generazione, queste società vengano in realtà gestite da un consiglio di amministrazione in cui gli eredi occupano una posizione solo in virtù del nome che portano». Avvicinando a sé il portatile, digitò alcune parole nel motore di ricerca. «Interessante».

«Cosa?»

«L’amico di Holly ed ex agente CIA, Ian Gilroy, siede all’interno del consiglio della Conterno». Continuò a scrivere. «Proprio come ha fatto il suo predecessore Bob Garland».

«Allora con le generazioni non viene tramandato solo il nome di famiglia, ma anche il legame con i servizi segreti americani».

«Forse Marco vuole solo essere prudente. La Conterno è una società internazionale ora. È difficile contestare i consigli geopolitici di un ex capo dell’intelligence».

«Vero, ma mi chiedo se non ci sia sotto dell’altro. Garland e Ambrogino Conterno facevano entrambi parte all’Ordine di Melchisedek. È bastato nominarlo che Marco si è rianimato, visibilmente orgoglioso di essere il Maestro Veneziano o come l’ha chiamato lui…».

«Non abbiamo mai avuto motivo di pensare che l’Ordine non rientri nella legalità», gli ricordò.

«Ma se non ricordo male, sei stata tu la prima ad avere dei sospetti al riguardo».

Annuì. «È grazie a loro se è stato fondato l’istituto psichiatrico di padre Uriel. Ho sempre avuto il sospetto che fosse un modo per comprare il suo silenzio riguardo all’Operazione William Baker. Ma chi ha istituito l’Ordine? E con quali fondi?». Prese una foto dalla scrivania. «E questa? Di cosa si tratta?». La fotografia sembrava mostrare una coppia a letto, ma il sangue schizzato sulla parete raccontava una storia diversa.

«Questa è l’archeologa, la dottora Iadanza, e questo il professor Trevisano», rispose Piola. «Non ho uno straccio di prova che sia una, ma sono sicuro che sono stati uccisi per evitare che parlassero».

«Perché…?»

«Non lo so». Si alzò e cominciò a camminare per la stanza. «Tuttavia è inverosimile che si tratti di una semplice coincidenza. Il rapimento di Mia viene messo in relazione con la base, idem lo scheletro. Il rapimento di Mia porta a Conterno, idem lo scheletro. E ora due innocenti studiosi che stavano investigando sui resti vengono assassinati». Chiuse la mano a pugno e l’agitò, come se volesse sferrare un colpo. «Allora mi chiedo: scoprendo come ha fatto a finire lì quel cadavere, avremmo forse trovato una nuova pista per il caso di Mia? Quando andai a trovarlo, il professor Trevisano mi parlò di una studiosa di Roma specializzata sui partigiani e con cui avrei potuto parlare». La guardò. «Probabilmente dovrò fermarmi là a dormire. Vuoi venire?».

Era combattuta. Per lei quell’intimità mentale e quello scambio di idee erano ciò che l’elettrizzava di più durante un’indagine. Ma c’era anche l’hacker di Daniele da trovare, e per una serie di motivi non voleva parlarne con Piola – non ultimo, il desiderio di presentarsi davanti al generale Saito con una scoperta solo ed esclusivamente sua, come prova inequivocabile che lui e gli altri suoi colleghi si erano sbagliati sul suo conto.

Piola interpretò il suo silenzio diversamente.

«Mia moglie mi ha detto di stare fuori casa per un po’», disse con tranquillità. «Dice che devo decidere… capire quali sono le mie priorità. La famiglia o… il lavoro. E la verità è che non lo so più. Pensavo di sì, ma mi sbagliavo».

Cate si chiese se sua moglie si accorgesse di quel piccolo gesto che faceva con la mano, e se vederlo le procurasse lo stesso piacere che dava a lei. Ripensò a tutte le volte che erano passati con naturalezza dal lavoro al sesso e viceversa; i loro corpi in perfetta armonia, proprio come i loro cervelli. Sarebbe stato così semplice rifarlo adesso. Magari avrebbe perfino aiutato – una fantastica scopata in onore dei vecchi tempi. E dopo magari sarebbero riusciti a vedere le cose abbastanza chiaramente da prendere una decisione su tutto: sul matrimonio, sul disastro in cui erano finiti, sul loro futuro.

Ma Cate scosse la testa. «Ho parecchio lavoro da fare qui a Venezia».

Non era questo che le stava chiedendo, lo sapevano entrambi, ma fecero finta che lo fosse. Solo uno di loro, però, sapeva che anche la risposta a quella domanda taciuta era in parte una bugia.

Profanato
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