Capitolo quarantasette
A bordo della sua piccola Fiat 500, Holly guidò verso nord, in direzione della catena montuosa che si ergeva dalle pianure venete come un’enorme fortificazione minacciosa dalla merlatura ricoperta di bianco. Il viaggio durò quasi due ore, ma quasi non se ne rese conto. Stava pensando alla sua missione, che consisteva, essenzialmente, nello spiare il suo stesso comandante.
Lo stesso codice di lealtà non scritto che diceva di non contestare gli ordini ricevuti, diceva anche di non dubitare delle persone che li impartivano. La gerarchica aveva sempre ragione, e anche nel caso in cui gli eventi avessero dimostrato il contrario, i superiori sarebbero stati giustificati dal fatto che fossero talmente gravati dal peso del comando, che una cattiva decisione era sempre meglio di niente. Bisognava trovarsi di fronte a un vero e proprio tradimento di fiducia prima di fare un qualsiasi reclamo, ufficiale o meno che fosse.
Diffidare delle azioni del colonnello era una violazione del codice talmente grave, che probabilmente Holly sarebbe finita davanti alla corte marziale se qualcuno avesse scoperto le sue vere intenzioni.
Ma poi c’era Mia. Holly non aveva detto a nessuno che ogni volta che la vedeva in quegli orribili filmati vi rivedeva se stessa. Sapeva cosa voleva dire crescere in una base militare, essere parte di quel mondo ma non da soldato. Aveva finito con l’arruolarsi, ma c’era stato un tempo in cui avrebbe potuto ribellarsi senza tanti problemi.
Sapeva anche cosa voleva dire sentirsi soffocata dalle aspettative degli altri riguardo al fatto che fosse una donna.
Sapeva perfino cosa voleva dire essere torturata. Come aveva detto a Daniele, il suo addestramento includeva un livello base del programma SERE (Survival Evasion Resistance Escape). Il modulo “Resistance” era pensato per dare un’idea di cosa aspettarsi se catturati dal nemico, e dopo la prima guerra contro l’Iraq, per le aspiranti ufficiali donne era stato aggiunto un modulo sull’umiliazione sessuale in cui i cadetti dell’ultimo anno ricoprivano il ruolo dei torturatori. Alla fine del corso di Holly, tutti i ragazzi avevano finto di essersi limitati a calarsi fino in fondo nella parte, ma Holly sapeva che stavano mentendo. Per quanto potesse immedesimarsi nel personaggio, nessun attore – figuriamoci dei giovani ufficiali – sarebbe mai riuscito a imitare l’eccitazione negli occhi dei suoi aguzzini. Per lei quella era stata la parte peggiore: scoprire quello che le persone che stimava e considerava amiche pensavano veramente di lei. Era venuta a sapere che alcuni cadetti avevano sdegnosamente etichettato le compagne “panta” – diminutivo di “pantaloni” – perché considerate utili solo per essere messe a cavallo delle gambe. Non si sarebbe mai aspettata di sentirselo ripetere con tale rabbia, o di sentire i cadetti con cui si era addestrata offrirsi di scaldarle quella sua fica da lesbica frigida mentre lei era lì, appesa seminuda e in catene sotto i getti di acqua fredda che le spruzzavano dai tubi.
Se c’era anche una minima possibilità che quello che stava facendo potesse aiutare Mia, l’avrebbe fatto.
Ad Asiago abbandonò l’autostrada. Presto si trovò a fiancheggiare enormi versanti montuosi su strade strette, con la fiancata destra dell’auto mai a meno di trenta centimetri da ripidi strapiombi. I pendii sopra di lei erano ricoperti da una spessa coltre di neve, i rami dei pini incurvati sotto il suo peso. Adorava la montagna – ogni inverno suo padre aveva portato lassù tutta la famiglia per sciare – ma più di una volta, imbattendosi in un pullman o un camion che ondeggiava pericolosamente su un tornante, ringraziò gli italiani per le loro piccole auto maneggevoli.
La Red Troop si stava addestrando in una vallata boschiva sulle cime innevate. Individuò la base in una radura isolata e non fu sorpresa di non vedere in giro anima viva, a parte un paio di cuochi intenti a pelare patate. Uno dei due le disse che l’unità – circa sessanta uomini – non sarebbe tornata prima di pranzo.
«Sempre che fili tutto liscio», aggiunse. «Resti nei paraggi così vedrà i palloni».
«I palloni?».
Annuì. «Lo Skyhook. Si stanno esercitando all’evasione-evacuazione. Il primo è salito venti minuti fa».
Holly osservò i boschi innevati, incuriosita. Lo Skyhook – o il Sistema di recupero terra-aria Fulton, per usare il nome corretto – non veniva quasi più usato se non dalle unità di ricognizione, che avrebbero potuto avere l’esigenza di evadere da una regione nemica inaccessibile agli elicotteri. Per questo motivo, un velivolo lanciava uno zaino con un pallone aerostatico per ogni soldato, un’imbracatura e una bombola di gas. Uno per volta, i soldati gonfiavano il proprio pallone che rapidamente li sollevava in cielo. In seguito, un dispositivo a forma di giogo presente sul velivolo afferrava la fune e il soldato veniva tratto in salvo. Era semplice, niente di arzigogolato, ma si giocava tutto sul filo dei secondi: se gonfiavi troppo presto, ti ritrovavi a fluttuare nell’etere senza nessun aereo in vista e niente ti impediva di morire congelato; al contrario, se aspettavi troppo, o venivi catturato dalle forze nemiche, che avendo visto lo zaino precipitare erano riuscite a localizzarti, o perdevi del tutto la corsa.
«Com’è organizzata l’esercitazione?», domandò. «Una squadra di fuggitivi e una di nemici?».
L’uomo annuì. «E per assicurarsi che siano motivati, hanno stabilito che i ragazzi che danno la caccia mangeranno solo se riusciranno a prenderli. Ho scommesso su di loro. Anche se mi dispiace per i fuggitivi. Se vengono catturati subiranno una vera e propria simulazione di cattura».
Holly rabbrividì. Le unità più a rischio di cattura, come le truppe di ricognizione, venivano sottoposte al livello C del programma SERE. Senza dubbio, la simulazione di cui stava parlando quell’uomo sarebbe stata peggio di qualsiasi esperienza lei avesse mai vissuto.
«A quanto pare comincia lo show», aggiunse l’uomo, guardando verso l’alto.
Holly riconobbe il rombo di un aeroplano. I boschi innevati facevano rimbalzare il suono impedendole di capire da quale parte stesse arrivando. Proprio in quell’esatto momento, un pallone rosso – di circa un metro di diametro, valutò Holly – si alzò tra gli alberi in lontananza acquistando sempre più velocità. Dopo circa cento metri oscillò, poi continuò a sollevarsi, più lentamente. Doveva essere per via dello strattone dovuto al sollevamento di un corpo umano, si rese conto Holly. Una figura con dei vestiti da combattimento bianchi comparve al di sopra del bosco, trasportata in cielo dal pallone. Holly poteva solo immaginare la forza di quello strattone mentre il pallone ti sollevava da terra, o la sensazione che si provava a essere trascinato in aria in quel modo.
«Dicono che sia uno sballo da paura», disse il cuoco con gli occhi fissi sulla scena. «Ma badi bene, lo dicono quando sono di nuovo al sicuro sulla terraferma».
Trenta secondi dopo apparve un altro pallone. In cielo si vedeva anche l’aereo adesso, mentre scendeva in picchiata verso gli alberi, con il giogo a forma di Y sulla fusoliera che mirava alla fune attaccata al primo pallone. Dopo aver recuperato il soldato, virò per dirigersi verso il secondo. L’intervallo di tempo tra l’ascesa di un pallone e l’altro, notò Holly, era perfettamente calcolato perché combaciasse con il tempo di virata del velivolo. Un altro pallone stava già apparendo al di sopra degli alberi.
Salirono quattro palloni: tutti e quattro vennero recuperati dall’aeroplano. Il cuoco sorrise. «A quanto pare i miei soldi sono salvi. Era un gruppo di sei uomini».
Trenta minuti dopo ritornò la prima camionetta di uomini. Mentre mangiavano, Holly spiegò al tenente a capo dell’unità che desiderava parlare con i soldati riguardo al maggiore Elston. Per il momento evitò di fare il nome di Carver.
«Sicuro», rispose immediatamente. «Se può servire ad aiutare la figlia del maggiore, ci parli pure quanto vuole».
Ne approfittò per chiedergli della missione della Red Troop.
«Cinque missioni in Afghanistan nel giro di sei anni. Nella provincia di Vardak. Un posto difficile». Indicò il paesaggio circostante. «Tutti pensano che in Afghanistan faccia caldo ma le montagne sono come in questi quattro mesi dell’anno».
«La Red Troop è mai stata implicata in qualche…». Esitò. «Qualcosa di controverso?»
«Di che tipo, sottotenente?»
«Non saprei dire con esattezza. Ma qualsiasi cosa che abbia potuto rendere il maggiore Elston il bersaglio di una vendetta. Interrogatori, o la morte di civili, per esempio».
Si grattò la testa. «Non che io sappia. Nell’ultima missione abbiamo catturato alcuni obiettivi per farli interrogare dai ragazzi dell’intelligence. Avevamo nomi, foto e localizzazione, siamo andati nel territorio talebano e li abbiamo acciuffati. Ma ci siamo limitati a catturarli e a passarli a quelli dell’intelligence. Un servizio taxi in piena regola, pallottole incluse».
Quando parlò con i soldati, le confermarono tutti la versione del tenente. Il maggiore Elston, era chiaro, godeva del loro sincero rispetto. Un soldato le raccontò di come il maggiore avesse rischiato la vita per salvare un pastorello che si era trovato nel mezzo di uno scontro a fuoco tra i talebani e le sue truppe. «Lo portò in braccio in quella terra di nessuno, camminando all’indietro per fargli da scudo con il corpo», disse l’uomo. «L’ho visto con i miei occhi».
Ma quando fece il nome di Carver, ebbe in risposta solo alzate di spalle e sguardi persi. Non lo vedevano quasi mai, fu la risposta più comune. Mentre loro si trovavano nelle basi di prima linea, in territorio talebano, Carver era o con le unità di comando alla base aerea di Bagram, o era occupato a fare avanti e indietro dal Pentagono.
Un altro soldato le raccontò di come Elston si fosse preso cura di un soldato ferito. «Joe è stato colpito da un proiettile alla gamba che ha segnato la fine della sua carriera militare. Il maggiore si è mantenuto in contatto con lui e l’ha aiutato a sbrigare tutte le pratiche per la Tricare. Joe aveva cominciato a rovinarsi con la droga, ma il maggiore lo ha aiutato a uscirne. Di tanto in tanto continua a fargli visita; Joe non ha famiglia e così ha deciso di rimanere in Italia. Credo per non allontanarsi troppo dalla truppa».
Holly lo capiva.
Anche suo padre avrebbe voluto ritirarsi in un paesino sulle colline toscane per andare a Camp Darby ogni settimana e approfittare della sua condizione di veterano per acquistare prodotti e benzina tax-free, finché il primo ictus non mise prematuramente fine al suo servizio militare. «Hai il suo indirizzo? Mi piacerebbe parlargli».
«Certo, l’ho salvato sul cellulare». Glielo mostrò. «Dalle parti del lago di Como. A Joe piacciono le montagne. Per quanto mi riguarda, ho visto abbastanza montagne da bastarmi per il resto della vita. Mi fanno venire nostalgia del sandbox», aggiunse, usando lo slang militare per parlare del deserto.