Capitolo trentuno
Camminava avanti e indietro nella sua cella. Due passi da un lato, tre dall’altro. Ma senza più torcersi le mani in agonia, come quella mattina.
Mia stava riflettendo.
Senza fermarsi, alzò una mano e la fece scorrere sul cranio. La corta peluria soffice le diede una sensazione fredda e strana. Le fece tornare in mente quando baciava suo padre sulla guancia e l’accenno di barba la pungeva.
Quando Arlecchino l’aveva riportata in cella, aveva visto di sfuggita lo schermo del computer. Mostrava il suo viso stupefatto, immortalato in primo piano. Senza la familiare criniera di lunghi capelli castani la sua testa le era parsa minuscola e gli occhi stranamente enormi. Anche quello le aveva fatto ricordare qualcosa.
Quando le giovani reclute arrivavano alla caserma Ederle, i loro tagli a spazzola erano poco più lunghi del suo.
La sua mente era stata attraversata da alcune parole. Un codice di condotta – non quelle stronzate sull’essere una signora che suo padre aveva fatto incorniciare e le aveva regalato per Natale due anni prima; le aveva appese in camera solo per fargli piacere. No, in quel momento le passavano per la testa alcune frasi del Credo del soldato.
Io sono un soldato americano.
Io sono un guerriero membro di un gruppo.
Io sono addestrato ed efficiente, fisicamente e mentalmente resistente.
Non accetterò mai la sconfitta.
Di norma suo padre era piuttosto reticente sul proprio lavoro, ma quando Michael era piccolo aveva cercato di rispondere alle sue domande, per quanto stupide o cruente, perché come la maggior parte degli ufficiali sperava che il figlio avrebbe seguito le sue orme nell’esercito. E una volta Michael aveva chiesto quale fosse il dovere di un soldato in caso di cattura: provare a scappare, per tenere occupate le risorse nemiche, o accettare il proprio destino e risparmiare all’esercito americano di rischiare altre vite per andare a prenderlo?
Il padre aveva replicato senza esitazioni: «Il dovere di un soldato di una qualsiasi delle mie unità in caso venga fatto prigioniero è di restare in vita, punto. Sa che alla fine andremo a prenderlo, a prescindere dal tempo che ci vorrà o dal costo che comporterà. Il suo unico compito è di esserci ancora quando arriveremo».
Al ricordo di quell’episodio, si sentì pervasa dal coraggio, che prese a scorrerle nelle vene da una riserva nascosta. Era sempre stato lì, in attesa di un’occasione come quella, ne era certa. Sin da piccola aveva capito di essere molto più coraggiosa di Michael. Quando si trattava di saltare da un trampolino alto o di tenere testa a un bullo, non aveva esitazioni. Eppure nelle famiglie come la sua, erano i maschi ad essere incoraggiati a chiamare il padre «signore», a farsi tagliare i capelli dal barbiere della base, a prendere parte alle esercitazioni sulla teleferica e ai lanci con il paracadute che si tenevano ogni estate.
“Verranno a prendermi alla fine. Il mio unico compito è di esserci ancora quando arriveranno”.
Sentì il tintinnio della catena e la porta si aprì. Ma questa volta, invece di indietreggiare, si alzò e si voltò in direzione di quel suono, pronta a fronteggiare i suoi rapitori.
“Sono una guerriera membro di un gruppo. Non accetterò mai la sconfitta”.