Capitolo diciassette
«Ci sarà una conferenza stampa domattina alle nove», annunciò Saito alla stanza affollata. «Nel frattempo, nessuno dovrà vederlo fino a che non avrò chiarito la cosa». Fece segno a un tecnico di far partire il filmato.
Il pool di carabinieri era stato messo insieme a tempo di record. Al caso erano già stati assegnati diciotto ufficiali e sessanta appuntati. Da Milano stavano arrivando degli specialisti nei rapimenti, e alcuni americani, con incarichi vaghi e nomi altrettanto inafferrabili, avevano organizzato un centro di comunicazione sicuro in una stanza lì accanto. Cate scorse il colonnello Piola tra la calca di ufficiali e distolse lo sguardo, determinata a non incontrare quello di lui.
La prima cosa che il filmato mostrava era un titolo crudo, scritto con un semplice software di videoscrittura.
In seguito al rapimento, la prigioniera viene legata e privata del senso della vista e dell’udito tramite l’uso di paraorecchi, occhiali a mascherina e cappucci.
Comparve l’immagine sgranata di una figura incappucciata e legata, sdraiata nel retro di un furgone. Era stata girata con un cellulare o una videocamera rudimentale: a ripresa era tremolante e non del tutto a fuoco. Quasi subito si lesse un altro titolo.
In genere, il processo di accoglienza crea un’apprensione significativa.
La videocamera oltrepassò la porta di una stanzetta in pietra viva, una specie di stalla. Per terra c’era una sagoma seduta, ammanettata.
Le avevano tolto il cappuccio, ma si vide chiaramente che era una ragazzina solo quando alzò lo sguardo. Era terrorizzata.
La privazione del sonno e la manipolazione dietetica vengono normalmente usate come fasi preparatorie.
Poi si vide la ragazza che beveva da una bottiglietta di Ensure, ma di nuovo solo per pochi secondi.
Il colloquio iniziale è relativamente sereno.
Seguì un primo piano della giovane. La videocamera indietreggiò a scatti per mostrare che era seduta su una sedia. La stanza si riempì di mormorii inquieti nel vedere che indossava solo la biancheria intima e che le braccia e le gambe erano state assicurate alla sedia con del nastro adesivo.
Una mano invisibile aggiustò l’inquadratura sullo sfondo. Dietro la ragazza c’era una specie di striscione con un cerchio approssimativo in cui erano contenute una A gigante con sotto una D e una M più piccole. Al lato c’era un uomo con una maschera da Arlecchino, impassibile.
La prigioniera può ricevere vestiti, cibo o altri incentivi in cambio della sua collaborazione.
L’uomo parlò attraverso la maschera in un inglese dall’accento marcato. «Mia, hai qualcosa da dire?»
«Sì». La ragazza guardò direttamente in camera. Cominciò troppo in fretta per via della paura e fu difficile cogliere ogni parola. «Azione Dal Molin chiede che venga indetto immediatamente un referendum, cosicché gli abitanti del Veneto possano decidere da soli quanto segue: primo, se interrompere con effetto immediato tutti i lavori nella base militare Dal Molin; secondo, se definire un piano per la demolizione degli edifici già conclusi». Fece una pausa e inspirò, rallentando il ritmo. «Terzo, se il sito debba tornare di proprietà dello Stato entro la fine dell’anno; e quarto, se tutte le truppe americane che occupano illegalmente l’Italia settentrionale debbano andarsene entro il primo agosto». La voce le tremò. «Mi hanno detto che posso aggiungere un breve messaggio per i miei genitori. Mamma, papà…».
L’immagine svanì di colpo, sostituita dall’ennesimo titolo.
Continua.
Il video terminò e i carabinieri nella stanza sospirarono.
«Si chiama Mia Elston», disse Saito. «Sedici anni, figlia di un ufficiale americano di stanza alla caserma Ederle, scomparsa dalla notte scorsa. Per quanto riguarda Azione Dal Molin, non ne avevamo mai sentito parlare fino a questa mattina, quando alcuni membri si sono introdotti nel cantiere per fare dei graffiti, in quello che adesso pare un tentativo coordinato di farsi pubblicità prima di diffondere il filmato». Fece un cenno con la testa in direzione di Piola. «Per un colpo di fortuna, ci hanno chiesto di indagare sull’incidente, e il colonnello Piola ha già raccolto i nomi e gli indirizzi dei responsabili. Li prenderemo alle quattro di notte, per sfruttare al massimo l’effetto sorpresa e disorientarli, e li porteremo qui per gli interrogatori. Tutti. Una squadra di quattro uomini per ogni indirizzo e un’unità aggiuntiva di tre agenti resterà sul posto in cerca di qualsiasi prova possa indicarci dove la tengono. Chiaro?».
Le teste nella stanza annuirono.
«Coscia guiderà il team che analizzerà il filmato. Flamini attiverà i protocolli ufficiali e manterrà i contatti con l’unità speciale. La squadra di Horst penserà al furgone che è stato visto allontanarsi dal probabile luogo del sequestro. Tutti gli altri sono stati assegnati ai gruppi che preleveranno i sospettati. La lista completa è sul tavolo, insieme a un fascicolo con le poche informazioni che abbiamo».
Gli agenti uscirono dalla stanza, parlottando piano tra loro. Dopo un’occhiata all’elenco, Cate si attardò.
«Sì, capitano?», disse Saito nel vederla.
«Non c’è scritto in che squadra sono, signore».
«Perché non è stata assegnata a nessuna. Può tornare ai suoi altri incarichi».
Cate non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Con tutto il rispetto, signore, ma se non fosse per me non avremmo la pista del club, o del furgone, o del telefono della ragazza». Pensò fosse meglio non menzionare il suo ruolo nel contattare Daniele Barbo e nel convincerlo a consegnare il filmato alle autorità. «Credo di essermi dimostrata utile».
«Forse. Ma dimentica una cosa». Il generale accennò alla porta. «Il colonnello Piola ha un ruolo chiave nell’indagine. E ho ricevuto istruzioni dalla commissione disciplina di non farvi lavorare insieme fino a quando la faccenda della denuncia che lei ha sporto nei suoi confronti non sarà risolta».
«Ma è una follia», ribatté lei, furiosa. «Ho sporto denuncia perché lui ha cercato di togliermi un caso. E adesso la commissione disciplina sta facendo esattamente lo stesso».
«Allora sporga denuncia contro di loro», disse Saito, voltandosi. «O contro di me. Magari se ne presenterà abbastanza la sua carriera ne gioverà, capitano. Anche se, personalmente, ne dubito».
Cate tornò alla sua scrivania fremente di rabbia. Lanciò un’occhiata alle email e vide che, mentre era stata fuori, la lista di reati minori da esaminare era quasi raddoppiata. Cliccò sul primo.
CF56431A. Videocamera di un turista sparita in un bar.
Non era la prima volta che rimpiangeva la denuncia contro Aldo. Il principio era giusto, ovviamente; ma quasi di certo aveva sbagliato a metterlo in pratica. Guardandosi indietro, aveva capito che probabilmente aveva voluto emulare l’atteggiamento per certi versi idealistico di Piola nei confronti del lavoro. Be’, eccome se aveva imparato la lezione. Se eri un colonnello uomo, potevi cavartela con le nozioni romantiche di correttezza e giustizia. Se eri un capitano donna, dovevi imparare a sfruttare il sistema.
«Fanculo», imprecò, mentre prendeva il telefono. «Sono Cate», disse quando le risposero. «Come va da te?»
«Sono tutti impazziti», rispose Holly. «Arriva gente da ogni parte. E gli Elston sono completamente sotto shock. E lì?»
«Stanno cercando di togliermi il caso, solo perché ci lavora anche Aldo. Puoi parlare con il maggiore Elston? Se lo convincessi a insistere un po’, i miei capi dovranno lasciarmi dove sono».
«Se vuoi». La voce di Holly era circospetta. «Ma Cate, che mi dici di Aldo? Non sarebbe più logico mantenere una certa distanza?»
«Per lui andrà bene. È una grossa indagine e quel che conta adesso è trovare Mia. C’è abbastanza spazio per entrambi».