39
Jung prese posto dietro Suijderbeck e Servinus sulla pantera della polizia. Sentì che la stanchezza gli affondava lentamente le unghie nella carne mentre fissava le rosse cifre digitali che scandivano i tediosi minuti del mattino.
08.16
08.17
Quanti minuti sarebbero passati? pensò. Prima che succedesse qualcosa.
Cento? Mille?
C'era davvero qualcosa che facesse presumere che Wim Fingher effettivamente si trovasse lì a Sorbinowo? E non da qualche altra parte, in un posto qualsiasi?
Se gli fosse capitato di sentire la radio anche solo per un minuto quel mattino, ormai doveva sapere che lo stavano cercando. Che era un capo di selvaggina che tutti stavano cacciando; e, anche se era un pazzo omicida, doveva comunque avere abbastanza buon senso da allontanarsi di lì, no?
In bicicletta oppure a piedi.
Attraverso i boschi.
Non si poteva supporre una certa logica anche in un pazzo della sua specie?
«Voi che ne pensate?» domandò.
«Mah, proprio non saprei» disse Servinus. «E tu, cosa pensi?»
«Difficile dirlo. Sarebbe più comodo se...»
«Zitti!» ruggì Suijderbeck, sistemandosi meglio gli auricolari. «Come hai detto?... Ok!... Bene!... Dove?... Dopo il ponte? Quale cazzo di ponte?... Sì, capisco. Ci indirizzo gli altri. D'accordo, chiudo!»
«Ah!» esclamò poi, abbassando gli auricolari così che gli restarono ap-pesi intorno al collo. «Hanno trovato la bicicletta. Ora non può essere troppo lontano, diavolo!»
«Dove?» chiese Jung.
«Sulla provinciale, il ponte fra i laghi. Subito oltre.»
«Ok» disse Jung. «Vado là a dare una mano.»
«Che cazzo...» imprecò Reinhart, aggiustando la messa a fuoco.
«Che c'è?» chiese il commissario.
Abbassò la leva del gas e il motore si spense.
«C'è una ragazzina seduta su un masso, sola, sull'altra sponda. Guarda!»
Reinhart passò il binocolo e indicò la riva opposta. Van Veeteren passò avanti e indietro sull'acqua e sul bosco prima di inquadrare il punto giusto.
«Sì, merda...» disse. «Sì, in effetti dev'esserci una colonia, lì da quelle parti.»
«Accendi di nuovo il motore» esclamò Reinhart. «Non può starsene seduta lì, cazzo!»
Dopo un paio di tentativi falliti, il fuoribordo ripartì scoppiettando e puntarono dritto attraverso il lago; Reinhart semidisteso a prua con il binocolo, Van Veeteren sulla panca di poppa, raggomitolato contro il vento e gli spruzzi.
Le canoe sono più adatte a me, pensò il commissario. Decisamente più adatte. Anche se ancora non sono uscito da questa ruota per scoiattoli, si capisce.
«Ehilà, ciao» disse l'uomo, alzandosi.
Lei si fermò. Si scostò i lunghi capelli dal viso e lo guardò socchiudendo gli occhi.
«Ciao» ricambiò il saluto.
«Che ci fai qui?» chiese lui.
«E tu?»
L'uomo rise.
«Mi piacciono, i tipi come te» rispose. «Mah, non faccio niente di speciale. Pensavo di cercare qualche fungo... se ce n'è già.»
«Ce n'è» disse lei, annuendo. «L'altro giorno ne abbiamo raccolti una cassetta intera... anche se la maggior parte l'abbiamo dovuta buttare. Le si-gnorine sostenevano che non erano buoni, ma credo che era solo perché non avevano voglia di pulirli... Perché non hai niente dove metterli? E co-s'è quello?»
Indicò l'aggeggio di gomma che lui teneva in mano.
«Questo...?» fece lui, sorridendo. «Vuoi che ti faccia vedere come si u-sa?»
Lei guardò l'ora.
«Mi sa che non c'è tempo» spiegò. «Dovevo solo cercare il mio ferma-capelli, l'ho perso qui ieri...»
«Il tuo ferma...?» fece lui, e deglutì.
«Sì, dev'essermi caduto proprio qui intorno.»
Fece un gesto con il braccio.
«Ti aiuterò a cercare.»
Lei gli scoccò un sorriso.
«Grazie! Ottimo. Vieni, allora!»
«Che ci fai qui?» chiese Reinhart.
La ragazzina scivolò giù dal masso.
«Come?»
Loro smontarono dalla barca e la tirarono in secco sulla stretta striscia di sabbia.
«Stiamo cercando una persona» spiegò il commissario. «Non vi hanno detto che non dovevate rimanere da sole, oggi?»
«No... anzi sì, ma sto aspettando una compagna.»
«Una compagna?» le fece eco Reinhart.
«Sì. Doveva solo andare a prendere una cosa.»
«E cosa?»
«Un fermaglio per i capelli.»
«E dove l'ha lasciato, eh?» chiese Van Veeteren, impaziente.
«L'ha perso ieri su nel bosco.»
Indicò con un cenno del capo.
«Come ti chiami?» chiese Reinhart.
«Ruth Najda. Si può sapere chi siete voi?»
«Siamo poliziotti» spiegò Reinhart. «Quindi dici che la tua amica è andata su nel bosco per cercare il suo nastro...»
«Fermaglio» lo corresse Ruth Najda. «Non nastro.»
«Sì, sì. Quand'è che si è allontanata, allora?»
La ragazzina guardò l'orologio e fece spallucce.
«Dieci minuti fa, più o meno. Ha detto che ci avrebbe messo solo cinque minuti, ma ormai ne sono già passati tredici e mezzo.»
«Porca miseria!» esclamò Reinhart. «Vieni, facci vedere dove è andata!»
«Perché siete così...?» cominciò Ruth Najda, ma il commissario la interruppe.
«Spicciati!» ruggì. «Bisogna fare in fretta, e questo non è un gioco!»
«Ok, allora» disse la ragazzina, e fece strada attraverso gli ontani.
«Come va?» urlò Suijderbeck nel microfono. «Non potete spegnere quel cazzo di motore, così riesco a sentire cosa dite?»
«È difficile far volare gli elicotteri senza motore» spiegò la voce. «Ma abbiamo intravisto una persona, un attimo fa... potrebbe trattarsi del soggetto. E i ragazzi giù sotto si stanno muovendo nella direzione giusta.»
«Bene!» gridò Suijderbeck. «Fate solo in modo che non vi sfugga, perché altrimenti vengo su personalmente e vi sbatto fuori a calci. Sono stato chiaro?»
Ci furono un paio di scariche.
«Tu sei Suijderbeck, vero?»
«Sì. Perché?»
«Mi sembrava di aver riconosciuto il tuo stile, ecco tutto.»
« Over and out» disse Suijderbeck.
Fu Reinhart a scorgerli per primo.
I lunghi capelli biondi della ragazzina baluginarono un attimo in mezzo a un gruppo di pini, e poi comparve la schiena di Wim Fingher, che però scomparve di nuovo. Quindi eccoli a figura intera tra due massi erratici sporgenti e coperti di muschio, prima la ragazzina e poi... dietro di lei, vi-cinissimo, la mano stretta intorno a un manganello nero... l'assassino.
Van Veeteren si fermò di colpo. Reinhart inciampò; ritrovò l'equilibrio e cercò a tastoni la propria arma, ma non ce ne fu bisogno... perché nello stesso istante ci fu un crepitio fra le sterpaglie e due colleghi in uniforme si precipitarono sulle due figure. Il primo si lanciò su Wim Fingher, con un tuffo che non avrebbe sfigurato in qualsiasi film americano di serie B, pensò il commissario. Lo gettò a terra al primo colpo, mentre l'altro si piazza-va a gambe larghe e dalla distanza di un metro puntava la pistola contro la testa dell'assassino.
«Prova a muoverti anche solo di un millimetro, brutto bastardo, e ti faccio schizzare le cervella» gli spiegò con pazienza.
Un intervento davvero molto professionale, e il commissario tutto d'un tratto si sentì sopraffare dalla stanchezza.
Una stanchezza infinita, e si rese conto che non dormiva da più di ventiquattr'ore.
«Perché l'avete fatto?» domandò Helene Klausner.
«È stato necessario» spiegò Reinhart. «Era malato.»
«Malato?»
«Sì» disse Reinhart. «Ti ha messo le mani addosso?»
«Le mani addosso? No, mi ha solo aiutato a ritrovare il mio fermaglio.
Questo qui.»
Sventolò una cosa di stoffa color celeste. Il commissario annuì.
«Ottimo» disse. «Ma voi dovevate fare colazione. Filate via, adesso!»
«Okay. Ciao, allora!»
Rimasero a guardare le due ragazzine che, a passo lento e svogliato, si avviavano verso l'edificio rosso un po' più giù lungo la spiaggia.
«Posso avere in prestito la tua maschera adesso?» Sentirono che chiedeva la ragazzina castana. «Sono rimasta ad aspettarti tutto il tempo, e tu avevi promesso...»
«Certo» ripose allegramente la bionda, e si raccolse i capelli con un movimento esperto. «Facciamo colazione, prima.»
Il commissario si schiarì la gola e andò a sedersi sulla barca.
«Bene» disse. «Vuole essere così gentile da salpare, sovrintendente?»
Kluuge cercò di guardare dentro la cornetta del telefono.
Erano le tre del pomeriggio, lui era steso sul suo letto e Deborah stava giusto massaggiandogli le spalle e il torace. Era seduta cavalcioni sopra di lui e poteva sentire il suo pesante frutto contro la propria pancia. Sia in senso psichico che fisico era un momento divino... senza alcun dubbio. Ed ecco che c'era il commissario Malijsen al telefono!
«Perché diavolo non mi hai informato?» urlava. «Dovresti pur capire che non sei in grado di gestire faccende del genere per conto tuo, è stata solo una fortuna sfacciata che non sia andato tutto quanto a rotoli! Provvederò personalmente perché ti...»
Kluuge infilò il ricevitore sotto il cuscino e rimase tre secondi a riflettere. Poi lo tirò fuori di nuovo.
«Chiudi il becco, maledetto babbeo!» gridò, e mise giù.
«Bravo» disse Deborah.