12
Quando finalmente riuscì a trovare il corpo, il sole era tramontato da un pezzo. L'oscurità aveva cominciato a infittirsi in mezzo agli abeti e, per un attimo confuso, si domandò se non si trattasse di una sorta di illusione otti-ca. Un bizzarro miraggio, quell'improvviso biancore di giovani carni che l'abbagliava da sotto le sterpaglie; e che forse sarebbe sparito, se solo si fosse decisa a chiudere gli occhi e a convincersi che in realtà non c'era.
Ma lei non chiuse gli occhi. La voce interiore che l'aveva guidata fin lì non le concedeva di chiudere gli occhi. Solo di agire, e di portare a termine l'incomprensibile compito che le aveva affidato.
Quella forza assoluta, imperativa.
Da dove veniva in realtà, quella voce che la guidava? Non lo sapeva, ma probabilmente era l'unica fonte d'energia in suo possesso, nell'incubo che stava vivendo. L'unica cosa che la teneva in piedi, e che l'aveva indotta a prendere quelle misure e a fare quei passi. Ovviamente doveva trattarsi di qualcosa di profondamente radicato in lei; un lato di cui nella vita quotidiana e prima di allora non aveva mai dovuto servirsi, ma che adesso prendeva in mano le redini della situazione e controllava che ciò che andava fatto venisse effettivamente eseguito. Una sorta di riserva, pensò, un pozzo sconosciuto dal quale attingere forza, ma che più tardi - in un lontano futuro, e volesse Dio che quel giorno arrivasse presto! - avrebbe dovuto provvedere a coprire con un pesante coperchio di oblio. Lasciando che l'erba del tempo ci crescesse sopra fitta e rigogliosa, come diceva la canzone -
come diavolo faceva a pensare alle canzoni in quel momento? - così che né lei né nessun altro essere umano potesse immaginare che uso avesse fatto della sua acqua. E nemmeno che quel pozzo fosse mai esistito.
In un lontano futuro.
La sorgente. La sua forza. La voce interiore.
Adesso si era fatto buio sul serio. Doveva essere rimasta a fissare quella cosa incomprensibile a lungo, anche se non ne era stata consapevole. Accese un attimo la torcia tascabile, ma capì che la luce non era sua alleata in quella faccenda e tornò a spegnerla. Scostò qualche ramo ed espose il corpo esile e nudo per intero. Piegò le ginocchia e lo afferrò sotto la schiena e le gambe; si stupì per un istante della rigidità dei muscoli e delle articola-zioni, e nel ricordo le passò velocemente l'immagine del parto di una ca-valla cui aveva assistito molti anni prima, e del puledrino nato morto.
Il corpo non era pesante; decisamente sotto i cinquanta chili in ogni ca-so, e riusciva a trasportarlo senza particolare sforzo. Esitò un attimo fra diverse alternative, finché non arrivò in un posto dove la voce interiore si fe-ce nuovamente sentire. Con cautela, come per mostrare una qualche sorta di perverso rispetto, sistemò il cadavere in posizione semiseduta contro un tremulo, un pioppo enorme con un firmamento di foglie fruscianti, e cominciò a coprirlo con ciò che riuscì a trovare: rami e sterpaglie e foglie secche dell'anno prima.
Senza nasconderlo, naturalmente. Solo coprirlo un po', in nome della decenza.
Quando ebbe terminato, era così buio che non poté neanche esaminare il proprio lavoro, ma, spinta dallo stesso strano senso di rispetto, rimase comunque un attimo immobile a capo chino e con le mani intrecciate.
Forse recitò una preghiera. O forse nella sua mente vagarono solo parole smarrite.
Poi fu attraversata da un lampo di terrore incandescente; tornò indietro lesta e recuperò il badile dove l'aveva lasciato. Proseguì fuori sulla strada e si affrettò ad allontanarsi con tutta la rapidità che le gambe le consentiva-no.