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La quarta persona che perse la vita per gli eventi legati al campo estivo organizzato dalla Vita Pura nei boschi di Sorbinowo quell'estate fu un certo Gerald deGrooit.
DeGrooit aveva cinquantasette anni e da oltre due decenni lavorava co-me responsabile dell'attualità al giornale «Telegraaf», gli ultimi tre anni in posizione dirigenziale. Aveva moglie e due figli, e la fama di essere un buon marito e padre, esperto e competente nella sua professione, ancorché un tantino collerico quando in redazione il ritmo diventava un po' troppo stressante; e l'infarto che pose fine alla sua carriera di giornalista e alla sua esistenza terrena in realtà non giunse come una sorpresa per la cerchia più intima dei suoi colleghi di lavoro. Avere la responsabilità di gestire, con la redazione a ranghi ridotti a causa delle ferie, due notizie-bomba come l'incendio doloso di Stamberg e l'omicidio del prete a Sorbinowo - nella stessa infausta giornata! - ecco, per il redattore deGrooit fu proprio la goccia che fece traboccare il vaso.
Probabilmente il «Telegraaf» era anche l'unico quotidiano dell'intera nazione che non avesse un reporter a Waldingen in quel torrido mercoledì.
Almeno, il sovrintendente Reinhart considerò che mai in vita sua aveva visto così tanti pennivendoli in una volta sola. Non in un bosco, almeno.
Mentre la squadra addetta all'esame del luogo del delitto gironzolava ancora all'ora di pranzo nella canicola all'interno della zona sbarrata alla ricerca di indizi, Reinhart stabilì il rapporto di presenza fra le forze dell'ordine e il quarto potere a circa venticinque contro settantacinque.
In percentuale, naturalmente. In numero reale le cifre andavano quasi raddoppiate. Venti uomini delle volanti di Oostwerdingen, Rembork e Haaldam erano stati chiamati in tutta fretta; la poco fortunata pattuglia addetta alla ricerca delle tracce era di nuovo sul posto e insieme con gli investiga-tori, i medici e i tecnici giustificava pienamente il fatto che tutte le trasmis-sioni speciali alla radio come alla televisione parlassero di mobilitazione generale. Se davvero era stato uno dei segni distintivi della Vita Pura (almeno dopo il primo processo contro la setta) quello di mantenere un profilo basso nella pratica della fede, ebbene quel giorno tale desiderio venne frustrato in misura quasi caricaturale. Notiziario dopo notiziario, per tutto il pomeriggio e la sera, reporter eccitati strombazzarono le ultimissime da Waldingen, Sorbinowo e Stamberg. Una mezza dozzina di psicologi e altri esperti di scienze comportamentali di diverse scuole si espresse baldanzo-samente su questo e quest'altro, così come una manciata di criminologi, un gruppetto di aderenti a sette religiose (non necessariamente collegati alla Vita Pura), due teologi barbuti, un ex piromane e un vescovo in vacanza.
A Waldingen non andava molto meglio. A poca distanza dal luogo del ritrovamento (situato circa quattrocento metri a sinistra del luogo del ritrovamento numero uno e circa seicento metri dal cosiddetto scoglio) furono ben presto organizzate delle piccole comodità a beneficio di tutte le persone coinvolte: due pratiche toilette portatili (una per ogni sesso), uno spac-cio di birra e bibite, un chiosco che vendeva panini e due banchetti ambu-lanti che preparavano hot dog. La città di Sorbinowo aveva routine flessi-bili e collaudate, quando si trattava di far fronte a un'affluenza improvvisa di turisti.
Una prima conferenza stampa (più tardi riportata in centoundici media nazionali, calcolò qualcuno) si tenne tra le due e le due e mezzo fuori sulla terrazza dell'edificio principale della colonia, e non fu affatto un successo.
In un paio di occasioni, contro la direzione delle indagini fu sferrata una critica così diretta che il sovrintendente Suijderbeck si vide obbligato a da-re una lavata di capo a un reporter della radio, pesante sia di fisico che di parole, in termini tali che dopo si guadagnò una reprimenda dal guardasi-gilli in persona.
Sì, proprio un mercoledì infernale.
* * *
Verso le diciotto, la squadra investigativa duramente provata decise di lasciare Waldingen nelle mani del corpo di vigilanza di Oostwerdingen insieme con reporter, gente comune e Tizio, Caio e Sempronio eventualmente rimasti sul posto. Le tracce e i fili conduttori che si erano potuti salvare erano stati salvati. Le investigazioni che si erano potute fare erano state fatte, gli interrogatori dei vicini (le famiglie Fingher e Kuijpers) si erano conclusi (almeno la prima tornata), e le spoglie terrene del pastore Jellinek erano state composte nel bodybag e viaggiavano nella loro stessa carovana in direzione di Sorbinowo.
Su consiglio di Reinhart, Kluuge aveva ordinato due ore di riposo, prima di tornare nuovamente a sedersi intorno a un tavolo per continuare e appro-fondire la discussione; una decisione che fu accolta con controllato entusiasmo.
Per parte sua, durante questa tregua, Reinhart si isolò nella sua stanza.
Jung cenò insieme a Suijderbeck e Servinus al Florian, mentre Tolltse e Lauremaa, a quanto pareva, scelsero di fare un picnic e una breve nuotata nel lago.
Il commissario andò a casa dalla sua Deborah e le disse che la amava, e che aveva intenzione, non appena ne avesse avuto il tempo, di intraprende-re studi indirizzati a un settore professionale completamente diverso.
Guardiano di faro, frate trappista o qualsiasi altra cavolo di occupazione.
Dopo che ebbe parlato per la terza volta con il portiere dell'hotel Glossmann a Stamberg, e ricevuto la stessa risposta negativa circa il signor Van Veeteren (commesso viaggiatore in strumenti a fiato in legno e libretti), Reinhart si arrese e invece telefonò a Winnifred Lynch. Parlarono venti minuti di amore, di ostetricia, di bei nomi e del fatto se poteva far bene be-re vino rosso durante la gravidanza, e quando ebbe appeso il ricevitore fu colpito da un paio di secondi di vuoto assoluto durante i quali non ebbe la minima idea di dove si trovasse.
O perché.
Ma poi gli tornò in mente.
* * *
«Bene, adesso vi faccio io il riassunto» esordì Suijderbeck. «Non ho la forza di stare ad ascoltare qualcun altro, dovete scusarmi... e non corregge-temi se sbaglio.»
«Siamo tutt'orecchi sordi» disse Reinhart, ma Suijderbeck non colse la battuta.
«Oscar Augustinus Jellinek è rimasto cadavere a Waldingen per circa dieci giorni. Non c'è nulla che stia a indicare che non sia morto proprio quella famosa domenica sera in cui è successo tutto il resto. Il 21 luglio.
Perché avrebbe dovuto fuggire e nascondersi per poi tornare per farsi ammazzare, ecco, è una cosa che almeno io non capisco... anche se sono pronto ad ammettere che ci sono un bel po' di altre cose in questa zuppa che non riesco a capire.»
«Sei in buona compagnia» disse Lauremaa.
«Contrariamente alle due ragazzine uccise» continuò Suijderbeck, «il pastore Jellinek non presenta nessun segno di violenza sessuale... per prendere a prestito l'elegante formulazione di Servinus alla TV.»
«Ma va' a...» accennò Servinus.
«Sempre a differenza delle ragazze, è deceduto in seguito a trauma cra-nico. Che cosa dice l'ultimo referto del medico legale?»
Kluuge cercò il foglio.
«Vari colpi violenti inferti con un oggetto affilato. Ancora non si sa di che cosa si tratti... qualcosa di piuttosto pesante con i bordi affilati... o almeno un bordo affilato.»
«Quanti colpi?» domandò Jung.
«Più di quanti fossero necessari» rispose Reinhart. «Dieci o undici. Probabilmente l'assassino ha continuato a colpire anche dopo che Jellinek era morto. Forse è andato subito a segno, ma non era sicuro...»
«Non particolarmente professionale, in altre parole» riprese Suijderbeck.
«Quasi spinto dal panico, piuttosto. Se dobbiamo credere agli esperti... diversi colpi sul petto e nella zona scapolare, anche... Sì, un accenno di disperazione c'è senz'altro, nel quadro.»
«E nessuna resistenza» aggiunse Jung.
«Chiaramente» disse Servinus. «Ma ci vorrà ancora qualche giorno prima che l'analisi sia completa.»
«Che cosa stanno cercando?» domandò Kluuge. «Frammenti sotto le unghie e cose del genere?»
«Sì» rispose Reinhart. «E capelli e forfora e impronte digitali.»
«Dopo dieci giorni?» si stupì Tolltse. «Può essere davvero una buona idea?»
«La forfora è quasi impossibile da eliminare» affermò Jung, grattandosi la testa.
«C'è stata anche quella pioggia torrenziale, poi» ricordò Kluuge. «Quando è stato...»
«Adesso vorrei riprendere la mia esposizione» lo interruppe Suijderbeck. «Probabilmente neanche lui è stato ucciso dov'è stato ritrovato, il nostro caro pastore. Anche se questa volta l'assassino ha cercato di occultare il cadavere... una pura coincidenza che quei cagnetti l'abbiano fiutato. Una montagna di vecchi rami e rametti d'abete, sì, l'abbiamo visto con i nostri occhi... eppure avrebbe potuto essere nascosto ancora meglio.»
«Se ce ne fosse stato il tempo» intervenne Servinus.
«Il tempo, sì...» disse Suijderbeck, con aria pensosa.
«La signorina Miller non doveva procurarci caffè e panini?» si domandò Reinhart maneggiando con aria incerta pipa e sacchetto del tabacco.
«Sarà qui alle dieci» promise Kluuge. «Ancora una mezz'oretta. Allora?
C'è altro? Qual è la vostra opinione?»
Adesso Suijderbeck sembrava essersi stancato di riassumere. Si alzò e cominciò a gironzolare per la stanza.
«Prurito nella protesi» spiegò. «È sempre così, quando il cervello si ferma.»
«Questi Kuijpers» disse Servinus «sono una coppia piuttosto stravagan-te, o no?»
«Ne ho viste anche di più stravaganti» disse Tolltse. «Personalmente non trovo che i Fingher siano molto meglio.»
Ci fu qualche secondo di silenzio.
«Non penserete che siano coinvolti in qualche modo?» chiese Lauremaa, aggrottando la fronte.
Suijderbeck si fermò.
«Difficile» disse. «Anche se, comunque la si giri, qualcuno dev'essere pur stato.»
«Pensiero acuto» commentò Lauremaa.
«C'è nessuno che sappia trarre qualche altra conclusione... possibilmente sensata?» domandò Tolltse facendo scorrere lo sguardo intorno al tavolo.
«Perché allora lo faccio io.»
«Prego» la invitò Reinhart, e accese la pipa.
«Non è stato Jellinek a uccidere le due ragazze» affermò Tolltse.
«Davvero?» disse Jung. «Ne sei proprio sicura? Probabilmente non si è ammazzato da solo, su questo sono d'accordo, ma per quanto ne sappia può ancora essere colpevole degli altri due omicidi.»
L'ispettrice Tolltse rifletté.
«All right» disse. «Ritiro ciò che ho detto. Chi è stato a uccidere lui, allora? Non è questo, che dobbiamo scoprire?»
«Ottima domanda» commentò Servinus. «Dov'è che le andate a prendere voi donne?»
Reinhart soffiò una nuvola di fumo diversiva sopra il campo di battaglia.
«Non so chi abbia ammazzato Jellinek» disse. «Ma so che è ora di metterlo a confronto con le sue tre amanti che stanno a Wolgershuus. Sì, il fatto che lui è morto, volevo dire. Prima lo si fa, meglio è. Se non abbiamo niente di più sensato da fare, propongo che ci occupiamo di questo dettaglio senza ulteriori indugi.»
Kluuge si guardò intorno in cerca di opinioni nell'una o nell'altra direzione. Non riuscendo a coglierne traccia, si schiarì la gola e prese la decisione al volo.
«Esatto» stabilì. «Diciamo così. Reinhart e Jung possono andare là, dovrebbero bastare loro due... forse è meglio che le affrontiate una per volta, cosa ne dite?»
«Come dovremmo comportarci altrimenti?» sbuffò Reinhart. «Quanto a mostrare il cadavere, per ora aspettiamo. Dovrebbe bastare un video con la notizia e qualche giornale... nel caso non dovessero crederci.»
«Ce l'abbiamo, un video con la notizia?» domandò Jung.
Kluuge scosse la testa, con aria infelice.
«Probabilmente è possibile prepararne uno, ma temo che ci voglia un po'
di tempo.»
«Non importa» tagliò corto Reinhart. «Può andare benissimo una radio, in fondo trasmettono il notiziario otto volte ogni ora. Dovremmo riuscire a convincerle che il principe della luce è morto.»
«Il principe della luce» gli fece eco Suijderbeck. «Al diavolo.»
«Aspetta un attimo» disse Servinus. «Non potrebbe essere che quelle lo sappiano già, semplicemente?»
«Sono isolate» gli ricordò Kluuge. «Ho telefonato a Schenk e dato seve-re disposizioni prima di uscire questa mattina.»
«Bene» disse Reinhart.
«Chi è Schenk?» chiese Servinus.
«Dà il cambio a Matthorst, di tanto intanto» rispose Kluuge. «E probabilmente ce n'è bisogno. Matthorst dice che ha cominciato a sentirsi un po'
strano.»
«Ci credo» commentò Tolltse. «È là da quando ci sono state portate le tre grazie.»
«C'è gente che è lì da quindici anni» le ricordò Suijderbeck.
«In ogni caso...» mormorò Lauremaa. «Voglio dire, se quelle tre gentili signore sanno qualcosa della morte di Jellinek, vorrebbe dire che l'hanno sempre saputa?»
«Esatto» confermò Reinhart. «E allora sono cazzi. Su, ispettore, è ora che ci muoviamo.»
«Lasciateci un paio di panini» concluse Jung, e si alzò.
«C'è nessuno che ha qualche notizia del commissario?» chiese Lauremaa quando Reinhart e Jung se ne furono andati.
«Neanche l'ombra» disse Suijderbeck. «Devo dire che avevo iniziato a nutrire una certa fiducia in lui, ma adesso comincia a somigliare a un diser-tore qualsiasi. Di che cavolo si starà occupando?»
«Ah, non lo so di certo» sospirò Kluuge. «Proviamo a combinare qualcosa, che ne dite? Forse sarebbe bene se cercassimo di fare una figura migliore alla conferenza stampa di domani.»
«Io ci rinuncio volentieri» disse Suijderbeck.
«Avevo quasi pensato di suggerirtelo» ribatté Lauremaa, e sorrise per la prima volta in tutta la giornata.