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«E chi è che l'ha detto?» fece Jung, aprendo la lattina di Coca-Cola.

«Che avrebbe intenzione di smettere?»

Ewa Moreno alzò le spalle.

«Non so da dove venga la notizia» rispose. «Ma Rooth e Krause ne par-lavano giù in mensa ieri... Non mi stupirebbe, comunque.»

«Cosa?» chiese Jung. «Cos'è che non ti stupirebbe?» Bevve un paio di lunghe sorsate e cercò di non ruttare.

«Che lui ne abbia abbastanza, si capisce. Saranno trentacinque anni che fa questo mestiere, come minimo. Per quanto tempo hai pensato di continuare, tu?»

Jung rifletté, mentre con discrezione liberava uno sbuffo di anidride car-bonica attraverso il naso.

«Ci si può anche beccare una pallottola prima del tempo» disse. «Se si è fortunati. No, io cerco di tenermi in buona salute evitando di pensarci su troppo. Vuoi favorire?»

Allungò la lattina e Moreno la scolò fino in fondo.

«Che caldo spaventoso» disse. «Credo di aver bevuto tre litri di liquidi, da stamattina. Puoi sempre chiedere a Münster. Se c'è qualcuno che ne sa qualcosa, è senz'altro lui.»

Jung annuì.

«Quanti anni ha?»

«Chi? Münster?»

«Il commissario, è ovvio. Non deve aver compiuto ancora i sessanta.»

«Non ne ho idea» disse Moreno. «Quanto dobbiamo rimanere qui ancora a girarci i pollici, tanto per cambiare argomento? Non succede nulla. Tranne che il cervello comincia a friggere.»

Jung guardò l'orologio.

«Ancora un'ora, secondo gli ordini.»

«Facciamo un altro giro» propose Moreno. «Così almeno si muove un po' l'aria. Non ha senso che stiamo seduti qui a prenderci un colpo di sole.

Lei che ne dice, ispettore?»

«Bisogna essere pronti a morire al proprio posto di guardia» disse Jung, e avviò la macchina. «C'è scritto nel regolamento. Penso che sarebbe un gran peccato se lui smettesse sul serio... È vero che certe volte è come è, ma ad ogni modo... Allora, dove vuoi andare?»

«Al chiosco, a comperare altra Coca-Cola» rispose Moreno.

«Ogni tuo desiderio è un ordine» disse Jung. «Però personalmente credo che prenderò qualcosa di non gassato, questa volta. Guarda lassù! Anche se è stato al sole, ovviamente...»

Indicò il gigantesco termometro sulla fiancata della piscina coperta.

«Trentasette gradi» lesse Moreno.

«Esatto! Stessa temperatura del sangue, né più né meno.»

«Ho sete» ribadì Moreno.

Il commissario Van Veeteren si infilò in macchina e chiuse gli occhi.

«Quella donna!» borbottò. «E io che le ho dedicato la mia vita.»

Gemette. La macchina era rimasta parcheggiata per più di un'ora sotto il sole torrido della piazza, e quando lui poggiò le mani sul volante ebbe una fulminea sensazione di carne bruciata. Geenna, pensò. Tutti ci dovremo passare.

Il sudore colava a rivoli. In faccia, sul collo e sotto le braccia. Abbassò i finestrini e si deterse accuratamente la fronte con un fazzoletto piuttosto stazzonato.

Osservò il rettangolo di stoffa bagnato. Di sicuro c'era anche qualche goccia di sudore freddo.

«Venticinque anni della mia vita!» si corresse, e avviò il motore. Uscì dal parcheggio. «Un quarto di secolo!»

E adesso lei aveva cercato di rubargli altre due settimane. Cominciò a ri-evocare la loro conversazione.

Un cottage fuori, a Maalvoort. Ah, grazie tante... Un sacco dì spazio.

Quattro stanze e cucina. Dune e spiaggia e mare... Renate e lui. Jess con i gemelli...

Si domandò con quanta cura avesse programmato la cosa. La conversazione si era protratta parecchio; seguendo col vento in poppa la rotta impo-sta da lui, all'apparenza; e poi d'improvviso le domande e la proposta erano arrivate, in maniera del tutto naturale... e dire che avrebbe dovuto impararlo. Sa il cielo se non avrebbe dovuto impararlo! Lui aveva le ferie in agosto, non è così? Proprio quando Jess sarebbe finalmente venuta a casa per un paio di settimane. I nipotini con il nonno e la nonna tutti insieme... (Il diavolo e sua nonna! gli venne da pensare, e stava quasi per sorridere nel bel mezzo dello sconforto.) La casa era comunque sovradimensionata, lei si era mossa un po' troppo tardi e la maggior parte dei posti erano già al completo. Se lui voleva starsene in pace, non c'era nessun problema, spazio in abbondanza per la privacy, come già detto. Sia dentro casa che fuori...

Sì, di sicuro c'era una certa pianificazione, dietro. Era un falso invito, pensò. Un caratteristico falso invito da parte di una ex moglie che pescava in vecchie acque torbide. All'inferno.

Accese lo stereo e poi lo spense di nuovo.

Jess e i bambini...

Purtroppo non posso, aveva risposto.

Ed Erich aveva promesso di venire anche lui, per un paio di giorni, almeno.

Purtroppo, mia cara. Sei arrivata troppo tardi. Ho già prenotato.

Prenotato? I suoi sopraccigli si erano alzati in un'espressione di incredu-lità. Tu, prenotato?

«Creta!» aveva sparato lui a casaccio. «Due settimane a partire dal primo agosto.»

Lei non gli credette. Lo vide subito; uno dei sopraccigli tornò ad abbassarsi fino a zero, ma l'altro rimase sospeso sulla fronte come un muto rimprovero.

«Creta» ripeté lui del tutto inutilmente. «Rétimo, ma pensavo di fare un giro anche nella parte meridionale... e, be'...»

«Ci vai da solo?»

«Da solo? Chiaro come il sole che ci vado da solo. Che diavolo ti sei messa in testa?»

Urtò contro il bordo di uno spartitraffico con la ruota anteriore sinistra e imprecò fra sé.

Un quarto di secolo! Poi cinque anni di libertà, e lei era ancora lì a tendere i suoi agguati. Qual era il suo scopo, in realtà? Rabbrividì nel bel mezzo della calura estiva. Si diede una passata con il fazzoletto anche sul collo. Svoltò in Rejmer Plejn e riuscì a trovare un parcheggio libero sotto uno degli olmi.

Creta? pensò, smontando. Perché no?

Sì, davvero. Perché no? Se si poteva ricostruire una verginità con nuove membrane, doveva pur essere una faccenda abbastanza semplice lavare una verità retroattiva dalla sabbia della menzogna.

Ma come mi esprimo elegantemente oggi, constatò. Il diavolo e sua nonna! Verità retroattiva! Dovrei cominciare a scrivere le mie memorie, un giorno o l'altro.

Attraversò diagonalmente la piazza. Si infilò uno stuzzicadenti in bocca e fece il suo ingresso nell'agenzia di viaggi all'angolo.

La donna seduta davanti al bancone gli voltava la schiena e gli ci volle qualche secondo prima di capire chi fosse. I suoi capelli castano scuro erano diventati un briciolo più castano scuro dall'ultima volta, e la sua voce aveva un timbro considerevolmente più chiaro.

Grazie tante.

Ulrike Fremdli. Quando l'aveva incontrata la prima - e unica - volta, suo marito era appena stato assassinato. Fece un rapido calcolo e giunse alla conclusione che doveva essere stato in febbraio. Lo scorso febbraio, quel mese gelido dimenticato da Dio. Il periodo fidanzato con la disperazione, come lo chiamava Mahler. Erano stati seduti nel soggiorno ordinario e confortevole di una villetta a schiera ordinaria e confortevole dalle parti di Loewingen. Lui e Ulrike Fremdli, fresca vedova. Le aveva servito il solito piatto di domande clinicamente fredde ed era rimasto colpito dal suo modo di gestirle.

Di gestire le domande e il suo dolore traumatico.

Quando l'aveva lasciata, si era reso conto che quella era una donna della quale avrebbe potuto innamorarsi. Trent'anni prima. Ai tempi in cui era ancora capace di innamorarsi. Ci aveva pensato su un bel po', dopo. Certamente sarebbe stato possibile.

Se lui non avesse buttato via la propria vita con un'altra, cioè.

E adesso eccola lì che prenotava un viaggio. Ulrike Fremdli. Cinquanta o poco più, per quanto potesse giudicare. Con una nuova sfumatura di castano nei capelli.

C'erano degli schemi...

Prese un numero e si accomodò sulla poltroncina di sottili tubi d'acciaio alle sue spalle, senza farsi riconoscere. Non c'era naturalmente nulla che potesse far presumere che lei si ricordasse di lui altrettanto bene di quanto lui si ricordava di lei. O che si ricordasse di lui in generale. Aspettò. Cominciò a sfogliare uno dei cataloghi disposti sul tavolino di vetro davanti a sé. Spostò lo stuzzicadenti all'angolo destro della bocca e cercò di non dare l'impressione di uno che stesse origliando.

Come se fosse solo un comunissimo aspirante a qualche viaggio organizzato. Oppure un pezzo insolitamente sudato dell'arredamento.

Ma invece ascoltava. Con le orecchie tese al massimo. Al tempo stesso cominciò anche a essere roso da una sensazione sorda e inquietante. Sia a livello dello stomaco che dietro la laringe, dove da tempo aveva stabilito che dovesse aver sede l'anima. Almeno nel suo caso specifico.

Perché era di Creta che stavano parlando. Chiaro come il sole, lui lo capì immediatamente. L'agente di viaggi dall'elegante abbronzatura menziona-va Teseo e Arianna, e il villaggio delle Vedove. E poi Spili e Matala e la gola di Samaria.

E adesso, Rétimo.

Il commissario Van Veeteren deglutì. Tirò fuori il fazzoletto e si asciugò nuovamente il collo; nonostante i lenti ventilatori che muovevano l'aria sul soffitto, faceva caldo come dentro un forno.

«Non bisogna sottovalutare le correnti» stava dicendo l'agente.

Esatto, pensò Van Veeteren.

«Hotel Christos» propose il giovane adone. «Semplice ma ben tenuto. Si trova nel centro della città vecchia... a un minuto soltanto dal porto veneziano.»

Ulrike Fremdli annuì. Il semidio sorrise.

«Partenza il primo allora? Due settimane?»

Van Veeteren sentì arrivare un capogiro, e poi passare rapido. Un turbine quasi puberale. Appoggiò il catalogo e si mise lestamente in piedi. Ho bisogno di un po' d'aria, pensò. Al diavolo. Qui si sente puzza d'infarto a un chilometro.

Fuori in strada, si fermò sotto l'ombra di un tiglio. Sputò lo stuzzicadenti e si morse forte il labbro. Constatò che non si svegliava, e che quindi non aveva nemmeno sognato.

All'inferno, pensò. Sono troppo vecchio per queste cose.

Comperò una bottiglia da mezzo litro di acqua minerale al chiosco e la bevve tutta d'un fiato. Quindi rimase fermo ancora un minuto a discutere fra sé. È da stupidi entusiasmarsi troppo, pensò.

Ancora più da stupidi non fidarsi dei segni disseminati lungo la strada, pensò poi. Fra parentesi, dal momento che sono già qui...

Uscì di nuovo nel sole accecante. Attraversò a passo rapido e agile la piazza e piegò in Kellnerstraat. Passò davanti a un paio di librerie antiqua-rie, prima di fermarsi all'angolo con il vicolo Kupinski. Si asciugò la fronte e sbirciò dentro la vetrina sovraffollata. Con cautela, come se si fosse trattato di una mano di poker.

Sì, il cartello c'era ancora.

CERCASI COLLABORATORE

EV. COMPROPRIETÀ

F. KRANTZE

Doveva essere lì da almeno... Ci pensò su: sei settimane. Tirò un cauto sospiro di sollievo. Sì, era certamente passata metà estate da quando lo aveva visto la prima volta.

Esitò ancora un attimo, poi cominciò lentamente a fare ritorno verso la piazza. Masticando uno stuzzicadenti e osservando con la coda dell'occhio le vecchie facciate in stile liberty d'inizio secolo. Decadenti ma ancora in possesso della loro bellezza. Il caffè Yorrick all'angolo. Di fronte, il Winderblatt. Un grosso San Bernardo ansimante sotto uno dei tavoli, con la lingua penzoloni fin sul marciapiede.

Sì, pensò. Altroché se sarebbe piacevole vivere qui.

E quando salì in macchina, aveva preso una decisione.

Se il cartello sarà ancora lì in agosto... bene, allora lo farò.

Più difficile di così non era.

Ancora più facile fu poi guidare a più non posso fino a casa a Klagen-burg e prenotare per telefono una vacanza organizzata di due settimane per Rétimo, Creta... Hotel Christos, che gli era stato raccomandato da un buon amico. Camera singola. Partenza il primo agosto, ritorno il 15.

Quando ebbe finito, guardò l'ora. Erano le undici e quaranta. Era il 17 di luglio.

Non valeva quasi la pena di andare alla centrale prima di pranzo, constatò, e cercò di provare una certa rassegnazione. Non gli riuscì molto bene.

Invece fece un giro per l'appartamento sventolandosi con l'«Allgemejne»

del giorno prima. A grandi linee, era altrettanto inutile. Sospirò. Si tolse la camicia attaccaticcia, prese una birra dal frigorifero e mise un CD di Pergolesi.

La vita? pensò.

Arbitrarietà oppure ordine?