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Durante il briefing del venerdì sul caso Clarissa Heerenmacht, la temperatura nella stanza del commissario Kluuge aveva già raggiunto i trentatré gradi. Eppure era solo mattino, ed era la prima volta che la direzione delle indagini si riuniva sotto lo stesso tetto.
«Probabilmente siamo gli unici idioti in tutta la città che se ne stanno al chiuso» disse Suijderbeck.
«Probabilmente» gli fece eco Servinus.
A parte i due agenti di Rembork, erano presenti le due ispettrici di Haaldam, Elaine Lauremaa e Anja Tolltse, il direttore delle indagini Kluuge e il commissario consulente Van Veeteren della polizia giudiziaria di Maardam. In tutto sei persone; con il direttore delle indagini in pantaloncini corti, ma questo non si vedeva quando era seduto dietro la scrivania.
«Un certo scalpore, sui media» constatò Suijderbeck mettendo da parte il «Neuwe Blatt» che, a parte la prima pagina, ne dedicava due intere agli sviluppi del fattaccio avvenuto nei boschi di Sorbinowo.
E alla Vita Pura. Le speculazioni intorno alla sparizione della guida spirituale e alle attività della setta in generale erano numerose nella maggior parte dei media. Il vecchio processo era stato portato di nuovo alla ribalta, ex membri della setta si esprimevano in termini molto schietti, e uno dei canali televisivi aveva sfiorato il limite della decenza con un reportage su una delle ragazze che erano tornate a casa: un'intervista d'assalto con timi-di genitori che balbettavano e una tredicenne con gli occhi rossi di pianto, mentre cercavano tutti insieme di percorrere il breve tragitto fra la loro automobile e la villetta a schiera alla periferia di Stamberg.
«Sì, che diamine» esclamò Servinus. «Chiaro che scrivono! Che cosa si potrebbe chiedere di più? Estate. Omicidio. Una ragazzina, un prete matto!
Se non vendono con questo mix, tanto vale che gettino la spugna e comin-cino a dedicarsi al giornalino della parrocchia, piuttosto.»
«Quando è stato diramato l'avviso di ricerca per Jellinek?» volle sapere il commissario.
«Ieri pomeriggio» rispose Kluuge. «Abbiamo pensato che tanto valeva farlo, dal momento che ormai era di dominio pubblico.»
«Giusta valutazione» commentò Suijderbeck. «A dire il vero, ieri ho mi-nacciato le Nome di metterlo in piazza... se continuavano a tacere dopo le dodici di oggi, ma loro naturalmente non leggono i giornali, perciò ho la coscienza pulita.»
«Quella faccenda del preservativo?» domandò la Tolltse. «Di che cosa si tratta?»
«Mmm» fece Kluuge. «Forse dovremmo cercare di esaminare i punti uno per volta. La situazione alla colonia per prima cosa, credo. A quest'ora non ci sarà rimasto più nessuno, no?»
Anja Tolltse guardò l'orologio.
«Ancora una ragazza e uno psicologo. E due agenti di sorveglianza. Dovrebbero venire a prendere la ragazza fra una mezz'ora, se sono puntuali.
Sì, poi credo che potremo senz'altro riassumere i nostri interventi laggiù.»
«Molti giornalisti?» domandò Servinus.
Tolltse annuì.
«Un paio di macchine quando sono venuta via. Più che altro gironzolano e scattano fotografie. Alla ragazza non si possono avvicinare, anche se nulla impedisce che si facciano sotto dopo che i genitori sono venuti a prenderla. Nel caso vogliano fare un altro dei loro scoop scandalosi... con un paio delle altre l'hanno fatto, voglio dire.»
«Bene» commentò Suijderbeck. «Categoria molto rispettabile, quella.
Un giorno giuro che smetterò di leggere i giornali.»
«All right» disse Kluuge. «La pattuglia degli esploratori farà un giro di ricognizione nel bosco anche oggi... alla ricerca dell'altra ragazza. Naturalmente possiamo sperare che non la trovino.»
«E anche che non vadano a raccontare ai giornalisti cosa stanno cercando» aggiunse Lauremaa. «A meno che non pensiamo di rendere pubblico che ne manca un'altra all'appello.»
«Non capisco perché non diramiamo un avviso di ricerca anche per lei»
disse Tolltse. «Non sarebbe una buona idea?»
Nessuno rispose. Suijderbeck alzò le spalle e Kluuge cercò invano di incontrare lo sguardo di Van Veeteren, che sedeva a occhi chiusi con uno stuzzicadenti che spuntava da un angolo della bocca.
«Bah» fece il commissario dopo qualche secondo di silenzio. «Non credo che faccia grande differenza. In ogni caso non la uccidono certo mentre noi stiamo qui a tenere nascosta la sua sparizione.»
«Se è morta, è morta» completò Suijderbeck.
«Indubbiamente» convenne il commissario. «No, prima dobbiamo riuscire a metterci in contatto con i genitori. Proseguiamo?»
«Le tre sorelle del destino?» domandò Kluuge, con l'aria di non capire.
«Scusa» disse Van Veeteren. «Era soltanto un'allusione. Macbeth. Come vanno le cose a Wolgershuus, allora?»
«Bah» fece Suijderbeck. «Niente di nuovo sul fronte occidentale, visto che vogliamo fare i letterati. Quelle là non sono più raggiungibili, che il diavolo mi porti se non è vero. Forse c'è un briciolo di speranza per Mathilde Ubrecht, ma è solo una mia fantasia. Tuttavia, se pensiamo di sce-glierne una per qualche... provvedimento straordinario, ecco, allora io vorrei raccomandare lei.»
«Pur sempre qualcosa» commentò Van Veeteren. «Sì, magari questo pomeriggio ci faccio un salto.»
«Si può iniettare dell'alcol nei soggetti che sono un po' recalcitranti, ho letto» osservò Servinus. «Portare la concentrazione all'1,5-2,0 per mille o giù di lì... allora di solito è difficile riuscire a non cantare.»
«Prima vorrei provare la linea analcolica, credo» disse il commissario.
«Mi sembra un filino più etica.»
«Etica?» borbottò Servinus. «Non sapevo che stessimo giocando a cri-cket.»
Il commissario sorrise dentro di sé, ma senza lasciar trapelare nulla all'esterno.
«Quanto tempo le possiamo tenere rinchiuse a queste condizioni?» volle sapere Lauremaa. «Non dobbiamo metterle in custodia cautelare quanto prima?»
«Lunedì» rispose Servinus. «Se non sopraggiunge nulla di nuovo. Ma nessuna di loro ha chiesto di poter avere un avvocato, e nessuna ha detto una parola sul fatto di poter uscire, perciò non saprei...»
«Comunque è meglio attenersi alle solite procedure» intervenne Suijderbeck. «Altrimenti potrebbero avvalersene in futuro.»
«Giusto» disse il commissario. «Dobbiamo farle crollare durante il weekend. Nessuna delle signore qui sarebbe interessata...?»
Indicò una alla volta con lo stuzzicadenti Tolltse e Lauremaa.
«... ho la sensazione che ci sia una piccola barriera sessuale, ecco.»
«Ohi, ohi» disse Lauremaa.
«Non mi dispiacerebbe poter fare un salto a casa prima» disse Tolltse.
«Ormai sono quattro giorni che siamo qui dentro.»
«Che cosa dice il nostro direttore delle indagini?» domandò Van Veeteren indicando di nuovo con lo stuzzicadenti.
«Be'...» fece Kluuge. «Non saprei proprio.»
«Domenica» decise il commissario. «Probabilmente farò un tentativo prima di allora, come dicevo, ma se faccio fiasco avrete comunque tutto il sabato libero.»
«Grazie» ribatté Lauremaa. «Sarà piacevole.»
«Andiamo avanti» disse il commissario. «Che cosa abbiamo d'altro?»
Per la prima volta da molto tempo c'era un'ombra d'impazienza nella sua voce. Se ne accorse anche lui e si domandò un po' vagamente se dipendes-se dal caldo o dall'ambiente. Forse, da entrambi; in ogni caso, non avrebbe avuto nulla in contrario ad avere a disposizione Münster e Reinhart per un piccolo scambio di opinioni.
Sono diventato un po' viziato con gli anni, si rese conto. Logoro e disil-luso e Dio sa cos'altro, ma anche viziato. Vale la pena di tenerlo a mente, forse.
«A quanto pare, nessuno stupratore noto è attualmente a piede libero»
lesse Servinus da un foglio. «Ce n'è uno che è appena uscito da Ulmenthal, ma si trovava senza ombra di dubbio molto lontano da qui... Sì, è probabile che abbiamo a che fare con un nome nuovo nel settore. Che si chiami Jellinek oppure qualcos'altro...»
Il commissario annuì.
«Andiamo avanti» ripeté.
«Non abbiamo granché» disse Kluuge. «Qualche dettaglio più tecnico c'è, ovviamente, dopo il rapporto del medico legale...»
Cercò in una cartelletta che stava sulla scrivania.
«... questa cosa del frammento di gomma potrebbe forse valere la pena di rilevarla... profilattico o altro.»
«Era proprio su questo che mi interrogavo» disse Tolltse. «Gli stupratori di solito usano il preservativo? Non ne ho mai sentito parlare.»
Scese il silenzio per qualche secondo. Suijderbeck si grattò la gamba di legno.
«Ci sono tutte le varianti» disse Van Veeteren. «Credetemi... tutte.»
«Non deve necessariamente essere un profilattico» fece osservare Servinus. «Ci hanno tenuto a sottolineare che si tratta di frammenti estremamen-te piccoli, e che possono benissimo appartenere a qualcos'altro.»
«Per esempio a che cosa?» domandò Kluuge, ma non ottenne nessuna risposta.
E per un secondo fu del tutto evidente che l'intera squadra investigativa stava cercando la stessa immagine nel proprio intimo.
La stessa immagine infernale e sfuggente.
Dopo la conferenza stampa, che questa volta durò oltre un'ora, e durante la quale furono soprattutto lo stesso commissario e l'ispettrice Lauremaa a dover tirare il carretto al sempre più esausto Kluuge, Van Veeteren pranzò insieme con Suijderbeck al Florian. Era passata quasi una settimana da quando era stato lì la prima volta e, da come giudicava lo stato delle cose, c'erano ottime ragioni per concedersi qualcosa di buono.
Forse perfino di ottimo.
«Che circo della malora» commentò Suijderbeck. «Credo che prenderò l'anguilla.»
«Mmm» fece Van Veeteren, «c'è qualcosa, circa i corpi degli annegati e le anguille, che se mi vuoi scusare... Che cosa intendi con circo?»
«Quei pagliacci della stampa, si capisce. Ma tu ci sei abituato a quella merda, no?»
Van Veeteren alzò le spalle.
«Difficile abituarsi» disse. «Ma c'è una certa discrepanza in ogni caso.»
«Discrepanza?» chiese Suijderbeck, annusando il suo bicchiere di birra.
«Fra ciò che viene scritto e ciò che viene fatto. Succede considerevolmente di più sui giornali che nelle inchieste.»
Suijderbeck assaggiò la birra e annuì.
«Vero» convenne. «Ciò che succede e ciò che in apparenza succede.
Siamo arrivati davanti a un muro, pensi?»
«E tu, cosa pensi?» chiese a sua volta il commissario. «Le ragazze si so-no disperse. Le donne tacciono. Jellinek è scomparso.»
Suijderbeck rifletté.
«Katarina Schwartz» disse.
«Nessuna traccia» replicò il commissario. «Né di lei, né dei genitori.»
Suijderbeck rimase un momento in silenzio, sorseggiando la birra.
«Ok» ammise. «Ci siamo impantanati. Che facciamo?»
«Difficile dirlo» rispose il commissario. «Prenditi la tua anguilla, io comincio con un po' di granchio.»
Ma quando poi ebbero davanti il cibo, lui si rese conto che era inutile.
Ogni cosa ha il suo tempo, come si era detto, e anche solo pensare alla propria fame in quelle giornate appariva d'un tratto quasi indecente. Sbirciò sconfortato attraverso il tavolo, dove Suijderbeck con appetito gagliar-do stava attaccando il suo pesce grondante di grasso.
Nonostante tutti i corpi adolescenziali marezzati di lividi. Nonostante tutti i frammenti infinitesimali di gomma. Nonostante tutte le seghe circo-lari.
Perverso, pensò. Un giorno finirò per non reggere più, in questo mondo.
È solo questione di tempo.