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Dopo il colloquio con Uri Zander, il commissario Van Veeteren tornò come prima cosa in città e pranzò al ristorante Stamberger Hof. Era già quasi l'una e mezzo quando cominciò a mangiare, e siccome quel giorno non si accontentò di meno di tre piatti, pâté, sogliola e fichi al cognac, quando terminò erano già le tre passate.

Dopo una certa esitazione (ma con un saggio voto in armonia con il problema della digestione), concluso il pasto, si mise di nuovo in macchina e si diresse fuori Stamberg. Guidò dritto in direzione ovest per quindici minuti e poi trovò, senza troppa difficoltà, un attraente pendio ombreggiato sulle sponde del fiume Czarna. Lì si preparò un semplice giaciglio con l'aiuto di una coperta e un cuscino, si tolse le scarpe e si coricò per schiacciare un pisolino.

Di nuovo sognò una tranquilla libreria antiquaria, una donna con i capelli castani e un mare turchino, e quando si svegliò dopo quaranta minuti, si rese conto che effettivamente aveva un posto prenotato su un volo che sarebbe partito da Maardam di lì a un paio di giorni appena. Si mise seduto.

Un po' strani, era innegabile, sia il sogno che le prospettive per il futuro.

Specialmente in considerazione del fatto che in quel preciso momento era seduto in riva a un pigro fiume sconosciuto a osservare alcuni bovini altrettanto pigri e sconosciuti che lo fissavano in mezzo all'erba alta sulla sponda opposta.

Che cavolo sto facendo? pensò, conscio che si trattava di una domanda molto vecchia e ben nota. E rimasta sempre senza risposta.

A centocinquanta chilometri da lì, una squadra investigativa e un centinaio di giornalisti stavano aspettando che i contorni di un duplice omicida si facessero più visibili.

O forse che proprio lui, il famigerato commissario Van Veeteren, che aveva alle spalle un solo caso irrisolto, scovasse quell'uomo.

O quella donna?

Si spostò di due metri, poggiò la schiena contro il tronco di un faggio e d'improvviso si ricordò una delle citazioni preferite di Mahler: «La vita non è una passeggiata attraverso un campo aperto».

Una massima russa, probabilmente. Ne aveva tutta l'aria, almeno.

Poi accese una sigaretta e cercò di mettere ordine nei pensieri.

Due ragazzine.

Dodici e tredici anni. Violentate e uccise.

A una settimana di distanza, all'incirca. Prima Katarina Schwartz. Poi Clarissa Heerenmacht. Però ritrovate in ordine inverso.

Tutt'e due di Stamberg. Tutt'e due partecipanti al campo estivo organizzato dall'equivoca setta della Vita Pura nei pressi di Sorbinowo.

Nella bella regione un po' selvaggia di Sorbinowo.

E poi il prete.

Appena prima della scoperta del cadavere della più giovane delle ragazze, il presunto uomo di Dio e guida spirituale della setta, Oscar Jellinek, sparisce dalla circolazione. Altre persone coinvolte, vale a dire i membri della setta, si cuciono la bocca. La generazione più giovane, una dozzina di ragazzine adolescenti, comincia poco a poco a lasciarsi sfuggire qualcosa, ma quello che hanno da raccontare non ha in realtà particolare rilevanza per l'enigma degli omicidi.

Oppure sì? pensò Van Veeteren e prese a osservare una delle vacche, che al momento gli aveva rivolto il posteriore e stava dando dimostrazione del perfetto funzionamento della sua digestione.

Non avrà certo mangiato fichi al cognac per pranzo, suppose il commissario, e continuò a seguire il filo dei suoi pensieri.

Avevano forse mancato di cogliere qualcosa di essenziale nei racconti con le lacrime agli occhi delle ragazze? C'era qualcosa di più, qualcosa di nascosto più in profondità, in tutte quelle testimonianze sulla Purezza e la Rinuncia e la nudità? Al di là dell'ambiguità in sé, insomma.

Non sapeva. L'immagine delle ragazze che facevano il bagno in riva al lago, colta in quel suo primo giorno, gli tornò di nuovo alla mente, e si domandò se proprio un'immagine del genere non potesse essere anche nel bagaglio dell'assassino.

Nel movente stesso. Nella misura in cui avesse un senso parlare di movente in un caso del genere. Forse sì e forse no; ad ogni modo, non era nulla su cui si potesse continuare a costruire.

Le donne, allora? Quelle sacerdotesse sorvegliate, che probabilmente sapevano un bel po' di cose ma che avevano scelto la retta via del silenzio.

Poteva essere che l'omicida fosse una di loro? Certo era un'alternativa che aveva tenuto di riserva fin dall'inizio. Certo. Un asso nella manica. Un'assassina?

Anche se non poteva dire che col passare del tempo fosse diventata una carta più facile da giocare. D'altro canto, nemmeno più difficile.

Non si poteva almeno dare per scontato che fosse stata una di loro a telefonare alla polizia fornendo le informazioni?

Forse.

Però la loro corresponsabilità si poteva definire comunque evidente? Per la miseria!

Altamente probabile, decise.

La questione era solo: corresponsabilità in che cosa?

«Al diavolo!» borbottò il commissario Van Veeteren. «Non sto arrivando da nessuna parte.»

E in un momento di amara autocritica si rese conto che le mucche sull'altra sponda del fiume non erano solo un simbolo della saggezza irrag-giungibile, demiurghi e via dicendo, ma anche un emblema della sua stessa irrisolta ottusità.

Accese una sigaretta e cambiò binario.

Figuera, allora?

Ewa Figuera? Be', doveva andare a cercarla e chiarire perché ci fosse anche lei insieme alle altre sacerdotesse sulla fotografia di Przebuda. Scoprire che cosa ci facesse a Waldingen l'estate precedente.

Dal momento che adesso aveva risolto il problema dell'ortografia.

E dal momento che aveva seguito la sua preziosa intuizione ed era venuto fin lì a Stamberg. Anche se, a dire il vero, fino a quel punto i suoi sforzi non avevano dato grandi risultati.

Oppure c'erano tracce nascoste anche nelle conversazioni di quegli ultimi giorni? Quegli adepti disorientati avevano forse contribuito con qualcosa che lui non era in grado di scoprire?

Al diavolo, pensò di nuovo Van Veeteren. Che grande analista sono!

Prima dico A, poi dico non-A. In continuazione.

Sospirò. Qualcosa di più di questa semplice dialettica, e di quel fiume scuro, che lo separava dalle vacche, per il momento non gli veniva in mente.

Ergo? pensò cupo. Potevano esserci segni più evidenti che fosse ora di restituire il tesserino? Difficile.

C'erano forse altri segni? Qualcosa che indicasse altre direzioni? Per niente.

Si rimise in piedi e decise per una mezz'ora di guida in compagnia di Fauré al posto di quello sconsolante vegetare.

Poi si sarebbe dedicato all'elenco del telefono.

Proprio. Ogni cosa a suo tempo.

La mezz'ora si trasformò in un'ora intera, e a Fauré si aggiunse anche Pergolesi. Quando il commissario parcheggiò dietro il Glossmann erano già le sette, e il peggio del caldo era passato. Alla reception lo aspettava un fax da Reinhart, ma conteneva solo una battutaccia sul fatto che nella direzione delle indagini quelli che non avevano la gamba di legno sembrava che di legno avessero la testa. Van Veeteren buttò il foglio nel cestino della carta e chiese di potersi portare in camera un elenco telefonico di Stamberg. Oltre alle due birre d'ordinanza.

«C'è n'è uno nel cassetto della scrivania» spiegò il cronicamente asson-nato portiere. «In tutte le stanze. Chiare o scure?»

«Il solito» rispose Van Veeteren, e ne ricevette una bottiglia per tipo.

Una volta in camera sua, si stese sul letto con la prima birra, quella chiara, e con la guida di Stamberg, che effettivamente si trovava nel cassetto della scrivania sotto la bibbia e la carta da lettere con il logo dell'albergo.

Bevve una sorsata e cominciò a sfogliare. Non era uno di quei tomi massicci; Stamberg in fondo era solo una cittadina di... quanti? cinquantamila abitanti? e trovò quasi subito quel che cercava. Era evidente che almeno l'alfabeto lo conosceva ancora.

Scorse lungo le file di nomi, ed eccolo lì.

Solo un fremito, in realtà. Un breve, piccolo fremito in qualche oscura circonvoluzione del suo vecchio, stanco cervello, ma capì che qualcosa finalmente stava succedendo.

O si era messo in movimento, piuttosto.

Era ora, accidenti! pensò.

Fissò le informazioni per qualche secondo. Poi chiuse gli occhi e si poggiò all'indietro contro i cuscini, mentre cercava di liberare la mente da tutto il ciarpame. Mucche, preti e altro. Rimase steso così un buon momento senza muoversi e senza formulare un solo pensiero.

Ed ecco che dalla palude dell'oblio spuntarono fuori: due battute sparse che aveva sentito un pomeriggio di quasi due settimane prima.

Oppure erano due pomeriggi distinti, a ben vedere?

Non se lo ricordava, e naturalmente non aveva nessuna importanza.

Lasciò scorrere via ancora qualche minuto, ma non accadde nient'altro.

Solo questi dati dall'elenco telefonico e queste due battute: quando aprì di nuovo gli occhi, comprese altresì che con ogni probabilità non si trattava d'altro che di semplici sensazioni.

Ma, si rese conto, se c'era qualcosa che aveva imparato in tutti quegli anni, ecco, era proprio l'arte di saper valutare una sensazione.

Scolò entrambe le birre. Poi cominciò a telefonare e a prendere appun-tamenti per il giorno dopo.

Quando ebbe terminato, lesse altri due capitoli del Klimke, fece la doccia e andò a dormire.

Alle sette e due minuti del mattino dopo, squillò il telefono.

Era Reinhart; prima ancora che il commissario avesse fatto in tempo a mandarlo all'inferno, aveva preso il comando.

«Hai la TV in camera?»

«Sì...»

«Accendila allora! Canale 4.»

Poi chiuse la comunicazione. Van Veeteren afferrò il telecomando e riuscì a trovare il pulsante giusto. Tre secondi dopo, era perfettamente sveglio.

Il consueto notiziario del mattino, a quanto pareva. Una concitata voce di giornalista. Immagini tremolanti di un edificio in fiamme. Vigili del fuoco e sirene. Intervista fortemente realistica con un ufficiale nero di fu-liggine.

Riconobbe il posto alla prima occhiata. Per qualche secondo, la teleca-mera fece una rapida carrellata delle frasi ingiuriose che si era trovato a fissare pochi giorni prima.

SPORCHI ASSASSINI e via dicendo.

Per il resto le fiamme sembravano avvolgere tutto quanto, e il capo dei vigili del fuoco non lasciava nemmeno molte speranze che si potesse salvare qualcosa. Gli sforzi erano invece concentrati a impedire che il fuoco si diffondesse agli edifici circostanti, spiegò. Tirava anche vento. Perciò ormai per quella chiesa non c'era più speranza, a suo parere.

Però per il resto la situazione era sotto controllo.

Doloso?

Naturale che era doloso. L'allarme era arrivato alle quattro del mattino, loro erano giunti sul posto venti minuti dopo, e ormai era già tutto quanto in fiamme.

Altroché, se era doloso! E forse lo si poteva anche capire...

Van Veeteren spense la TV. Poi restò a letto un altro mezzo minuto a riflettere. Quindi si infilò camicia e pantaloni, scese alla reception e inviò un fax all'agenzia di viaggi Wickers a Maardam.

Cancellava la sua prenotazione per il volo charter del primo agosto.

Poi risalì in camera e fece la doccia più lunga della sua vita.