17

Evidentemente, Servinus e Suijderbeck avevano ricevuto l'ordine di fare gli straordinari. Erano seduti uno accanto all'altro sotto il ritratto a olio del predecessore di Malijsen, un certo J. Stagge, e Van Veeteren capì subito che avevano in corpo ancor meno ore di sonno di lui. Forse proprio nessuna. Si erano separati fuori dalla colonia intorno alle sei del mattino, e non era escluso che fossero stati in attività fin da allora. Il sovrintendente Suijderbeck stava semidisteso nel suo angolino con una gamba allungata avanti a sé in una strana posizione, dritta e rigida, e solo allora il commissario scoprì che portava una protesi. Da un punto subito sotto il ginocchio, probabilmente; se non l'aveva notato nel corso di tutta la notte, era segno che doveva essere stato davvero un po' confuso.

Del resto, non riusciva nemmeno a ricordare di essersi mai imbattuto in un ispettore con la gamba di legno, e si domandò in maniera un po' vaga quali circostanze ci fossero dietro. Probabilmente, niente di piacevole, e non era certo quello il momento giusto per fare luce sulla faccenda.

All'altra estremità del tavolo era seduto Kluuge con davanti un grosso taccuino aperto. Appariva altrettanto fresco e curato quanto era sembrato pimpante al telefono, e Van Veeteren capì che la metamorfosi perdurava.

Salutò tutti con un cenno del capo e si accomodò sull'unica sedia libera.

«Buongiorno» disse Kluuge. «Bene, allora possiamo cominciare.»

«La squadra è tutta qui?» volle sapere il commissario.

Kluuge scosse la testa.

«No. Abbiamo anche due colleghe fuori a Waldingen. Ispettrici da Haaldam. E poi Matthorst, che è dislocato a Wolgershuus per tener d'occhio le madame... Sì, quella pattuglia sarà ancora fuori a cercare nel bosco, ma probabilmente per stasera avranno finito.»

«Probabilmente sì» convenne Van Veeteren, guardandosi le scarpe ba-gnate.

«Vogliamo ripassare la situazione?» propose Suijderbeck, soffocando uno sbadiglio. «Ben presto avrò bisogno di dormire almeno un paio d'ore.

Suppongo che ci fermeremo qui qualche giorno: tu che ne pensi?»

Gettò un'occhiata al collega sul divano.

«Mmm» fece Servinus, sbadigliando anche lui. «Non ho nessuna intenzione di mettermi in macchina e guidare fino a Rembork in questo momento. Brutta storia questa qui, vero?»

«Proprio» confermò Kluuge. «Credo che potremmo cominciare con la parte scientifica, siete d'accordo? La ragazza si chiama Clarissa Heerenmacht e, per quanto ne sappiamo, è stata uccisa durante la serata di domenica... due giorni fa, in altre parole. Quando l'ho trovata non c'era già più nessuna traccia di rigor mortis, perciò dev'essere morta non più tardi delle ventidue, dice il dottore. Probabilmente neanche prima delle diciotto, ma questo non lo sappiamo per certo. Che ore erano quando ha parlato con lei, commissario?»

«Le due del pomeriggio» rispose Van Veeteren.

«Tracce di violenza sessuale piuttosto brutale nella zona del bassoventre» continuò Kluuge. «Strangolata mediante forte e prolungata pressione sulla laringe, probabilmente in un luogo diverso da quello dov'è stata ritrovata. Non sono stati rinvenuti indumenti. E nemmeno impronte digitali sul cadavere... Ecco, questo è ciò che è emerso finora, a grandi linee. Avete qualche commento?»

«Violenza nella zona del bassoventre?» chiese Suijderbeck. «In altre parole, non è sicuro che si tratti di un comune stupro. Credo che dovremmo tenerlo presente.»

Van Veeteren annuì. Kluuge scrisse qualcosa sul suo blocco.

«Che cosa vorresti dire con questo?» domandò Servinus, con un'aria un po' scettica.

«Non so» rispose Suijderbeck. «Penso solo che può valere la pena di ri-levarlo, ecco tutto.»

Pescò dalla tasca un pacchetto di sigarette e si guardò intorno con aria interrogativa. Kluuge annuì e tirò fuori un posacenere. Van Veeteren fece segno che non aveva niente in contrario a farsene offrire una.

«Sei riuscito a contattare i genitori?» domandò il commissario dopo aver tirato una boccata profonda.

«No» rispose Kluuge. «Di papà non ce n'è, fra l'altro. Non in questo momento, almeno. La mamma sta facendo un viaggio in India in pullman, ed è probabile che ci vorrà un po' di tempo prima che riusciamo a metterci in contatto con lei. Ma c'è una zia che sta venendo qui, abbiamo avuto fortuna a trovare almeno lei.»

«Fortuna?» chiese Suijderbeck. «E perché?»

Ottima domanda, pensò Van Veeteren. Kluuge esitò.

«Be', per l'identificazione, se non altro... dev'essere fatta da un parente, perché abbia valore.»

«Certo, certo» disse Servinus, raddrizzandosi sul divano. «Quel dettaglio si risolverà certamente. Ma non sarebbe ora che ci metteste al corrente di tutta questa faccenda? Abbiamo un po' l'impressione di brancolare nel bu-io, a essere sinceri...»

«Naturalmente» convenne Kluuge. «È solo che stanotte ce n'era già abbastanza. Be', che devo dire? Il tutto ha avuto inizio una settimana fa, con quella sconosciuta al telefono...»

Van Veeteren si lasciò andare contro lo schienale e chiuse gli occhi, mentre Kluuge ricapitolava gli antefatti per i colleghi di Rembork. Cercò di non ascoltare e prese invece a riflettere su quante volte in realtà fosse stato seduto in un contesto simile durante i suoi anni in polizia.

Tutti quegli anni.

Dovevano esserci state centinaia e centinaia di occasioni, ma si rese conto che probabilmente non sarebbe stato impossibile richiamarle alla memoria una per una. Caso per caso. Almeno, se ce ne fosse stato il tempo...

perché c'era qualcosa di molto speciale in quelle aperture del gioco, pensò; qualcosa di quasi unico... in quella fase iniziale, quando ancora la gran parte della struttura logica che c'era sempre dietro ogni atto di violenza - dietro la maggior parte delle altre azioni umane, a dire il vero, ovviamente -

era nascosta e inaccessibile. Camuffata e travestita.

Anche se forse «apertura» era la parola assolutamente sbagliata in quel contesto, lo colpì il pensiero. Non era il contrario, piuttosto? L'unica cosa che si conosceva era l'ultima mossa, e ciò che si trattava di fare, in definitiva, era ricostruire l'intera partita, partendo dalla disposizione finale, con il re circondato e sotto scacco (il professore assassinato, il proprietario di ristorante avvelenato, la ragazza strangolata e violentata) al centro dell'attenzione.

Finché finalmente non si era riusciti a disperdere abbastanza del fumo d'arma da fuoco e della nebbia che gravavano sopra la scacchiera, da essere in grado di vedere che cosa diavolo era effettivamente successo. E perché era successo.

Per poi, da ultimo, alzare lo sguardo e identificare l'avversario dall'altra parte del tavolo.

Il colpevole.

Mmm, pensò. Un po' complicata forse, ma comunque un'immagine per niente male di come poteva presentarsi questa che era stata la sua missione sulla terra. Prese un appunto mentale di pesare e valutare il ragionamento, quando fosse venuto il momento per quelle... quelle memorie, alle quali palesemente gli era sempre più difficile non ritornare nei pensieri. Notevole, impossibile negarlo, con quanta frequenza continuavano a comparire, negli ultimi tempi. Era solo un caso e una coincidenza, oppure qualcosa di più? Un avvertimento? Che era ora di ritirarsi, come s'era detto?

«Ma, cazzo» venne a interrompere i suoi pensieri Servinus. «Questo significa che potrebbe essercene un'altra!»

Van Veeteren aprì gli occhi. Servinus aveva rialzato le spalle tanto da dare l'impressione che stava gelando. Suijderbeck fissava il soffitto. Kluuge si era poggiato indietro e sembrava aver terminato con il resoconto.

«Esatto» disse il commissario, e si schiarì la gola. «Ci sono vari indizi che indicano che la ragazza sarebbe in buona compagnia.»

«Merda» imprecò Suijderbeck.

* * *

«E quelle continuano a tacere?» domandò Van Veeteren spezzando uno stuzzicadenti.

Kluuge annuì.

«Sia le tre donne che le ragazzine. Probabilmente è proprio come dice il commissario: gli hanno messo in testa che quella che stanno attraversando è una specie di prova. Per entrare nella setta o in paradiso o chissà che cazzo... Devono mostrarsi forti e non collaborare con noi a nessuna condizione. Probabilmente gli hanno fatto un lavaggio del cervello in piena regola promettendo questo e quest'altro, se solo faranno le brave e terranno il becco chiuso.»

«La vita eterna, magari» suggerì Servinus.

«Noi contro di loro?» disse Suijderbeck.

Kluuge annuì nuovamente.

«Più o meno» disse il commissario. «Questa è la battaglia decisiva. La Vita Pura contro l'Altro Mondo.»

«Cosa?» chiese Servinus.

Van Veeteren alzò le spalle.

«Mah, loro vivono in quelle categorie. I grilli peggiori passeranno probabilmente in capo a qualche giorno... per mancanza di nutrimento, se non altro, ma questa è solo la mia opinione.»

«Perciò il commissario pensa che dobbiamo accontentarci di stare ad a-spettarle?» domandò Kluuge.

Van Veeteren si grattò la testa e rifletté qualche secondo prima di rispondere.

«Non so» disse. «Magari c'è qualcuno capace di dare sferzate anche in mezzo a loro. Possiamo sempre tenere gli occhi aperti e isolare gli elementi con attitudini da leader. Quella Belle Moulder, per esempio.»

Kluuge prese nota. Servinus sospirò platealmente e si sfregò gli occhi.

«È davvero produttivo tenerle laggiù?» si chiese. «Ed è possibile, tra l'altro? L'intera faccenda sarà sui giornali stasera e domattina, perciò di sicuro i genitori arriveranno presto qui come dei fulmini... Del resto c'è già stato qualcosa alla radio, se non erro.»

«Questo è un problema» riconobbe Kluuge. «Anche se ci siamo orga-nizzati per gli aspetti pratici. In modo che possano rimanere ancora qualche giorno, almeno... cibo e via dicendo.»

«Ovviamente saranno del genere wackoo anche loro» continuò Servinus.

«I genitori, voglio dire.»

«Wackoo?» disse Kluuge.

«Pecore» spiegò Servinus. «Belano piuttosto che pensare.»

«Chiaro come il sole che qualcuna di loro ben presto comincerà a parlare» disse Suijderbeck irritato. «Lo sanno benissimo che una loro compagna è stata assassinata... forse addirittura due. Non saranno certo tanto stupide da non rendersi conto che... che...»

«Sì, che cosa?» suggerì il commissario.

«Cazzo» disse Suijderbeck. «Sono talmente stanco che comincio a vederci doppio. Voi pensate seriamente che quel tale, Jellnek...»

«Jellinek» lo corresse Kluuge.

«...che quel tale Jellinek abbia un carisma così potente da poter imbava-gliare tre amanti e una dozzina di ragazzette, mentre lui stesso molto semplicemente si allontana dal luogo del delitto e si mette al sicuro! Incredibile. E manterrò il mio parere anche quando sarò perfettamente sveglio!»

«Mmm» fece Kluuge. «Sì, non so. Ma sembra essere una setta alquanto bizzarra, questo dobbiamo averlo ben chiaro.»

«Va bene» sospirò Suijderbeck. «Forse è come dite voi. Che cazzo facciamo allora?»

«Mmm» ripeté Kluuge e guardò l'orologio. «Come prima cosa vediamo di affrontare la conferenza stampa, poi non abbiamo molta scelta, suppongo. Interrogarle e interrogarle finché non cedono, sia le ragazze che le tre signore a Wolgershuus... o finché qualcuna di loro non cede, in ogni caso.

Che ne dice, commissario?»

Van Veeteren si alzò e andò alla finestra. Voltò la schiena agli altri, mentre alzava lo sguardo verso il cielo burrascoso e si dondolava su punte e talloni.

«Sì» disse dopo un momento. «Naturalmente possiamo interrogarle mentre aspettiamo. Poi non dobbiamo dimenticare di domandarci che cosa diavolo possa essere successo là fuori. O cosa crediamo che sia successo, almeno. Personalmente ho i miei dubbi.»

«Come?» domandò Kluuge. «Che cosa intende con questo, commissario?»

Ma non ebbe nessuna risposta. Il famigerato commissario Van Veeteren continuava a rimanere lì dov'era, dondolandosi avanti e indietro con le ma-ni dietro la schiena. Suijderbeck si stava accendendo la quarta sigaretta nell'arco di mezz'ora e Servinus si era appoggiato all'indietro e dormiva con la bocca aperta.

Uff, pensò l'aspirante Kluuge. Mica facile tenere le fila di un'indagine per omicidio. Ci vuole l'uomo giusto, innegabilmente.