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In senso prettamente fisico, quella mattina il commissario supplente Kluuge si sentiva un rottame.

Quando scese dalla bicicletta davanti alla stazione di polizia nella gradevole aria mattutina, si accorse che ansimava e che aveva le palpitazioni, e purtroppo dal punto di vista spirituale le cose non andavano molto meglio.

Si rese conto che c'era poco da stupirsene; le ultime tre notti non aveva dormito più di una decina di ore in tutto, e da qualche parte si arrivava sempre a un limite. O a un muro.

Questa faccenda bisogna proprio che finisca presto, decise. Ancora due giornate così e mi metto in malattia.

D'altro canto ormai mancavano solo cinque giorni al rientro di Malijsen in servizio, perciò forse era meglio tenere duro, nonostante tutto.

Strano che non si fosse mai fatto vivo, pensò Kluuge mentre trafficava con il lucchetto. Per quanto isolato fosse lassù in riva alle sue acque pescose, non era ai limiti dell'inverosimile che non fosse venuto a sapere di niente? Che ci potesse essere anche una sola persona nel paese che non fosse a conoscenza di quanto era successo a Sorbinowo in quelle torride settimane d'estate... Ecco, era davvero molto strano.

E ancora più strano, naturalmente, se si era anche il commissario di polizia titolare del posto.

Tuttavia Malijsen era Malijsen, si capisce. Si sarà probabilmente seppel-lito in attesa dei giapponesi, ipotizzò Kluuge, asciugandosi il sudore dalla fronte.

Sulla porta incontrò Suijderbeck.

«Non partecipi alla riunione?»

«Sigarette» borbottò Suijderbeck e sputò in un'aiuola. «Vado giù al chiosco, sarò di ritorno prima ancora che tu abbia fatto in tempo a pisciare.»

Divertente, pensò Kluuge. Cameratismo e buona atmosfera, proprio co-me ci dicevano alla scuola di polizia. Entrò nell'ufficio, che negli ultimi giorni aveva subito una serie di cambiamenti nella disposizione dei mobili al passo con le esigenze dell'inchiesta in corso. La scrivania era però rimasta al suo posto, e lui vi sprofondò dietro dopo aver salutato con un cenno tutti gli altri.

Servinus era seduto al suo solito posto. Tolltse e Lauremaa pure, così come uno degli ultimi due contributi giunti dalla polizia di Maardam, l'ispettore Jung. L'altro contributo, quel singolare sovrintendente Reinhart, era in piedi a fumare la pipa attraverso la finestra aperta, e la sedia del commissario Van Veeteren era vuota, come di consueto.

Eccoci qui, pensò Kluuge quando Suijderbeck finalmente ricomparve. È

tempo che ci rimettiamo in moto, allora.

«È tempo che ci rimettiamo in moto, allora» disse di conseguenza.

«Buona idea» commentò Reinhart.

«Devo dire» riconobbe Servinus «che mi dà sempre un po' fastidio quando la gente comincia a bruciare le chiese. Nonostante il mio ateismo profondamente radicato.»

«Adesso inizia davvero a essere un po' troppo» concordò Kluuge.

«Sta prendendo il sopravvento la plebaglia» affermò Lauremaa. «Ci so-no davvero tutti i motivi per risolvere questo caso al più presto. L'avrete sentito quello psicologo alla TV, no? Questo genere di cose istiga sempre alle imitazioni... e noi sappiamo come funzionano i piromani, vero?»

«Certo» disse Reinhart. «Ma adesso infischiamocene di Stamberg. Avranno certamente le loro forze di polizia laggiù, oso sperare.»

«Sì, credo di sì» concordò Suijderbeck. «Con ogni probabilità perdere-mo anche una cinquantina di giornalisti, perciò ho idea che non sarà necessario stare a piangere tutto il giorno...»

«No, ma adesso vorrei essere informato» lo interruppe Reinhart. «La scienza anzitutto, se posso esprimere un desiderio.»

«Ok» disse Kluuge, stiracchiandosi. «In sintesi, si può senz'altro dire che tutte le supposizioni sono state confermate. {Catarina Schwartz era morta da circa due settimane quand'è stata ritrovata... perciò si finisce intorno al 16 luglio. Per quanto mi sembra di capire, dovrebbe concordare abbastanza bene con gli altri dati che abbiamo. Tolltse?»

L'ispettrice Tolltse sfogliò il suo taccuino.

«Sì, probabilmente quadra» disse. «Noi... l'ispettrice Lauremaa e io cioè, abbiamo parlato di nuovo con cinque delle ragazze e, a quanto sembra, Katarina Schwartz dovrebbe essere sparita proprio allora. Forse qualche giorno prima, il 14 o il 15, ma loro non hanno le idee ben chiare sulle date.

Nessuna ha tenuto un diario e, a quanto pare, non c'era in giro nemmeno un calendario laggiù. Almeno, non dove stavano le ragazze.»

«Fuori del tempo e dello spazio» borbottò Servinus.

«Le circostanze, allora?» chiese Reinhart, impaziente. «Si può almeno supporre che la ragazza sia scomparsa in un certo momento della giornata.

Oppure si è dissolta, come dire, gradualmente?»

«No, ci sono circostanze precise» confermò Lauremaa. «Come prima cosa è stato imposto a tutte di dimenticare che fosse mai stata alla colonia... Dev'essere stata la sua scomparsa quella per cui la sconosciuta ha telefonato la prima volta, ma fin dall'inizio sia la direzione sia le ragazze hanno negato che ci fossero mai state più di dodici partecipanti al campo. Certo non è facile comprendere il motivo e la logica di tutto questo: personalmente ritengo che dimostri la pazzia di Jellinek in maniera più chiara di qualsiasi altro fatto, ma quando le ragazze alla fine cominciano a riconoscere che in effetti c'era stata una Katarina Schwartz con loro fino al... diciamo fino al 15 luglio, ecco, allora piano piano salta fuori anche dell'altro.»

«Per esempio che cosa?» volle sapere Reinhart.

«Dati temporali, anzitutto» proseguì l'ispettrice Tolltse. «La ragazza è scomparsa di notte. È andata a dormire come al solito nel suo letto la sera, e il mattino dopo non c'era più.»

«Sicuro?» domandò Suijderbeck.

«Sicuro» confermò Lauremaa.

«Cosa?» disse Suijderbeck. «Deve significare che il colpevole l'ha praticamente tirata giù dal letto. Questo non riduce piuttosto drasticamente la scelta dei candidati?»

«Certo» disse Lauremaa. «Se escludiamo che sia uscita di sua iniziativa, è ovvio.»

«Uscita?» chiese Suijderbeck. «E cosa diavolo poteva andar fuori a fa-re?»

Lauremaa si strinse nelle spalle.

«Non chiederlo a me. Non è impossibile, in ogni caso, anche se ammetto che è un po' inverosimile.»

«Non che ci sia granché di verosimile, in tutta questa storia» commentò Servinus. «Altro?»

Tolltse voltò pagina.

«Abbiamo ancora una cosetta» disse. «Forse solo una bagattella, ma non si sa mai. C'è stata anche una specie di controversia, in cui era implicata Katarina. Ne ha fatto cenno Marieke Bergson, del resto... cioè la prima ragazza che il commissario ha interrogato.»

«Controversia?» domandò Reinhart. «Che controversia?»

«Qualcosa fra lei e Jellinek» disse Lauremaa. «La ragazza aveva sbagliato in qualche modo. Gli deve aver detto qualcosa, chissà che, non siamo riusciti a farcelo specificare da nessuna delle ragazze.»

«Senz'altro hanno un po' paura anche di questo aspetto» spiegò Tolltse.

«Aha» fece Reinhart. «Una piccola ribelle in paradiso?»

«Forse» disse Lauremaa. «Pensare con la propria testa non deve essere un'attività particolarmente incoraggiata, nella loro educazione. In ogni ca-so, sembra che Jellinek abbia avuto un colloquio privato con la ragazza, la notte prima della sua scomparsa...»

Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi Suijderbeck si schiarì la gola e si chinò in avanti poggiandosi sui gomiti.

«Perciò tutt'e due... voglio dire, tutt'e due quelle povere ragazzine... erano uscite un po' dalla retta via?» chiese. «Clarissa si era un po' tradita con il commissario, non è così?»

«Sì, certo» confermò Kluuge. «C'è una concordanza, qui.»

Seguì qualche secondo di silenzio. Poi Servinus picchiò il pugno sul tavolo.

«Jellinek!» gemette. «Se avessi quel bastardo di buon pastore qui adesso, gli farei colare del piombo fuso nel didietro, porco diavolo!»

«Penso che dovresti sviluppare questo concetto in sede di conferenza stampa» propose Reinhart.

«Mmm» fece Kluuge. «Forse potremmo andare avanti adesso. Oppure Tolltse e Lauremaa hanno dell'altro?»

«No» disse Lauremaa. «A parte il fatto che ci è parso di vedere il commissario Van Veeteren in un ristorante... quando eravamo a Stamberg a parlare con le ragazze.»

«Ah, ma guarda» disse Suijderbeck. «Avete anche visto cosa stava man-giando?»

Non ottenendo risposta, si accese una sigaretta.

«Quanto alle lesioni sui corpi» riprese Kluuge, «ne abbiamo già abbon-dantemente parlato. Non è emerso nulla di nuovo. La procedura è stata a grandi linee la medesima in entrambi i casi... Sì, penso che nessuno di noi creda che abbiamo a che fare con due diversi criminali...»

«Nessuno» confermò Servinus.

«Allora forse dovremmo concentrarci su quella famosa domenica sera»

propose Kluuge. «Su questo punto abbiamo ricavato qualcosa, chiaramente. Chi di voi...?»

Passò con lo sguardo da Reinhart a Jung.

«Può parlarvene Jung» disse Reinhart. «Altrimenti finisce che si addormenta.»

«Grazie» disse Jung. «Ecco, se mettiamo insieme i risultati di Reinhart e i miei, forse possiamo azzardarci a trarre alcune conclusioni. Sembrerebbe in effetti che Oscar Jellinek sia scomparso da Waldingen già nella serata di domenica. Se le informazioni sono corrette, quelle che abbiamo ricevuto ieri da quella ragazza, la Moulder, e da Ulriche Fischer, ecco, allora la cosa più credibile è che abbia lasciato la colonia appena prima delle dieci. Ha parlato un momento con la ragazza dopo la preghiera serale e poi sì è allontanato, dirigendosi probabilmente allo scoglio... dove Belle Moulder aveva lasciato Clarissa Heerenmacht quattro ore prima, pressappoco. Dopo di che... sì, dopo di che nessuno evidentemente l'ha più visto.»

«Tutto questo contiene comunque una buona parte di congetture, o no?»

disse Servinus, con aria un po' perplessa.

«Certamente» concesse Reinhart, «ma le nostre congetture di solito si rivelano esatte. Dipende ovviamente da come giudichiamo la quantità di vero che c'è nella piccola mossa della signorina Fischer, ma se la colle-ghiamo con quello che il commissario è riuscito a cavare a quell'altra...

com'è che si chiamava?»

«Mathilde Ubrecht» suggerì Kluuge.

«Giusto. Se mettiamo insieme le loro due parsimoniose dichiarazioni, tutto sta a indicare una cosa soltanto. Che non sembrano sapere dove diavolo sia finito.»

«Perciò quella storia che ha incontrato Dio e ricevuto un incarico, e che era un periodo di prova, sarebbe stata confezionata da quelle donne, allora?» chiese Lauremaa.

Reinhart alzò le spalle.

«Perché no?» rispose. «L'importante era comunque riuscire a far tacere le ragazze, suppongo. Sì, credo che regga.»

Ci fu di nuovo silenzio.

«La terza, allora?» suggerì Tolltse. «Madeleine Zander. Forse non dovremmo dimenticare che erano in tre. È un po' una semplificazione fare continuamente di ogni erba un fascio. È vero che all'esterno formano un gruppo compatto, ma nulla ci dice che all'interno non ci siano delle crepe...

magari un sacco di crepe, in realtà.»

«E profonde» completò Servinus. «Personalmente trovo che sia quasi contro le leggi di natura che tre donne possano formare un gruppo così compatto. E mantenere il silenzio, per giunta.»

«Filosofia da parrucchiere» commentò Lauremaa.

«Parrucchiere da uomo» aggiunse Tolltse.

«A meno che non si tratti di umiliare un uomo, si capisce» disse Servinus.

Kluuge cominciò ad assumere un'aria preoccupata.

«Su, su» si intromise con circospezione. «Sono incline a concordare con il sovrintendente Reinhart, su questo punto.

Regge. La questione è soltanto dove arriviamo, con ciò... sapendo che sarebbero del tutto all'oscuro. Voi che ne pensate?»

Nessuno fece in tempo a pensarne alcunché, perché nello stesso istante la porta si aprì di venti centimetri e la signorina Miller mise dentro la testa.

«Scusate» disse. «C'è una telefonata per il commissario.»

«Non ora» cominciò Kluuge. «Le ho spiegato che...»

«Credo che possa essere importante» insistette la signorina Miller.

«All right» disse Kluuge. «La prendo di là, allora.»

Si scusò e lasciò la stanza.

«Allora, era l'assassino che chiamava per costituirsi, immagino?» disse Suijderbeck quando Kluuge ricomparve.

«Non esattamente» rispose il commissario supplente.

«Perché sei così bianco in faccia?» domandò Servinus. «Non ti senti be-ne?»

«Verde» lo corresse Suijderbeck. «Tende di più al verde, mi pare.»

Kluuge si sedette.

«Era la signora Kuijpers, di Waldingen» spiegò. «Sostiene di aver trovato un altro cadavere... sì, o che l'hanno trovato i suoi cani, piuttosto.»

«Santo cielo» esclamò Tolltse.

«Un altro ancora?» disse Reinhart. «Che diavolo...?»

«Quei simpatici cagnolini?» disse Suijderbeck.

«Non è solo quello» continuò Kluuge. «Sembrava anche sicura di chi si trattava.»

«Chi?» domandò Lauremaa.

«Oscar Jellinek» rivelò Kluuge, e sospirò. «Se il nome vi dice qualcosa.»