38

Van Veeteren entrò portando personalmente il vassoio e lo mise davanti a Mirjan Fingher.

Tè. Spremuta. Tramezzini con formaggio e salsiccia. Poi tornò indietro e richiuse la porta. Si sedette sull'altra brandina.

«Prego» disse. «Ho qualche domanda. Do per scontato che lei voglia collaborare, non c'è nessuna ragione di peggiorare ulteriormente le cose.»

Lei annuì e bevve un sorso di tè. Lui la osservò. La sua figura robusta pareva essersi rattrappita durante il viaggio verso Sorbinowo. Afflosciata...

come se l'involucro esterno fosse stato mangiato da dentro, pensò.

«Dove crede che possa essere?»

Lei cercò di alzare le spalle, ma il gesto si fermò a metà.

«Non lo so.»

La voce era in bilico sul filo sottile della rottura.

«Dobbiamo prenderlo prima che lo faccia di nuovo» disse il commissario. «Da come la vediamo noi, c'è il rischio abbastanza concreto che si sia allontanato proprio per quel motivo... oppure lei ha qualche altra idea?»

La donna scosse la testa.

«No.»

«Non può aver saputo che stavamo per arrivare?»

«No... no, assolutamente. Credo...»

«Sì?»

«... che può essere proprio come dice lei.»

Non molto più di un sussurro. Per quanto tempo potrà ancora resistere?

pensò lui. Devo sorvegliare che continui a reggere.

«Prenda un tramezzino» le suggerì. «Adesso cercheremo di esaminare tutta questa storia.»

Lei lo guardò. Scostò una ciocca dell'opaca capigliatura castana e raddrizzò un po' la schiena. Prese un altro sorso di tè ma non toccò niente del resto.

«Sì» disse. «Probabilmente è così... ma è passato più tempo che fra le altre due volte.»

Van Veeteren annuì e voltò uno stuzzicadenti.

«Di quanto era a conoscenza lei?»

«Di parecchio.»

«Era lei a telefonare?»

«Sì.»

«Come faceva a sapere che l'aveva fatto?»

«Glielo leggevo in faccia. Sono sua madre.»

«Perché telefonava?»

«Per mettere fine a questa cosa.»

«Per allontanare le ragazze?»

«Non lo so... sì, probabilmente.»

«È andata a cercare i corpi e li ha spostati perché noi li trovassimo?»

«Solo uno.»

«Non era riuscita a trovare la prima?»

«Inizialmente no. Ma...»

«...»

«Credevo... no, non lo so cosa credevo. Con la prima non ho osato, ma poi sono stata costretta... sì.»

Lui esitò un attimo. Vide che adesso lei aveva cominciato a tremare; le mani e la faccia.

«Sua figlia?» chiese poi.

«Sì.» La donna si schiarì la gola e riprese slancio. «Lei... mia nuora mi raccontò tutto quando si separarono. Fu... Ecco, mi rifiutavo di crederle, ovviamente, ma in seguito capii. Se poi sia possibile capire. Pensavo che gli fosse passata, deve credermi... Non c'è stato mai niente in questi anni da che è ritornato a casa. Non prima dell'arrivo di quella setta, con le loro stupide ragazzine...»

«L'estate scorsa?» domandò il commissario.

Lei scosse la testa.

«No. Wim allora lavorò un paio di mesi a Groenstadt. Da mio fratello, che ha un vivaio... Ho solo trovato dei giornali che aveva in giro, così...»

Tacque.

«Capisco» disse Van Veeteren. «Ma tornando un attimo alla cosa più importante. Dove crede che sia, adesso? Deve cercare di aiutarci anche su questo.»

Lei guardò fuori della finestra e parve riflettere.

«Il bosco» disse alla fine. «È un po' come il suo rifugio, forse è andato lì... oh mio Dio!»

E d'improvviso fu come se qualcosa dentro di lei si spezzasse. Si gettò in ginocchio sul pavimento accanto alla branda, si circondò la testa con le braccia e cominciò a dondolare da una parte all'altra.

«Aiutatelo, vi prego! Aiutatelo!»

Il commissario si chinò in avanti e le passò goffamente una mano sulla schiena. Poi aprì la porta e chiamò a gran voce l'ispettrice Tolltse.

No, pensò. Non ci sto più.

«Non abbiamo dimenticato nulla?» chiese Reinhart.

«L'avviso di ricerca è pronto» disse Kluuge.

«Su tutto il territorio nazionale!» sbuffò Suijderbeck. «È qui che si nasconde, per la miseria! È in bicicletta, ve lo siete dimenticato?»

«Venticinque uomini sul posto» continuò Kluuge imperturbabile. «Altri venti in arrivo. Due elicotteri già in volo.»

«Le colonie sono state avvertite» disse Lauremaa.

«Quante ce ne sono?» volle sapere Jung.

«Troppe» sospirò Kluuge. «Al momento abbiamo fra trecento e quattrocento ragazze dell'età giusta distribuite tra diversi istituti.»

«Cazzo» imprecò Reinhart.

«Ma hanno ricevuto ordini severi» ripeté Lauremaa.

«Non è certo una garanzia» disse Servinus.

«No» fece Reinhart. «Garanzie non ce ne sono mai, in questo settore di merda.»

L'ispettrice Lauremaa si alzò irritata e andò alla finestra.

«Be'» disse. «Se quello si fa vedere qui in città... per le strade, è fatto. Lo riconoscerebbero anche i sassi. Lo prenderemo, è soltanto questione di tempo.»

«C'è anche un'altra questione di tempo» puntualizzò Reinhart.

«Lo so» affermò Lauremaa. «Non c'è bisogno che ce lo ricordi.»

La porta si aprì e Van Veeteren ritornò con uno stuzzicadenti per ogni angolo della bocca. Si lasciò cadere sulla sedia vuota di Lauremaa e si guardò intorno.

«Il bosco» disse. «Sua madre pensa che possa essere nel bosco.»

Ci fu silenzio per qualche secondo.

«Ok» disse Suijderbeck. «Non suona improbabile. Dovremmo dare ordine agli elicotteri di passare sopra il bosco. Intorno al lago... Probabilmente è lì che conta di far centro.»

«Probabilmente» confermò Jung. «Come siamo messi con le comunica-zioni?»

«Le auto sono qui fuori» rispose Suijderbeck, e fece un cenno con la testa. «Io e Servinus ci mettiamo in macchina e ce ne occupiamo subito. Che cosa stanno facendo quei venticinque che sono arrivati?»

«Aspettano ordini» lo informò Kluuge.

«Mandiamoli nel bosco, allora» propose Suijderbeck. «L'altra sponda del lago in ampi cerchi. Che ne pensate voi?»

«Sì» disse Kluuge. «Direi che è giusto.»

«Merda» esclamò Jung. «La sapete una cosa? Mi è tornato in mente adesso che... ho visto un tizio con una bicicletta mentre andavamo a Waldingen. Stanotte. Stava pisciando contro un albero... con di fianco la bicicletta. Ho visto solo la schiena, però effettivamente poteva essere...»

«Santo cielo!» gemette Reinhart. «E uno come te l'hanno fatto ispettore?»

Jung scosse la testa e borbottò qualcosa.

«Il signor sovrintendente non era sulla stessa strada?» domandò Van Veeteren.

«Lasciamo stare» li interruppe Lauremaa. «Se davvero era lui, allora almeno vuol dire che lo stiamo cercando nel posto giusto.»

«Sono le otto meno un quarto» constatò Suijderbeck. «Adesso muovia-moci e andiamo a beccare quel bastardo!»

Si svegliò e guardò l'ora.

Le otto meno cinque.

Un paio d'ore era riuscito a dormire. Era stato piacevole, piacevole e anche necessario.

Anche il posto era ben scelto. Riparato e caldo di sole. Fra gli abeti riusciva a intravedere il lago, e da lontano si sentivano salire voci allegre di ragazzine. Probabilmente le aveva sentite anche nel sonno, perché dentro si sentiva già un turbinio, e la sua erezione era dura come il manganello di gomma.

Si accorse che stava stringendo il bastone nella mano. Rise, con l'altra si afferrò il suo e li mise a confronto.

Una bionda, pensò. Dieci punti per una bionda.

Ma naturalmente andava bene anche di un altro colore.

Si alzò sui gomiti e scrutò in basso verso l'acqua.

«L'ho perso ieri» spiegò Helene Klausner. «Quando siamo andate là sopra.»

Indicò in mezzo agli alberi.

«Deve essere ancora là. Mi accompagni?»

Ruth Najda scosse la testa.

«Fra dieci minuti c'è la colazione. E hanno detto che non potevamo andare da nessuna parte. Dev'essere successo qualcosa, in questo momento hanno una riunione.»

«Ma ci vogliono solo cinque minuti.»

«Non voglio.»

«Potrai prendere in prestito la mia maschera da sub.»

«Non voglio, ti ho detto.»

«Mi aspetti qui se vado su da sola, allora?»

Ruth Najda scese dalla roccia.

«Penso che dovremmo andare in refettorio adesso. Le altre sono già là.

Puoi sempre recuperarlo dopo. In fondo è solo un fermaglio, uffa!»

Helene Klausner scosse i lunghi capelli biondi.

«Sì, però ne ho bisogno adesso. Io ci vado. Mi aspetti?»

«Ok» sospirò Ruth Najda. «Ma vedi di sbrigarti, perché ho fame.»

«Cinque minuti!» gridò Helene, e si incamminò frettolosamente tra gli alberi.