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Mare di ghiaccio

A nord della Britannia

38 a.C. – 715 ab Urbe condita

Quando li vide arrivare, dopo che una delle sentinelle li aveva individuati nei barbagli di luce che finalmente avevano ricominciato a splendere sulle lande ghiacciate che li circondavano, Cicerone comprese che doveva essere accaduto qualcosa.

Dal modo in cui camminavano, e dalle espressioni dure sui volti irrigiditi dal freddo e dalla fatica, era possibile intuire che quegli uomini dovevano aver passato momenti difficili. Ma erano soprattutto gli occhi di Cesare, che lui intercettò quando ormai erano a poche decine di passi dall’unica esareme sopravvissuta al freddo e all’attacco dei loro nemici, a esprimere tutta la delusione e la sofferenza che dovevano avere patito.

Quando li ebbe raggiunti, Cesare si guardò attorno accigliato, e prima ancora di abbracciare lui e Decimo, che camminava con l’aiuto di un bastone, chiese: «Che cos’è successo, qui?».

«Portate del vino!» ordinò Cicerone. «E delle coperte!»

Mentre i legionari si davano da fare per accogliere i loro compagni e chiedere notizie su ciò che avevano visto, Cesare gli diede una pacca sulla spalla, mentre Bruto si avvicinava e li abbracciava, felice come se avesse perso da tempo la speranza di poterli rivedere.

«Non abbiamo fatto molta strada» disse Cesare bevendo un sorso del vino che era rimasto, e che era stato riscaldato per renderlo più facile da ingerire. Si guardò ancora intorno, e fece una smorfia quando vide la sua esareme con la chiglia fatta a pezzi dall’attacco dei legionari di Marco Antonio prima, e dalla pressione del ghiaccio poi, quando erano stati costretti ad abbandonarla e lasciarla in balia del gelo. «Cos’è successo alla mia nave?»

«Ti racconterò tutto quando saremo al riparo» rispose Cicerone, indicandogli di scendere con lui e Decimo nelle cabine riscaldate della nave superstite. «Tu, piuttosto, che cos’hai da raccontarci?»

Cesare fece una smorfia che non prometteva nulla di buono.

«Come vedi, siamo stati via solo pochi giorni» disse. «Non abbiamo trovato quello che cercavamo.»

«Come sarebbe pochi giorni?» intervenne Decimo. «Sono passati mesi!»

Cesare e Bruto lo fissarono sorpresi.

«No» affermò quest’ultimo, «ho tenuto il conto e non saranno passati più di venticinque giorni, da quando ci siamo allontanati. Io...»

Cicerone lo bloccò sollevando una mano e indicando il cielo decorato da strane luci multicolori.

«Sta tornando il sole, la bella stagione» disse. «Quando siete partiti il lungo inverno di queste regioni non era nemmeno cominciato, ricordate?»

Cesare e Bruto alzarono gli occhi e osservarono sorpresi la luce che diffondeva un arcobaleno di colori tremolanti.

«È vero...» mormorò Bruto. «Ma fino a qualche ora fa per noi era ancora notte...»

Cicerone li guardò mordendosi un labbro, divorato dalla curiosità di capire meglio quello che era accaduto, poi li spronò a seguirlo nella nave.

«A quanto pare abbiamo parecchie cose di cui parlare.»

Seduti intorno al tavolo nella cabina di comando dell’esareme con un boccale di vino caldo in mano, e dopo essersi raccontati vicendevolmente quello che era accaduto nel periodo in cui erano stati separati, Cesare si convinse che in qualche modo il loro viaggio aveva un senso profondo.

«Tutto questo è stata una prova» disse alla fine, dopo aver bevuto l’ultimo sorso dal suo boccale. «Una dura prova a cui gli dei ci hanno sottoposto per capire se siamo degni di apprendere i loro segreti.»

«Come puoi dirlo?» gli chiese Cicerone. «La legione è stata quasi annientata, ci resta una sola nave che mi auguro possa davvero tornare a navigare e... Calpurnia è morta. E anche se è venuta a trovarti in prossimità della dimora degli dei del Nord, l’ha fatto solo per dirti che qui non c’è nulla di quello che cercavamo. Più che una prova, tutto questo mi pare uno sberleffo.»

«No» lo contraddisse Cesare scuotendo la testa, rendendosi conto che il solo pensiero della perdita di Calpurnia lo devastava. Ma doveva farsi forza e pensare che adesso sua moglie sarebbe stata una guida importante per lui, dai Campi Elisi. «Quelli che ho incontrato davanti alla città dei ghiacci non erano dei, ve l’ho spiegato. Erano le creature più straordinarie che un mortale possa augurarsi di incontrare, e Thule quanto di più vicino al regno degli dei esista ancora sulla terra. Credete che sia facile ottenere simili risultati? E sopravvivere a un incontro del genere?»

«Il che però non prova che siano stati gli dei a guidarci» ribatté Cicerone. «Anzi, il fatto stesso che per poco non siamo stati annientati da Cardan e dagli uomini mandati da Marco Antonio dovrebbe farci capire che gli dei sono ostili nei nostri confronti, e non il contrario.»

«Io non sono d’accordo» intervenne Bruto. «Abbiamo compiuto delle imprese straordinarie, sconfitto creature mostruose, viaggiato negli abissi infernali ed esplorato territori che nessuno ha mai visto prima. E abbiamo anche sconfitto quel traditore di Marco Antonio, che deve avere pensato fosse troppo pericoloso lasciare che ci impossessassimo del segreto della vita eterna, grazie al quale avremmo potuto fare ritorno a Roma come signori assoluti. Se sommi queste cose, nessun dio potrà mai prendersi gioco di noi.»

«Bruto ha ragione» annuì Decimo. «E se Calpurnia è stata inviata dai Campi Elisi per spiegare a Cesare quale dovrà essere la nostra nuova meta, significa che forse gli dei sono disposti a darci fiducia, se non altro per la curiosità di vedere che cosa saremo in grado di fare adesso.»

«Questo fiume di cui ha parlato» chiese Cicerone, che nonostante tutto sembrava ancora il più scettico fra tutti, «quale credi possa essere?»

«Lo Stige» rispose Gaio senza esitazione. «Il fiume dell’odio, uno dei cinque corsi d’acqua degli Inferi, che secondo tutta la tradizione greca è capace di rendere gli esseri umani immortali.»

«E come pensi di raggiungerlo?» sbottò Cicerone. «Sfruttando ancora la polvere nera di Cardan?»

«No, non ce ne sarà bisogno. O almeno lo spero.»

«Come, allora?» intervenne Decimo, che nonostante tutto aveva la fronte attraversata dai segni del dubbio.

Cesare respirò a fondo, poi si protese in avanti, per spiegare quello su cui aveva rimuginato durante il viaggio di ritorno alle navi.

«Avevo studiato le carte recuperate nella biblioteca di Alessandria» rivelò. «E avevo già capito da tempo che lo Stige non è altro che il nome antico per indicare il Nilo, il fiume dove secondo tutte le leggende degli egizi la vita ha avuto inizio.»

«Ma come puoi dirlo?» obiettò Cicerone. «Non c’è nessuna prova che sia così!»

Cesare non si scompose e continuò a esporre la sua teoria: «Lo Stige, secondo la mitologia greca, si dirama in nove grandi estuari che formano una palude» gli ricordò.

«La palude Stigia» annuì Cicerone. «Che impedisce di raggiungere il vestibolo dell’oltretomba. Questo lo sappiamo tutti, credo.»

Cesare sorrise. «Anche il Nilo, quando esonda, forma delle grandi paludi. Il che fa credere che le leggende abbiano un fondamento. E poi, io credo a Calpurnia.»

Cicerone sbuffò, evidentemente poco convinto.

«Tua moglie non ha nominato il Nilo. Potrebbe trattarsi di qualsiasi altro fiume, in chissà quale luogo sperduto del mondo.»

«Non ci resta che andare laggiù e capire se quello che scrivono gli antichi è vero» rispose Cesare convinto.

Cicerone si alzò e andò a versarsi dell’altro vino. Cesare vide che erano le ultime gocce contenute nella brocca, l’ultima di cui disponevano, da quello che gli avevano detto.

«Quello che è successo in questi mesi è senz’altro qualcosa di straordinario» disse Bruto inserendosi in quella pausa della discussione tra Cesare e Cicerone, «però confesso che non riesco ad appassionarmi all’idea di dover attraversare ancora mezzo mondo per andare a caccia di qualcosa di così poco chiaro e definito.»

«Cosa può esserci di definito, quando parliamo degli dei e dei loro capricci?» sbuffò Decimo.

«Lo Stige è il fiume che rende immortali» ricordò loro Cesare. «E io intendo immergermi nelle sue acque per ottenere la vita eterna.»

Vi fu silenzio per un po’, poi Cicerone, tenendo lo sguardo puntato sul fondo del suo boccale, chiese: «Ricordate la leggenda di Eos e Titone?» Prima che qualcuno potesse rispondere, continuò: «Eos, dea dell’aurora e figlia dei titani, convinse Zeus a fare un grande dono al suo amante umano, Titone, figlio del re Laomedonte. L’immortalità. Zeus la accontentò, ma le cose non andarono come Eos aveva immaginato, perché Titone divenne sì immortale, ma continuò a invecchiare nel tempo, diventando presto così decrepito e infermo da non poter più soddisfare la dea».

«E questo cosa significa?» domandò Decimo.

Cicerone sospirò. «Non significa niente. Ma mi sto facendo da un po’ questa domanda: a che serve essere immortali, se il corpo si corrompe, privandoci della forza e della salute di cui possono godere i giovani? Perché è questo che possono darci gli dei, quando si stuferanno di questo gioco.»

Gli altri tacquero, ma Cesare scosse la testa.

«Su questo ti sbagli, laticlavius» disse. «Io intendo non solo diventare immortale, ma anche restare forte e arguto per sempre, proprio come lo sono adesso.»

«E come credi di fare?»

«È questo il segreto che voglio apprendere dagli dei» rispose. «Quando Teti, la madre di Achille, lo ha immerso nello Stige tenendolo per il tallone, ha commesso un errore. L’ha reso vulnerabile. E ha attirato la morte come il miele sa fare con le api. Io non sarò così stupido. Mi immergerò completamente nello Stige, e renderò il mio corpo non solo immortale, ma immune agli strali della vecchiaia.»

Aveva parlato in modo appassionato, stringendo un pugno con forza e mostrandolo agli altri, che lo fissarono a lungo in silenzio.

Alla fine rilassò i muscoli e prese un lungo respiro, prima di concludere: «Chi vuole provare a combattere per questo obiettivo non deve fare altro che seguirmi. Gli altri... dispongano come vogliono di ciò che resta della loro vita».

Fissò Cicerone e poi Bruto, scivolando alla fine su Decimo e sul volto duro e inespressivo di Spartaco, e attese una risposta.

«Io sono con te» affermò il gladiatore per primo, come Cesare aveva immaginato.

Guardò Bruto.

«E tu, figlio mio?»

Vide qualcosa brillare negli occhi di Bruto, che fece un passo avanti e allungò un braccio per allacciarlo al suo.

«Lo sai che puoi contare su di me. Non mi farò certo da parte.»

«E non ti sbarazzerai nemmeno di me!» proruppe Decimo.

Soddisfatto, Cesare si portò accanto a Bruto e restò ad aspettare la reazione di Cicerone.

Il laticlavius stava guardando ancora nei meandri del suo boccale, come se là dentro potesse trovare le risposte ai mille dubbi che lo tormentavano e che si potevano leggere nelle rughe sul volto come scritte su una pergamena.

Poi però sembrò riscuotersi, raddrizzò la schiena e gettò di lato il boccale.

«Come tuo laticlavius, devo chiederti innanzitutto una cosa» disse.

«Parla» concesse Cesare.

«Non possiamo affrontare le regioni sconosciute in cui scorre il Nilo senza una legione al nostro fianco. Dobbiamo per prima cosa tornare al castrum in Iberia e ricostituire un pezzo alla volta la Legio Caesaris

Gaio sorrise, mentre allungava il braccio e stringeva quello di Cicerone.

«Faremo così» rispose. «E quando saremo pronti, partiremo alla volta del Nilo, per scoprire dove nasce il fiume della vita.»

Non ci fu bisogno di aggiungere altro.