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Oceanus Magnus
Al largo della costa iberica occidentale
41 a.C. – 712 ab Urbe condita
Le navi procedevano distribuite su un largo ventaglio per non correre il rischio che le grandi onerariae cariche di provviste, cavalli e salmerie, potessero scontrarsi a causa del mare agitato che ingrossava sempre più intorno a loro, confondendosi con il cielo grigio e carico di pioggia.
Da due giorni, ormai, da quando Publio Servilio Casca era partito dal castrum sulla costa iberica per cercare di ricongiungersi con Cesare e il resto della legione, il tempo si era fatto minaccioso e, anche se i rovesci erano stati sporadici e di bassa intensità, le onde dell’oceano erano diventate più grandi e tumultuose, e il pericolo che le navi si scontrassero fra loro, adesso che dovevano viaggiare con le vele ammainate, governate solo con i remi, era sempre in agguato.
Casca ricordava con una certa apprensione quello che era successo la prima notte di navigazione, quando proprio a causa di alcune onde particolarmente impetuose, che avevano sollevato le navi come fuscelli abbandonati sul Tevere, c’era stato lo scontro fra due imbarcazioni, una trireme su cui erano stati costretti a caricare molti più uomini di quanto il comandante della nave ritenesse opportuno, e una delle naves onerariae, che a causa delle dimensioni e del peso del carico si era dimostrata particolarmente difficile da governare. le due imbarcazioni non erano affondate, ma avevano riportato danni piuttosto vistosi, e Casca era stato costretto a ordinare ai loro comandanti di fare ritorno al castrum, per provvedere alle riparazioni e soprattutto per non rallentare troppo l’avanzata del resto della flotta.
La lezione era comunque servita, e adesso tutte le navi procedevano a distanza di sicurezza, anche se non così lontane da impedire di poter restare in contatto visivo anche con quel tempo cupo, che sembrava destinato a peggiorare.
Casca non sapeva quanto ci sarebbe voluto, prima di riuscire a individuare le coste della Britannia e raggiungere le avanguardie della Legio Caesaris, ma non intendeva ritardare più del dovuto. Per questo aveva chiesto ai comandanti di tutte le navi di navigare il più possibile in formazione ordinata, alla massima velocità consentita dalle condizioni atmosferiche e dalla capacità dei marinai di governare le imbarcazioni sull’oceano sempre più cupo e imbizzarrito.
D’altra parte, se si fosse scatenata una tempesta, ogni nave avrebbe dovuto pensare soprattutto a non farsi trascinare a fondo, e a quel punto ogni proposito di procedere veloci e compatti verso la Britannia si sarebbe scontrato con la lotta che avrebbero dovuto ingaggiare con Nettuno. Ma, al contrario di Cesare, prima di partire Casca aveva ringraziato gli dei con sacrifici abbondanti, destinando al possente dio del mare decine di animali e ordinando ai sacerdoti rimasti al castrum di continuare a propiziarsi il suo favore ancora per giorni, mentre loro erano in navigazione.
E il dio sembrava in parte compiaciuto da quelle attenzioni, perché anche se sbuffava e si lamentava per la presenza di tutte quelle navi sulle acque del suo regno, si limitava a scrutarli minaccioso gonfiando l’oceano e richiamando nuvoloni neri, ma senza mai scatenare davvero la sua furia su di loro.
Casca stava ancora pensando a questo, scrutando il mare che in certi punti si confondeva con le nubi color del piombo che si addensavano all’orizzonte, quando vide un’imbarcazione puntare veloce verso l’esareme che lui aveva designato come nave di comando.
Era un’imbarcazione piccola e leggera, governata però con grande maestria da marinai esperti, perché nonostante il vento sferzante aveva una vela gonfia che la sospingeva sulle creste delle onde.
«Chi sono quei pazzi?» chiese al tribuno Marco Pizio che gli faceva da attendente sul ponte di comando. «È una delle nostre navi?»
Pizio lanciò degli ordini agli sbandieratori, che si affrettarono a indirizzare segnali alla nave in avvicinamento, e quando ricevette le risposte scrutò Casca accigliato.
«Che cosa hai saputo?» lo spronò Publio, che non conosceva il linguaggio di comunicazione a distanza fra marinai.
«È una delle nostre» rispose Marco Pizio. «Ma proviene da sud. Dal castrum di Marco Licinio Crasso.»
«Cosa?» fece Casca sorpreso, tendendosi per cercare di distinguere meglio i movimenti che scorgeva sul ponte della nave, che nel frattempo stava manovrando per affiancare la loro esareme. «Com’è possibile?»
«Non lo so.» Pizio scosse la testa, poi ordinò al suo sbandieratore di porre altre domande all’imbarcazione in avvicinamento, e quando ottenne le risposte sembrò ancora più sbalordito.
«C’è lo stesso Crasso, a bordo» rivelò, mentre la nave si portava quasi a contatto con loro, sfruttando l’esareme per proteggersi dal vento che ululava sempre più forte, quasi disapprovasse quella manovra tanto ardita quanto portata a compimento con grande abilità.
Casca si sporse dal parapetto e scrutò il ponte della piccola nave. Fra gli uomini affaccendati nelle manovre di attracco riconobbe alcuni dei liberti di Crasso, e questo lo sorprese ancora di più, perché sembrava che Marco Licinio si fosse allontanato dal castrum con il suo seguito, e solo qualcosa di veramente grave poteva avergli fatto prendere una decisione del genere.
Proprio in quel momento cominciò a piovere con una certa intensità, e Publio sbuffò contrariato.
«Non capisco che cosa gli sia venuto in mente» commentò mentre correva a mettersi al riparo sottocoperta. «Non doveva abbandonare il suo castrum. Cesare è stato chiaro, in proposito.»
«Forse è successo qualcosa» disse Pizio.
Casca annuì, cupo in volto, mentre l’esareme sobbalzava sotto la forza dei marosi.
«Va bene» concluse, entrando nella cabina di comando. «Fallo venire a bordo e portalo qui. Devo capire che cosa gli è saltato in mente.»
Quando gli uomini entrarono nella cabina, Publio Servilio Casca si fece ancora più cupo in volto.
«Dov’è Crasso?» chiese. «E voi chi siete?»
«Sono il tribuno Sesto Milio» rispose l’uomo alto e dal volto rigido come marmo che gli si era presentato davanti, scortato dai legionari di Marco Pizio. Con lui c’erano altri due soldati, che Casca non aveva mai visto prima e che non ricordava appartenessero alla Legio Caesaris, anche se non poteva certo dire di averli conosciuti tutti. Ma confidava nella sua memoria, e mai prima di allora aveva visto quel tribuno e i due legionari che lo accompagnavano, insieme a uno dei liberti di Crasso, che se ne stava un po’ più indietro, spaventato a morte.
«Marco Licinio Crasso non è in grado di trasbordare sulla vostra nave» continuò l’uomo con voce bassa, cupa come i tuoni che si udivano all’esterno. «È ferito, e chiede se lo puoi raggiungere sulla nostra.»
«Ferito?» domandò Publio sempre più sorpreso. Quella faccenda cominciava a innervosirlo, e adesso l’inquietudine si fece allarme dentro di lui. Si rivolse al liberto di Crasso, chiamandolo direttamente in causa e ignorando il tribuno: «Che cos’è successo al tuo padrone?».
L’uomo lanciò una rapida occhiata a Sesto Milio, come se avesse bisogno della sua approvazione per poter rispondere, poi abbassò il capo e parlò con voce che si udiva appena: «Il castrum è stato... attaccato e distrutto».
Casca lo guardò sorpreso, sollecitandolo a continuare, ma Sesto Milio intervenne con autorevolezza. «Crasso è riuscito a fuggire a stento» spiegò. «Lo abbiamo aiutato, e lo abbiamo portato in salvo sulla prima nave che siamo riusciti a prendere.»
«Come avete fatto a trovarci?» chiese Casca scrutando accigliato il tribuno e poi il liberto di Crasso, che tremava sconvolto dalla paura. «E gli altri? Che fine hanno fatto?»
Sesto Milio sospirò.
«Se ci segui, sarà lo stesso Crasso a spiegarti quello che è accaduto. Lui ci ha fatti arrivare fin qui perché ricordava la rotta che avreste dovuto seguire.»
Publio scambiò un’occhiata preoccupata con Pizio, che scosse piano la testa, come a dirgli che non avrebbe dovuto fidarsi. Ma di che cosa dovevano avere paura? Era questo che lui non capiva. Possibile che qualcuno stesse cercando di... scosse la testa. Cercando di fare cosa? Assaltare la loro flotta con una nave minuscola, millantando che il castrum di Crasso era stato distrutto? E comunque, come facevano a sapere del castrum stesso, se non appartenevano alla Legio Caesaris?
Guardò ancora il giovane liberto di Crasso, e vide che stava tremando. Era chiaro che se l’erano passata brutta, e lui voleva sapere che cosa era successo, chi li aveva attaccati e perché.
«Va bene» disse, prendendo una decisione. «Andiamo sulla vostra nave. Voglio parlare con Crasso.» Prima che Marco Pizio potesse protestare alzò una mano e gli ordinò: «Raduna i tuoi uomini e seguici».
Il mare si sentiva molto di più, su quella piccola imbarcazione in balia delle onde, anche se era protetta dal vento dall’esareme, cui era stata assicurata con delle cime. Casca rischiò di perdere l’equilibrio un paio di volte, mentre Sesto Milio gli indicava di seguirlo oltre uno stretto boccaporto.
Una volta all’interno della nave, Publio scrollò i capelli che si erano riempiti d’acqua, in parte per la pioggia e in parte per la spuma marina strappata dal vento dalla cima delle onde e scagliata con forza contro di loro.
«Dov’è Crasso?» chiese, sempre più infuriato per l’assurdità della situazione. Il liberto sembrava scomparso, e adesso c’erano solo Milio e i suoi uomini, attorno a lui.
«Da questa parte» rispose il tribuno aprendo una porticina e facendogli segno di entrare.
Publio non aspettò che Pizio lo raggiungesse e si diresse a passo di marcia verso il locale che si apriva dall’altra parte, probabilmente l’angusta sala di comando della nave.
«Crasso!» gridò. «Che cosa ti è saltato in mente? Perché hai abbandonato...»
La voce gli si bloccò in gola, quando vide quello che lo attendeva nel cubiculum semibuio in cui era entrato.
Prima che potesse reagire, Sesto Milio sbarrò la porta dietro di lui, impedendo a Pizio e ai suoi soldati di intervenire in suo soccorso. Con un ringhio Publio sguainò la spada, mentre una figura compariva dal fondo del locale, immerso nelle tenebre.
«Se fossi in te non lo farei» disse un uomo che lui non aveva mai visto, e che si accostò al corpo prostrato a terra di Marco Licinio Crasso, puntandogli alla gola una lama. «Non se tieni alla vita del tuo compagno di avventura. E alla tua.»
Guardandosi attorno, Casca comprese di essere caduto in trappola. Nel piccolo cubicolo, oltre a lui e a ciò che restava del praefectus castrorum, c’erano lo sconosciuto, Sesto Milio e un altro legionario con la daga sguainata.
«Che cosa gli avete fatto?» ringhiò indicando Crasso, che, per quanto fosse ancora vivo, come dimostrava il movimento lento del petto durante il respiro, era ricoperto di sangue e sembrava essere stato torturato fino allo sfinimento. «E chi siete, voi?»
«Ti spiegherò tutto» rispose l’uomo che teneva la lama contro la giugulare di Crasso. «Ma prima dai la tua arma a Sesto Milio. Ti prometto che se collaborerai non ti sarà fatto alcun male.»
Publio si sentì inondare da una rabbia furibonda.
«Vi farò uccidere tutti!» ringhiò. «Se non ci liberate, verrete crocifissi ai pennoni della vostra nave e scuoiati vivi!»
«Forse non ti è chiara la situazione» ribatté l’uomo, muovendo di scatto il braccio e facendo quello che mai Publio si sarebbe aspettato: la lama affondò nel collo di Crasso e il sangue schizzò fuori pompato dal cuore.
Colui che era stato il principale promotore della Legio Caesaris si accasciò al suolo, esalando gli ultimi rantoli.
«Perché l’hai fatto?» chiese Casca, impietrito.
«Perché adesso ci sei tu, e questo vecchio non mi serve più» rispose l’uomo pulendo la spada sulla tunica di Crasso. «Se non vuoi fare la sua fine, lascia quella spada.»
Publio considerò la possibilità di combattere, ma non sarebbe mai riuscito a prevalere su quei tre. Ed era più che sicuro che fuori da lì non avrebbe potuto contare sull’aiuto di Pizio e dei suoi uomini, che forse in quel momento giacevano in un lago di sangue, proprio come il povero Crasso.
«Ditemi che cosa volete» fece rabbioso, gettando a terra la daga. «In ogni caso, non vivrete a lungo, se anche riuscirete a depredare qualcuna delle nostre navi.»
L’uomo gli si avvicinò esibendo un sorriso.
«Ma io non voglio depredare nessuno» disse. «Il mio nome è Servio Primicerio, e ho un incarico ben preciso.»
«Quale?» volle sapere Publio.
«Trovare Cesare. E portare la sua testa a Marco Antonio.»
Per un momento Publio credette che sarebbe scoppiato a ridere, poi intercettò lo sguardo intenso di Primicerio e comprese che non stava affatto scherzando.
«Non riuscirete mai a trovarlo» esclamò stringendo i pugni, colmo di rabbia.
«Da quello che so tu hai delle carte» ribatté l’altro imperturbabile. «Crasso ci ha messo un po’ a rivelarmi questa informazione, ma alla fine lo ha fatto. E con abbondanza di particolari.»
Publio cercò di deglutire, ma aveva la gola secca.
«Adesso andiamo sulla tua nave» mormorò Servio Primicerio facendosi sotto e fissandolo con gli occhi neri colmi di quella che Publio comprese essere obbedienza cieca al suo signore. «E tu mi consegnerai le copie delle mappe di Pitea e Imilcone, su cui è tracciata la rotta che Cesare ha seguito prima di voi.»
«Intendi ucciderci tutti?» chiese Casca con un filo di voce.
«Oh, no!» rise l’uomo. «Cesare si aspetta di veder comparire la tua flotta, tribuno Casca. Ed è proprio quello che succederà, quando lo avremo trovato.»
«Se credi che ti sarà facile ucciderlo, sei uno sciocco.»
«Forse» annuì Primicerio. «O forse no. Non mi è sembrato così difficile catturare te e tutta la tua potente flotta.»
Detto questo fece un cenno al suo tirapiedi, e Sesto Milio gli diede un colpo a un braccio, facendolo voltare mentre apriva la porta del cubiculum alle sue spalle. Come aveva immaginato, fuori dovette passare su un tappeto di sangue, per raggiungere il ponte della nave.
Quando fu in coperta, lanciò un’imprecazione verso Nettuno, chiedendogli di interrompere la sua ritrosia e abbattere finalmente la sua furia contro la flotta che navigava sulle acque nere ma ancora fin troppo quiete dell’oceano. Forse quello sarebbe stato il solo modo per impedire che la sua vergogna per essersi fatto sottomettere con tanta facilità si ritrovasse un giorno al cospetto di Cesare.
Anche se avrebbe pagato qualsiasi somma per poter assistere al momento in cui il suo signore avrebbe fatto un solo boccone di quello stolto di Servio Primicerio.