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Via Appia, tra Capua e Roma
71 a.C. – 682 ab Urbe condita
Marco Licinio Crasso fermò il cavallo nel punto in cui la via Appia scollinava, poi si girò verso il carro coperto scortato dai suoi più valenti legionari e indicò al figlio Publio, seduto a cassetta, che quello era il posto giusto.
Mentre Publio gridava gli ordini ai soldati, perché facessero scendere il prigioniero dal carro e predisponessero una cintura di sicurezza tutto intorno, Crasso osservò la distesa di pali che aveva fatto erigere su entrambi i margini della via Appia, nel tratto che da Capua conduceva a Roma, una delle strade più frequentate del mondo. Uno spettacolo impressionante, che avrebbe scosso anche un uomo impavido e pronto a tutto come il loro prigioniero.
Quando sentì il rumore delle catene, Crasso si voltò ancora sul cavallo, poi annuì e scese per andare incontro al prigioniero che si muoveva a fatica, appesantito dal ferro che gli chiudeva i polsi e le caviglie.
Due legionari lo tenevano sotto controllo, grazie a lunghi bastoni collegati al collare rigido che gli aveva inciso profondamente la pelle, facendogli colare rivoli di sangue sul petto e sulla schiena. Altro sangue gli usciva da diverse ferite che aveva su più parti del corpo, che gli erano state ricucite alla bell’e meglio, giusto per arginare le emorragie e non farlo morire dissanguato. Quelle ferite se le era procurate in combattimento, ma Crasso sapeva che gli facevano meno male dell’umiliazione a cui lo costringevano le catene. E forse anche della benda che gli aveva fatto legare attorno agli occhi, perché non si rendesse conto di dove lo avevano portato e quale terribile sorpresa si sarebbe trovato davanti di lì a poco.
«E così tu sei Spartaco» gli disse, avvicinandosi in modo che il prigioniero potesse udirlo nonostante il coro di gemiti e di lamenti che li circondava e che diffondeva nell’aria una melodia lugubre, insieme all’odore ferroso del sangue e a quello acre della morte. «Il gladiatore, lo schiavo, il grande guerriero trace che ha messo in scacco Roma e ha ucciso migliaia di legionari. Confesso che c’è una viva ammirazione per le tue imprese, dentro di me, non solo la voglia di scuoiarti vivo e di appenderti a una croce.»
Detto questo, fece segno a Publio di togliere la benda dagli occhi di Spartaco.
Quando il trace poté vedere di nuovo, sbatté le palpebre un paio di volte per riabituarsi alla luce del sole, poi fissò Crasso con le mascelle contratte e l’aria dura, impassibile, di chi sa di dover morire ma non teme i tormenti della fustigazione e dei chiodi infissi nei polsi e nelle caviglie per la più terribile delle punizioni che i ribelli come lui dovevano patire.
Crasso sostenne lo sguardo pieno di odio e di rabbia di quell’imponente guerriero, che aveva dimostrato sul campo non solo coraggio e forza di combattente, ma anche considerevoli qualità come comandante e stratega, e annuì piano, consapevole che la scelta che avevano fatto era corretta.
Spartaco era l’uomo di cui avevano bisogno.
«Non devi guardare me, ma quelli che sono stati i tuoi compagni, che ora pagano le conseguenze della tua ribellione.»
Mentre parlava, Crasso si era fatto leggermente di lato perché Spartaco potesse avere un’ampia visuale della via Appia, che digradava placida oltre la collina e procedeva fra i campi e i boschi in direzione di Roma.
Centinaia di pali sorgevano ai lati della strada con figure umane inchiodate sopra, quasi tutte con le braccia alte sulla testa e le gambe appena ripiegate, in modo che potessero sostenerle più agevolmente. Solo alcuni di quei disgraziati avevano i polsi inchiodati alle travi orizzontali che formavano una croce con gli stipites, i pali infissi nel terreno, e tutto sommato erano quelli che soffrivano meno e che avrebbero resistito più a lungo, nel delirio che li avrebbe accompagnati verso la morte.
Spartaco fece scorrere lo sguardo su quelli che erano stati i suoi compagni di battaglia, gli uomini che aveva comandato negli scontri contro le legioni dell’Urbe, e forse solo in quel momento comprese che era davvero giunta la fine. Probabilmente non li conosceva tutti di persona, ma molti di quei volti stravolti dalla sofferenza dovevano essergli familiari, e rendersi conto che erano inchiodati ai pali o alle croci a migliaia, in una macabra processione che si estendeva fino a dove poteva arrivare lo sguardo, contribuì a svuotarlo di ogni residua fiammella di ribellione.
Crasso se ne rese conto quando lo vide sbiancare, le spalle che si afflosciavano sotto il peso del dolore che si avvertiva nell’aria, e che probabilmente gravava sulla coscienza di Spartaco come avrebbe fatto con qualsiasi comandante di valore, che amava e rispettava i suoi soldati.
«Come vedi, non siamo riusciti a trovare abbastanza patibula per tutti» continuò Crasso sollevando il braccio per indicare i pali conficcati nel terreno. Erano quasi seimila, lo sapeva bene: probabilmente l’esecuzione di massa più ampia e feroce che la storia di Roma avesse mai conosciuto.
I patibula, posizionati orizzontalmente, avrebbero formato la croce, che era il supporto migliore per quel genere di esecuzione, ma c’erano troppi condannati, e si erano dovuti accontentare dei soli stipites.
«Peccato, perché la maggior parte di loro morirà prima del previsto, forse già entro questa sera. In effetti non dev’essere facile respirare, appesi in quel modo.»
Crasso aveva usato un tono tranquillo, pacato, falsamente indifferente alla marea di sangue che da tutti quei pali si stava riversando nel terreno, ma nonostante il senso di nausea che suo malgrado gli tormentava lo stomaco, si rese conto di avere raggiunto il bersaglio: Spartaco quasi crollò sulle ginocchia, sotto il peso del ferro che lo imprigionava e della sconfitta che bruciava più di qualsiasi ferita.
Crasso lo osservò. Era davvero un uomo straordinario. Nonostante quello che stava vedendo, infatti, non disse nulla, non implorò pietà per i suoi uomini, non chiese di essere ucciso anche lui, per porre fine a quello strazio. Ebbe solo un istante di mancamento, poi tornò a erigersi sulle gambe muscolose e gonfiò le mascelle, stringendo i denti con tanta forza che a Crasso parve di sentirli scricchiolare.
Ma forse era solo suggestione. Continuando a recitare la parte del comandante vittorioso e spietato, fece un profondo respiro e tornò a indicare l’esercito sconfitto di Spartaco inchiodato agli stipites.
«Come ben sai, molti di loro potrebbero resistere per giorni, prima di morire. Saranno in balia degli animali che arriveranno per cibarsi delle loro carni, e delle intemperie che li flagelleranno senza pietà.» Lanciò un’occhiata a Spartaco, per capire quanto riuscisse davvero ad ascoltarlo, poi continuò: «Una sofferenza atroce, che si sono meritati per la loro arroganza, e per avere deciso di seguirti nella tua follia». Fece una smorfia, questa volta piena di sincera incredulità. «In che modo pensavi di poter tenere testa alle legioni di Roma con una banda di schiavi e di contadini scalcinati? Li hai portati tutti alla morte!»
Crasso dominò la rabbia che si era levata all’improvviso dentro di lui e cercò di imporsi la calma. Era fondamentale concentrarsi sul vero obiettivo, senza lasciarsi distrarre da inutili emozioni. Non aveva più molto tempo, e non poteva permettersi di indugiare ancora a lungo. Le truppe di Gneo Pompeo Magno e di Marco Terenzio Varrone Lucullo erano in marcia da giorni, e presto lo avrebbero raggiunto. E avrebbero chiesto di vedere il corpo di Spartaco, per portarlo a Roma ed esibirlo al popolo.
«Guardali» disse tornando a rivolgersi al trace. «Sono ancora una volta tua responsabilità. Puoi lasciarli così, a soffrire su quei pali per chissà quanto tempo, oppure puoi decidere di ascoltarmi e venire con me in un luogo segreto, dove parleremo con calma di un possibile futuro per te e per altri cinquemila tuoi compagni, che ho fatto prigionieri e per i quali non ho ancora deciso quale sorte subiranno.»
Spartaco esitò solo un istante, poi una luce di sorpresa e di curiosità gli animò lo sguardo.
«Ordinando il crurifragium posso dare una morte rapida a tutti loro» continuò Crasso, che adesso aveva la certezza di essere ascoltato con attenzione. «Non sentiranno neppure i colpi che gli spezzeranno le gambe, e moriranno in pochissimo tempo. Ma, soprattutto, posso decidere di non far crocifiggere anche gli altri cinquemila prigionieri sopravvissuti alla battaglia, se tu accetterai di ascoltare ciò che ho da dirti.»
Crasso restò in silenzio. Adesso, lo sapeva, era il turno di Spartaco di parlare. Se il trace non avesse detto nulla e fosse rimasto a guardarlo, divorato solo dal desiderio di ucciderlo, il suo piano sarebbe fallito. E non gli sarebbe rimasto altro da fare che consegnare il suo corpo alla folla dell’Urbe, dopo avergli dato una morte dignitosa.
Il prigioniero mantenne lo sguardo piantato nel suo per troppo tempo, e Crasso si sentì prendere dall’inquietudine. Lanciò un’occhiata nervosa a Publio, che assisteva in disparte insieme ai legionari di scorta, poi, quando si rese conto che quello stupido guerriero tutto muscoli non avrebbe ceduto di fronte alle sue minacce, scosse leggermente la testa.
Fece per allontanarsi, quando Spartaco all’improvviso parlò, con voce bassa eppure potente, carica di forza e di una determinazione che in chiunque altro sarebbe apparsa fuori luogo, vista la situazione in cui si trovava: «Che cosa ne sarà dei miei uomini, se accetterò di seguirti e di parlare con te?».
Crasso lo fissò sentendosi inondare da un fiotto di speranza.
«Resteranno vivi» rispose, cercando di fargli capire che non stava mentendo. «Come resterai vivo tu.»
Le labbra di Spartaco si piegarono in quello che, più che una smorfia, sembrava un sorriso di scherno.
«E chi porterai a Roma, per celebrare il tuo trionfo?» gli chiese.
Crasso fece un cenno a Publio, che a sua volta gridò un ordine ai legionari. I soldati si mossero in fretta, e poco dopo trascinarono fino a loro il corpo di un uomo, trafitto da decine di ferite mortali, alcune anche sul viso.
«Porterò lui» affermò Crasso indicando il cadavere steso a terra. Sapeva che Spartaco, nonostante l’espressione impassibile, doveva essere sorpreso, e forse anche impressionato. L’uomo indossava abiti simili ai suoi, aveva i capelli tagliati nello stesso modo in cui li portava lui e tutto, nel suo corpo robusto e avvezzo al combattimento, ricordava la stazza del trace. Le ferite indicavano che aveva combattuto come un leone, prima di crollare, e solo i colpi che aveva ricevuto al viso, che avevano spaccato il naso, uno zigomo e le labbra, rendevano difficile capire di chi si trattasse. Ma la sua somiglianza con il grande Spartaco era impressionante.
«Nessuno si accorgerà dello scambio, e noi avremo agio di proseguire la nostra conversazione in un luogo meno... macabro di questo» mormorò Crasso cercando di apparire convincente.
Spartaco restò a guardare a lungo il cadavere, forse chiedendosi chi fosse quell’uomo che era stato sacrificato per salvargli la vita, poi scosse piano la testa.
«Perché?» chiese a Crasso, che dentro di sé comprese di avere vinto. Quella era la domanda che si aspettava, e finalmente era stata pronunciata.
«Te ne parlerò domani stesso, quando potrai ricongiungerti con i tuoi uomini» lo rassicurò. «Sono ancora vivi, come ti ho detto, e hanno bisogno del loro comandante.»
Nonostante tutto, sul volto di Spartaco prevalse un senso di sgomento misto a curiosità.
«Per fare cosa?» domandò aspro. «Per ucciderci tutti o costringerci a combattere nelle arene?»
«No» lo rassicurò Crasso. «Lo so che è difficile credermi, ma il mio intento è un altro. E la decisione spetterà solo a te.»
Spartaco sputò per terra, un bolo di muco e sangue.
«Devi essere pazzo» sibilò, «o il più feroce degli aguzzini.»
Marco Licinio Crasso lo fissò per qualche istante, cercando di comprendere quali sentimenti contrastanti si stessero facendo strada nella mente confusa del trace. Come poteva credere alle sue parole, date le circostanze? E come poteva, lui, fargli capire che esisteva davvero una via d’uscita?
«Te l’ho detto, devi solo venire con me e ascoltarmi. Ti dimostrerò che non sto mentendo. Dopodiché...» allargò le braccia. «Se non vorrai aiutarci, allora ti terremo in catene per il resto della tua vita. Ma se vuoi salvare i tuoi uomini e mettere fine a tutto questo, non devi fare altro che seguirci in quella che sarà un’impresa ancora più grande della ribellione che hai guidato contro Roma.»
Spartaco inclinò appena la testa di lato, come se stesse cercando di capire quale trucco Crasso avesse in serbo per lui.
«Ormai sei mio, e il tuo esercito è stato sconfitto» gli ricordò Marco Licinio. «Non ho bisogno di mentirti. Avrei potuto crocifiggerti come tutti gli altri, o portarti in catene a Roma, per celebrare il mio trionfo. Invece...» indicò ancora l’uomo a terra, che gli assomigliava. «Ti sto mostrando una via d’uscita. Per continuare a vivere e riscattare le morti che hai provocato con la tua ribellione.»
«Io non ho niente da farmi perdonare» ringhiò Spartaco, facendo correre un brivido d’inquietudine lungo la spina dorsale di Crasso.
«Allora devi solo scegliere» ribatté questi spazientito. «Decidi adesso: vieni con noi, oppure rimettiti al tuo destino.»
Spartaco lo fissò a lungo, senza dire una parola, senza muovere un muscolo. Poi indicò con un cenno della testa le migliaia di croci che punteggiavano la via Appia come macabri alberi tinti di dolore e sangue.
«E loro?» chiese. «Farai come promesso?»
Crasso lanciò un’occhiata al figlio, che annuì e gridò gli ordini ai suoi uomini. I legionari si mossero rapidi ed efficienti, provvisti di grosse mazze con manico di legno e testa di ferro, per mettere in pratica il crurifragium.
«Andiamo» disse Crasso, quando i primi prigionieri crocifissi crollarono sulle gambe spezzate e morirono soffocati in breve tempo. «Ci vorrà parecchio, per finire con tutti. Ti do la mia parola che nessuno dei tuoi uomini soffrirà ancora a lungo.»
Spartaco restò a osservare ancora per qualche istante i soldati romani che infliggevano la morte ai suoi guerrieri, poi si voltò e s’incamminò verso il carro.
Un legionario fece per tornare a bendarlo, ma Crasso lo fermò con un brusco cenno del braccio.
«Non ce n’è bisogno» disse.
Quando il trace fu di nuovo a bordo, Publio tornò a cassetta e Crasso sul suo cavallo.
«Andiamo» ordinò al piccolo convoglio di cui era al comando. «Abbiamo poco tempo.» Poi indicò il cadavere del guerriero che avrebbero spacciato per Spartaco. «Crocifiggetelo» ordinò. «E non preoccupatevi troppo che si capisca chi è. Lasciamoli nel dubbio.»