15
Iérne
A occidente della Britannia
41 a.C.– 712 ab Urbe condita
«Come hai fatto? Come sei riuscito a riportare in vita quegli uomini? Te lo chiederò una volta sola, poi deciderò che cosa fare di te e delle parti del tuo corpo, che farò tagliare un pezzo alla volta e bruciare, così che nessuna stregoneria riuscirà più a farteli riavere.»
Il tono di Cesare era stato duro, tagliente come la più affilata delle spade, e Cicerone si rese conto che il druido non avrebbe avuto bisogno di comprendere le sue parole, per capire quello che stava rischiando. Nonostante questo, quando l’interprete celtico che presenziava all’interrogatorio tradusse in vari dialetti le domande e la minaccia del dittatore, lo stregone non mosse un muscolo, né diede a intendere in qualche modo di avere capito.
Era seduto a terra, nudo, le braccia legate a un palo infisso nel terreno dietro di lui e le gambe allungate in avanti, a loro volta legate, caviglia per caviglia, a paletti sottili ma molto robusti.
Secondo l’uso degli interrogatori gallici, che Cesare aveva imparato così bene durante le sue guerre di conquista, il prigioniero era stato fatto sedere su una manciata di sassolini appuntiti, che probabilmente stavano già affondando nelle sue carni. Il druido era alto e molto magro, con le costole in evidenza e la pelle pallida che cascava flaccida. Non era possibile dargli un’età, ma Cicerone immaginò che fosse piuttosto vecchio, anche se la barba folta e i capelli legati in diverse trecce erano solo spolverati di grigio.
Il suo volto di quell’uomo aveva qualcosa di inquietante. Era rigido e spigoloso, attraversato da profonde rughe che disegnavano arabeschi intrecciati con i tatuaggi che aveva sulla fronte e sulle guance, ricavati pungendo la pelle per farvi colare dentro il succo di qualche bacca che asciugando e con il tempo assumeva una strana colorazione azzurrognola. O almeno così pensava Cicerone, visto che nessuno fra coloro che aveva interpellato era riuscito a dargli una spiegazione più efficace. Cesare aveva fatto aggregare alla spedizione diversi soldati di origini celtiche, fra cui anche un britanno che era stato catturato durante una delle spedizioni che più si erano spinte a nord, ma nessuno di loro aveva mai visto quel particolare pigmento e quella colorazione della pelle.
«Forse non ha capito» mormorò Decimo accanto a Cesare, parlandogli quasi nelle orecchie in un sussurro che Cicerone percepì appena.
Oltre a loro tre e all’interprete, erano presenti due legionari armati di tutto punto, che tenevano le lance rivolte verso il druido senza perderlo mai di vista, anche se questi, legato e bendato, difficilmente avrebbe potuto rendersi pericoloso. Bruto, Cassio e Publio, insieme a Spartaco, erano stati incaricati di verificare le perdite e scavare delle fosse per buttarci i corpi dei nemici uccisi, a cui dare fuoco per liberarsi per sempre di quelle creature.
Cicerone guardò ciò che si riusciva a scorgere del volto dello stregone, con il naso arrossato per il colpo che aveva ricevuto da Spartaco, poi scosse la testa.
«Io credo che invece abbia inteso perfettamente» affermò.
Cesare e Decimo lo fissarono.
«Come fai a dirlo?» gli chiese il dittatore.
«So leggere i volti delle persone. Anche se non posso guardarlo negli occhi, ho percepito delle leggere contrazioni sul suo viso, e giurerei che corrispondevano al significato delle tue parole.»
«Dunque pensi che capisca ciò che diciamo?»
«Ne sono più che sicuro» confermò Cicerone, facendo un passo di lato e avvicinandosi a uno dei grandi bracieri in cui ardeva un fuoco vivace. Estrasse la spada e la infilò tra i tizzoni ardenti. «E credo che sarà facile capire se ho ragione.»
«Come?» volle sapere Decimo.
Il laticlavius attese in silenzio per qualche istante, poi tirò fuori la spada dal fuoco e si avvicinò al druido.
«Non mi può vedere» disse, «ma solo sentire, se è sveglio. Non dovrebbe sapere quello che sto facendo. Dunque non dovrebbe immaginare che sto per bruciargli i genitali con questa lama incandescente. Ora capiremo se tiene di più a questa parte del suo corpo o a farci sapere la verità.»
«E se davvero non capisse?» si accigliò Cesare.
Cicerone si strinse nelle spalle.
«Be’, allora resterà menomato nella sua mascolinità, ma di certo non morirà, e dunque tu potrai continuare l’interrogatorio. Alla fine, l’unico che ci perderà sarà lui. Ma se ci sentisse e capisse le nostre parole... be’, potrebbe fermarmi e risparmiarsi questo supplizio.»
Cesare restò a guardarlo ancora per qualche istante, poi gli fece un cenno con la mano.
«Va bene. Hai ragione. Puoi procedere.»
Cicerone allungò la spada verso l’interno delle gambe del druido.
«Ecco» disse. «Ora proverai un dolore terribile, e non allontanerò questo ferro incandescente fino a quando non ti avrò carbonizzato i genitali. Parla adesso, druido, o preparati a soffrire come non hai mai provato.»
Attese solo un istante, poi fece per accostare la spada alle intimità del druido, che però ebbe uno scatto e cercò di tirarsi indietro.
«Ti capisco» affermò con voce gutturale, raspante, come se avesse una manciata di sabbia a ostruirgli la gola. «E ti maledico.»
Cicerone sorrise e guardò Cesare, poi porse l’arma a uno dei legionari.
«Bene, direi che adesso possiamo riprendere l’interrogatorio. Senza l’ausilio dell’interprete.»
Il dittatore ordinò al celtico di uscire e si avvicinò al druido, accosciandosi accanto a lui.
«Hai già sentito le mie domande» sibilò. «Rispondi.»
«La benda» fece lo stregone girando la testa verso di lui. «Toglimela e ti dirò quello che vuoi sapere.»
Cicerone si sentì attraversare da un brivido di terrore. Era un’emozione irrazionale, lo sapeva, ma aveva già visto all’opera quell’uomo, e anche se era legato e prostrato ai loro piedi, sentiva che dovevano temerlo ben più di quanto avrebbero fatto con qualsiasi altro prigioniero.
Cesare, che evidentemente la pensava come lui, scoppiò a ridere e si rialzò.
«Non ti toglierò proprio niente» disse. «E se non ti affretterai a rispondere chiamerò Spartaco, l’uomo che ti ha catturato, e gli chiederò di staccarti dal corpo un brandello di carne alla volta.»
«Le tue minacce non mi spaventano» ribatté il druido, in un latino farraginoso eppure comprensibile.
«Prima però ti sei arreso.» Cesare si strinse nelle spalle. «Possiamo ricominciare da dove eravamo rimasti. Dai tuoi genitali...»
«Dove hai imparato la nostra lingua?» s’intromise Cicerone, guardando Cesare per fargli capire che forse avrebbero dovuto utilizzare una strategia diversa.
Il druido sputò per terra.
«Non sapete nemmeno chi comanda» grugnì con profondo disgusto.
«Il nostro capo è Gaio Giulio Cesare» lo smentì l’anziano oratore. «E forse tu l’hai già sentito nominare.»
Lo stregone si irrigidì.
Questo Cicerone lo capì subito, e vide che anche gli altri se ne erano accorti.
«Sai di chi sto parlando, vero?» chiese ancora.
Il druido non rispose. Restò immobile, la testa leggermente sollevata, come se stesse cercando di farsi un’idea di quello che stava succedendo solo ascoltando il suono dei loro respiri.
«Perché siete qui?» mormorò dopo un po’, con voce che non trasudava più disprezzo e furia. «Che cosa volete dalla mia gente?»
«Questo non ti riguarda» rispose Decimo. «E comunque non abbiamo nessun interesse nei confronti del tuo popolo e della vostra terra. Noi...»
Cicerone lo zittì sollevando un braccio. Poi, dopo aver ricevuto l’assenso da parte di Cesare, tornò a rivolgersi al prigioniero.
«Siamo diretti a nord» rivelò. «Verso l’isola di Thule. Per conquistarci un posto tra gli dei.»
Si era aspettato che il druido scoppiasse a ridere, o li insultasse per la loro stupidità, ma non accadde nulla di tutto ciò, il che lo sorprese. Vide le labbra dello stregone stirarsi, per scoperchiare i denti neri, appuntiti come zanne.
«Vi faranno a pezzi» ringhiò, protendendosi in avanti. «E banchetteranno con i vostri corpi!»
Con un brivido di eccitazione, Cicerone scambiò alcuni sguardi con Cesare e Decimo, anche loro sbalorditi da ciò che avevano sentito. La portata delle parole del druido era chiara a tutti: non aveva negato l’esistenza di Thule, e aveva dato per scontato che loro sapessero dove si trovava.
«No» aggiunse, prima che il prigioniero si rendesse conto del loro sconcerto, «non ci faranno a pezzi, perché tu ci aiuterai a ingannarli.»
Lo stregone disse qualcosa di incomprensibile, masticando con asprezza le parole di una lingua sconosciuta e lasciando colare la bava dagli angoli della bocca, mentre si agitava e cercava di liberarsi come se qualcuno stesse davvero cercando di bruciargli i genitali.
«E sai perché lo farai?» continuò Cicerone, che aveva capito di avere vinto quella piccola battaglia verbale. «Perché solo così potrai salvare il tuo popolo.»
Il druido si acquietò all’istante.
«Ti do la mia parola» affermò Cesare facendosi subito avanti, lesto a comprendere quello che Cicerone stava cercando di far capire al prigioniero. «Se ci farai da guida e ci darai la tua parola che non cercherai di ribellarti al mio comando, partiremo subito, e ci lasceremo alle spalle i vostri territori. Altrimenti...» Restò in silenzio per qualche istante, per dare più forza alle sue parole, poi riprese: «Ti giuro che nessuno, fra la tua gente, resterà in vita, che siano uomini, donne o bambini».
«Non li troverete mai» sibilò il druido infuriato. «Le nostre foreste sono immense, e il mio popolo sa come nascondersi.»
Cesare sorrise, anche se l’uomo non poteva vederlo.
«Tu parli latino, dunque dovresti sapere chi sono. E dovresti anche sapere che non mi fermo davanti a niente.»
Fece un’altra pausa, ben calibrata per incutere il dubbio nello stregone, poi allungò un braccio e con un unico gesto gli strappò via la benda dagli occhi.
Cicerone avrebbe voluto gridare che era troppo pericoloso, che gli occhi, per quell’uomo, potevano essere un’arma, ma prima che riuscisse anche solo ad aprire bocca Cesare riprese a parlare, portandosi con il viso a meno di una spanna da quello del prigioniero.
«Per prima cosa farò bruciare tutti i vostri villaggi, fino ai più lontani e remoti. Poi spargerò sale sui vostri campi, perché la terra inaridisca e non possa più produrre raccolti per anni. Nel frattempo, i miei uomini inseguiranno la tua gente ovunque riuscirà a nascondersi: nelle foreste, nelle grotte, sui monti. Non importa quanto ci vorrà, ma piano piano li troveremo tutti. E a quel punto li uccideremo a uno a uno, e taglieremo loro le gambe, le braccia e la testa, e ne faremo delle grandi cataste che bruceremo in modo da farli diventare cenere, perché neppure la più potente delle stregonerie possa riportarli in vita.»
Poi tacque. Il silenzio che calò sul druido fu così pesante da schiantarlo, facendolo accasciare su se stesso. Non disse una parola, non ribatté o rispose alle parole del dittatore. Ma era chiaro che aveva capito di avere perso.
Cesare restò a guardarlo ancora per qualche istante, come se non temesse di poter essere raggiunto dai denti acuminati dello stregone, nel caso avesse voluto azzannarlo alla gola, poi si ritrasse.
«Ma naturalmente tutto questo non sarà necessario, se risponderai a qualche domanda e ci aiuterai a trovare quello che cerchiamo» concluse scrutando di sottecchi il druido. «Non mi pare che la mia sia una richiesta così difficile da soddisfare.»
L’uomo restò con lo sguardo abbassato per un po’, respirando appena, poi sollevò la testa e si guardò attorno con occhi di fuoco, che prima della battaglia aveva cerchiato con un impasto di carbone e fuliggine che gli era colato sulle guance insieme al sangue scaturito dal naso, contribuendo a rendere ancora più spaventoso il suo aspetto.
«Che cosa volete sapere?» si arrese con un filo di voce.
Cicerone guardò soddisfatto Cesare, e decise che si provava più gusto nel vincere quel genere di battaglie, piuttosto che quelle che si combattevano con le spade.
«Perché parli così bene la nostra lingua?» chiese Gaio, cercando di trattenere il senso di esaltazione che lo aveva riempito, quando lo stregone aveva finalmente ceduto non solo alle sue parole, ma anche al suo sguardo. Ancora una volta aveva vinto, ed era stato più semplice di quanto avesse previsto. «Sei stato a Roma?»
Il druido sembrò masticare qualcosa tra le labbra nere, poi sputò per terra prima di rispondere.
«Noi ci raduniamo ogni anno nei boschi sacri, al cospetto degli dei» spiegò. «E i druidi vengono da tutto il mondo conosciuto. Anche dalle province della Gallia che avete assoggettato.»
Cesare annuì.
«Hai imparato da loro il latino. E hai saputo da loro chi sono.»
Il prigioniero lo guardò stringendo gli occhi in due sottili fessure. «Mi avevano detto che eri morto. Ucciso dalla tua stessa gente.»
Cesare allargò le braccia.
«Come vedi, sono qui. E se il tuo potere è così grande come ci hai dato dimostrazione, dovresti anche sapere che non sto mentendo.» Sostenne lo sguardo indecifrabile dello stregone per un po’, poi si accosciò di nuovo accanto a lui, senza alcun timore di un suo possibile atto d’aggressione. Nonostante si fosse dipinto con i colori di guerra e avesse più l’aspetto di una poiana che di un essere umano, Gaio aveva capito subito che si trattava di un uomo colto e intelligente, ben diverso da come aveva immaginato dovessero essere i barbari di quelle remote regioni del Nord. «E di certo non sono stato richiamato in vita come hai fatto tu con i tuoi guerrieri.»
Le sue parole restarono sospese nell’aria per un po’.
«Come hai fatto a riportarle indietro dall’Averno?» chiese poi allo stregone. «Che cos’era quella luce blu che scaturiva dalle tue mani?»
Il druido allargò quello che sembrò un sorriso di scherno, ma forse era solo una smorfia carica di disprezzo.
«Nessuno della mia gente ti rivelerà mai i suoi segreti, Cesare» rispose. «Potrai torturarmi fino all’eternità, e minacciare di sterminare ogni singola vita su quest’isola, ma non otterrai niente da me.»
«Così siamo su un’isola?» si intromise Decimo, facendo un passo avanti.
Cesare lo fermò sollevando infastidito la mano. Non gli importava nulla di sapere se erano su un’isola o sul continente. Bramava molto di più conoscere i segreti che quell’uomo custodiva, anche se apparivano imperscrutabili. Lo fissò per un po’, e comprese che diceva la verità: si sarebbe fatto mutilare e uccidere, ma non avrebbe detto nulla sulle stregonerie che gli avevano visto compiere.
«Quelle creature» continuò, provando a cambiare bersaglio, «erano morte, e poi le abbiamo viste tornare in vita. Non mi interessa sapere come hai fatto. Voglio solo la conferma che ciò che ho visto sia vero: è possibile riconsegnare la vita a chi l’ha persa?»
Il druido lo fissò accentuando la smorfia di disprezzo che gli tirava le labbra nere, dello stesso colore del succo di una bacca che cresceva sulle rive del Tevere, con cui lui da ragazzo amava dipingersi il contorno degli occhi come facevano le donne, per accentuare la sua bellezza.
«Tu cerchi il segreto della vita eterna» mormorò lo stregone, parlando come se gli stesse leggendo nel pensiero. «Ma quello che ho fatto io non ha niente a che vedere con questo.»
Cesare si accigliò.
«Che cosa intendi dire?»
«L’immortalità è prerogativa degli dei, non degli uomini» rispose lo stregone.
Cesare tornò a rialzarsi, faticando a contenere la rabbia. Avrebbe voluto colpirlo in faccia, cancellargli quell’espressione carica di derisione, ma sarebbe stata una mossa sbagliata. Andò con lo sguardo in cerca di aiuto, e trovò un appiglio nell’espressione severa e concentrata di Cicerone. Lo sollecitò a provare qualcosa, e il suo laticlavius annuì, facendosi avanti.
«Se non era una dimostrazione del potere degli dei» chiese rivolto al druido, «allora che genere di magia è stata, la tua?»
Lo stregone si passò la lingua sulle labbra, poi si riempì il petto di aria, prima di rispondere.
«Ho sete. E queste corde mi fanno male. Datemi sollievo, e forse risponderò a qualche vostra domanda.»
Cicerone scoppiò a ridere, mentre Cesare si incupiva.
«Tu sei pazzo» gli disse. «Pensa alla tua vita, piuttosto. Perché per noi vale meno di niente, e dunque devi cominciare a dimostrare di servirci a qualcosa, druido.»
Cesare apprezzò la tattica di Cicerone, anche se non pensava che credesse davvero in quello che diceva. Quell’uomo era la cosa più preziosa su cui avessero messo le mani da quando erano partiti, e prima di rinunciarci lui aveva intenzione di spremerlo fino all’ultima goccia.
«Ve l’ho già spiegato» grugnì lo stregone guardandoli in cagnesco. «Non posso aiutarvi per ciò che cercate. Io sono solo un servo degli dei, e conosco ben poco del potere che loro esercitano attraverso me.»
«All’improvviso sei diventato modesto, druido?» lo schernì Cicerone. «Eppure abbiamo visto di cosa sei capace. E anche se lo neghi, a me è sembrato che quelle creature fossero tornate dall’Averno per tua mano.»
Questa volta il druido sbuffò, spazientito.
«Quella magia serve solo a riempire gusci vuoti» sostenne. «E non dura molto. Per questo cercano altra carne umana, per riempire lo spazio lasciato vuoto dal loro spirito.»
Cesare lo guardò sorpreso.
«Dunque se non li avessimo uccisi noi, prima o poi sarebbero morti di nuovo?» chiese.
L’uomo sghignazzò.
«Prima di quanto possiate immaginare.»
Cesare guardò Cicerone, che sembrava colpito a sua volta da quello che avevano sentito, poi tornò a concentrarsi sullo stregone.
«Ma quel... trucco, come l’hai imparato? Durante uno dei vostri raduni?»
Il druido tornò serio e lo fissò come se volesse incenerirlo con lo sguardo. E non rispose.
Cesare sospirò.
«D’accordo» disse, facendo segno a Cicerone e agli altri di seguirlo fuori dal praetorium. «Ti lasciamo a meditare un po’ sulla tua situazione. Poi parleremo di nuovo. E spero ti sarai ammorbidito abbastanza da capire che la mia pazienza ha un limite. Un limite davvero esiguo.»
Detto questo uscì all’esterno, lasciando nella tenda di comando solo i due legionari incaricati di sorvegliare il prigioniero.
«Che cosa ne pensate?» domandò agli altri appena l’aria frizzante gli stimolò i polmoni.
«Non rivelerà nessuno dei suoi segreti» rispose Cicerone.
«Però ha un punto debole» fece Decimo. «È il capo del suo popolo, e cercherà di difenderlo.»
«Dunque cosa suggerisci?» gli chiese Gaio.
«Mandiamo delle squadre e catturiamo più donne e bambini che possiamo» rispose Decimo. «Poi ne crocifiggiamo un po’ e facciamo capire al druido che anche gli altri faranno la stessa fine. E che andremo avanti fino a quando non avremo ripulito la regione da ogni femmina e da ogni marmocchio della sua specie.»
Cesare restò a guardarlo rimuginando sulla proposta.
«Non ci rivelerà comunque le sue stregonerie» sostenne Cicerone.
«Ma a noi non interessa questo» ribatté Decimo. «Il druido deve dirci dove trovare gli dei, non spiegarci come far tornare in vita i morti.»
Cesare annuì.
«Hai ragione» disse. «Organizza le squadre. E fai portare qui quante più donne e bambini riuscirete a rastrellare.»
«Perché solo donne e bambini?» s’intromise Cicerone con aria inquieta, mentre Decimo si allontanava per dare gli ordini.
«Perché con gli inermi dovrebbe essere più difficile, per il nostro druido, mostrarsi indifferente» spiegò Cesare. «O almeno così spero...»
Cicerone si accigliò.
«Li farai crocifiggere davvero? Donne e bambini?»
Gaio lo fissò dritto negli occhi.
«Mi auguro non sia necessario.»
«Ma se servisse allo scopo non esiteresti, vero?»
Questa volta Cesare non rispose. Non lo sapeva nemmeno lui che cosa avrebbe fatto, se il druido si fosse ostinato a tacere. E forse era meglio se non indagava troppo a fondo dentro di lui, perché non era sicuro che ciò che avrebbe visto gli sarebbe piaciuto.